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TESTO Sei venuto a rovinarci

Comunità Missionaria Villaregia (giovani)  

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (29/01/2006)

Vangelo: Mc 1,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Quest'anno ci sta accompagnando il Vangelo di Marco, ricco di miracoli che Gesù compie. Fin dai primi capitoli Marco ci mostra Gesù all'opera per sconfiggere i demoni che possedevano tante persone. Questo brano non è lontano dalla nostra vita, dalla nostra esistenza. Anche nel nostro tempo l'uomo vive la sensazione di una lacerazione esistente nel proprio intimo. Ci si sente spesso interiormente lacerati, si ha come l'impressione di venire tirati da tutte le parti: tutti hanno delle aspettative nei nostri confronti. Come rispondere a tutti: famiglia, lavoro, vita sociale, amici... A volte non sappiamo più chi siamo. Spesso terminiamo il lavoro, ma non stacchiamo la spina e l'inquietudine ci perseguita, spesso anche nel sonno. Molte volte ci sentiamo buoni e un attimo dopo ci sentiamo colti dall'ira, diventiamo furiosi per un nulla. Oppure ci sentiamo felici, con la felicità stretta in pugno e un attimo dopo ci ritroviamo ad essere tristi e a non credere più nella felicità. Perché tanta inquietudine? Gioia e tristezza, fiducia e paura, gratitudine e rabbia, verità e menzogna... coabitano in noi e noi non sappiamo più chi siamo.

Vi è un anelito profondo nella vita dell'uomo: seppur nella sua lacerazione e nella sua contraddittorietà, l'uomo si sforza di raggiungere l'Uno, di assomigliare all'Uno, cioè a Dio: Dio che è distinzione di Persone, è nel suo essere Uno.

Nel Vangelo di Marco la lacerazione dell'uomo viene proprio descritta come un venir tirato da tutte le parti dai demoni, forze interiori ed esteriori, che trascinano l'uomo in tutte le direzioni. Il contrario dell'essere Uno di Dio. Mentre Dio porta all'Unità, il demonio porta alla dispersione.

Nel brano che la liturgia oggi presenta, Gesù comanda al demonio di uscire dall'uomo: "Lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui". Lo spirito impuro ci dilania e ci strazia, ci priva della nostra libertà, della nostra capacità di amare. Non ci lascia decidere liberamente cosa vogliamo essere. Ci spinge ora qua ora là senza mai permetterci di ritrovare noi stessi. Sorprende in questo brano come la lotta avvenga proprio tra Gesù e lo spirito immondo che grida a Gesù: "Sei venuto a rovinarci!" E' una lotta di potere. Lo spirito impuro trattiene sotto il suo potere l'uomo e sa che l'unico che può veramente liberarlo è "il Santo di Dio!", colui che ha fatto dei due un popolo solo, colui che ricongiunge sulla Croce tutto in unità.

Non è facile che lo spirito immondo abbandoni l'uomo. Al grido di Gesù: "Esci da lui", risponde un grido ancora più forte del demone che strazia ancor più l'uomo e solo allora se ne esce con un grido ancor più forte.

Talvolta anche noi sentiamo il bisogno di gridare, di buttare fuori la nostra rabbia repressa, la paura che ci perseguita, il dolore che ci paralizza, quel demone che ci vuole schiavi di un passato difficile e doloroso.

E' anche vero che a volte accettiamo la schiavitù che ci impone il demone impuro, le lacerazioni e le inquietudini con cui lui trascina la nostra vita, perché la vera libertà ci fa paura. Guardare in faccia veramente chi siamo, scoprire il nostro io più profondo ci costringe a toglierci la maschera, a riconoscere quello che gli altri si aspettano da noi. Stare con Gesù, essere liberati da lui, implica fare della nostra vita un dono per gli altri, significa intraprendere la vita della gratitudine, della lode, della fiducia, del morire a noi stessi... in altre parole a lasciare che Gesù "sconvolga" la nostra vita. Preferiamo rinchiuderci nelle nostre paure che lasciare che Gesù "rovini" la nostra vita, rischiandola e facendone un dono per gli altri. Che peccato! Conosciamo la storia dei due piccoli semi?

Due semi si trovavano fianco a fianco nel fertile terreno primaverile. Il primo seme disse: "Voglio crescere! Voglio spingere le mie radici in profondità nel terreno sotto di me e far spuntare i miei germogli sopra la crosta della terra sopra di me... Voglio dispiegare le mie gemme tenere come bandiere per annunciare l'arrivo della primavera... Voglio sentire il calore del sole sul mio volto e la benedizione della rugiada mattutina sui miei petali!" E crebbe.

L'altro seme disse: "Ho paura. Se spingo le mie radici nel terreno sotto di me, non so cosa incontrerò nel buio. Se mi apro la strada attraverso il terreno duro sopra di me posso danneggiare i miei delicati germogli... E se apro le mie gemme e una lumaca cerca di mangiarsele? E se dischiudessi i miei fiori, un bambino potrebbe strapparmi da tera. No, è meglio che aspetti finché ci sarà sicurezza." E aspettò. Una gallina che raschiava il terreno d'inizio primavera in cerca di cibo trovò il seme che aspettava e subito se lo mangiò.

Gesù ci invita a una scelta. Lui certamente muore dalla voglia di sconfiggere quel demone che è in noi e che ci rinchiude nella paura.

 

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