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TESTO Commento su Giovanni 10,11-18

don Giampaolo Centofanti  

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IV Domenica di Pasqua (Anno B) (21/04/2024)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Gesù è il buon pastore, il testo originale dice il pastore, il bello. Perché ci ama di un amore meraviglioso. Quella che leggiamo oggi è solo una parte, quella finale, del brano sul pastore delle pecore. Nella parte precedente Gesù dice che il pastore entra dalla porta nel recinto delle pecore, cioè per le vie delicate, rispettose della libertà delle pecore. Un ladro di vita, uno che si fa padrone della vita altrui, scavalca il recinto ossia entra con metodi non semplici, discreti, rispettosi. In vario modo ruba e forza, non aiuta davvero ad aprire il cuore, a trovare sé stessi. Il cuore si apre solo se è amato e amato bene, non con stranezze varie. Le pecore riconoscono la sua voce naturalmente perché in essa trovano davvero sé stesse, la chiave per aprire gradualmente il cuore, in modo ciascuna personalissimo. E il pastore allora le conduce fuori: si sente tanta dolcezza in questo aiutare a fare capolino fuori del recinto, dolcezza del pastore e fiducia delle pecore. Il pastore prima sta dietro ad esse per aspettare che escano tutte e poi cammina davanti a loro, aprendo loro la strada verso il pascolo. Un estraneo - afferma poi Gesù - non lo seguiranno ma lo fuggiranno perché non conoscono la voce degli estranei. Il brano a questo punto osserva che gli astanti non compresero questa similitudine. E infatti può proprio capitare invece che le pecore ascoltino e seguano false guide. Gesù allora spiega che lui è la porta: solo in lui e attraverso lui i cuori si aprono, comunicano tra loro. Le guide che vengono prima di Gesù, ossia non seguendolo, rubano, uccidono, distruggono: in vario modo fanno tutto tranne che aiutare le persone a trovare liberamente e serenamente sé stesse, la vita. Dunque anche se le pecore sono state confuse, ingannate, e hanno seguito tali false guide di fatto non le hanno potute ascoltare nel profondo perché i loro cuori semplicemente su quelle vie non possono davvero aprirsi. Ecco il segno: venire aiutati, se lo si vuole, con delicatezza, serenità, rispetto, a trovare sé stessi. A lasciarsi portare dentro noi stessi perché non possiamo farlo altro che nell'amore meraviglioso di Dio. Infatti anche noi abbiamo schemi, rigidità, ferite, abbiamo bisogno di scoprire l'amore ma ancora prima siamo fatti per vivere nell'amore trinitario, fuori nemmeno respiriamo. Ed è solo in questo amore che usciamo incontro a Dio, agli altri, al mondo. Fuori di ciò guardiamo ma non vediamo, sentiamo ma non ascoltiamo... Quando l'umanità e forzata, calpestata, ingabbiata, distortamente riduttivizzata, c'è qualcosa che non va. Il pastore delle pecore viene perché le pecore abbiano vita piena, serena, semplice, abbondante, sana, umana. Ora Gesù può dunque rivelare che lui è il pastore, il bello. Il suo amore è rasserenante, liberante, vivificante e proprio per questo non è una favoletta. È un amore vero fino in fondo, fino a dare la vita. Non viene meno. Certo va compreso il buonsenso nella fede di tutto ciò. Gesù è scappato, si è nascosto, tante volte perché non era giunta la sua ora, non era il caso di lasciarsi prendere dai suoi persecutori. Il lupo rapisce le pecore perché le devia dalla strada vera, dai riferimenti pensati da Dio per loro e le disperde. Pensiamo a persone che finalmente trovano in comunità belle amicizie ma poi finiscono per impossessarsi reciprocamente di quell'amicizia invece di riconoscerla dono di Dio e coltivarla crescendo in lui. Si allontanano dalla comunità perché si chiudono tra loro stesse - si rapiscono vicendevolmente - ma la sorpresa è che poi nel tempo anche l'amicizia tende a infragilirsi a svuotarsi e si disperde. Questo amore vero porta nella conoscenza reciproca tra pastore e pecore. Senza amore non si può conoscere davvero, si giudica e si parla a vanvera. Per questo Gesù ripete che è il pastore bello. E sottolinea che lui ha un cammino a misura per ciascuna persona, ciascuna comunità - ho altre pecore che non sono di questo ovile. E questi percorsi diversi, a misura, uniscono davvero. Non è una unità esteriore, forzata, omologata, ma quella del cuore: una sempre più profonda, libera, unità. Gesù per primo respira libertà a pieni polmoni pur nell'obbedienza totale al Padre. È la libertà dell'amore. Lui offre la sua vita e la riprende secondo i criteri dell'amore, niente lo forza. Che bello quando dice: per questo il Padre mi ama, perché si amano veramente ma proprio perciò liberamente: si sente tra loro il soffio libero e vivo dello Spirito che consente loro di essere l'uno nell'altro senza annullarsi, senza omologarsi ma invece vivendo in pienezza il proprio essere sé stessi.

 

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