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TESTO Cominciando da Gerusalemme

don Alberto Brignoli  

III Domenica di Pasqua (Anno B) (14/04/2024)

Vangelo: Lc 24,35-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,35-48

35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni.

È difficile che, dove abbiamo avuto un insuccesso, ci ritroviamo dopo poco tempo a rischiare di commettere lo stesso errore. Così come, se in un posto ci siamo trovati male o abbiamo avuto qualche problema con qualcuno, difficilmente ci torniamo: cerchiamo di cambiare ambiente o - se questo non è possibile - vediamo quantomeno di evitare di frequentare luoghi pubblici dove potremmo avere incontri sgraditi o poco piacevoli. Come quando ci capita di incrociare qualche persona che preferiremmo non vedere: la cosa più naturale che ci viene da fare è di cambiare strada... Tutto sommato, sono atteggiamenti comprensibili: a nessuno piace rivivere situazioni spiacevoli o che fanno soffrire. Si cerca sempre di guardare da un'altra parte, dimenticando il passato, fintanto che è possibile.

Credo che sia questo il sentimento che albergava nel cuore degli Undici, dopo la morte di Gesù: dimenticare ciò che era avvenuto e cercare di guardare avanti, superando il momento di smarrimento. Soprattutto, bisognava trovare l'occasione di uscire dal Cenacolo e di lasciare Gerusalemme, sperando di evitare incontri spiacevoli con tutte quelle persone - e non erano poche - che avevano dato la caccia a Gesù, riuscendo poi a metterlo a morte. Oltre tutto, dentro di loro c'era anche una grande paura: sapevano benissimo che da un momento all'altro avrebbero potuto essere scoperti e, con ogni probabilità, processati come seguaci di questa pericolosa dottrina predicata dal loro Maestro. Un Maestro che, peraltro, li aveva lasciati con tutta una serie di insegnamenti e di ricordi preziosissimi, ma senza dare loro una struttura ben definita. Gesù non aveva certo pensato al proprio successore, a un “capo” degli Undici: sì, aveva chiesto a Pietro di essere un punto di riferimento per gli altri, di confermare la loro fede nel momento della prova, ma alla fine non è che si sia rivelato particolarmente “affidabile” come capo e guida...

Insomma: gli Undici (e con loro un numero non ben definito di altri discepoli e discepole) si trovavano in una situazione nella quale, senza un leader e con il cuore turbato per tutto ciò che stavano vivendo, dovevano trovare il modo per lasciare Gerusalemme e ricominciare da capo, possibilmente in Galilea, dove tutto era iniziato e dove avevano lasciato i loro mestieri, le loro case, i loro affetti.

In questo contesto, due di loro erano entrati di corsa nel Cenacolo a raccontare di aver incontrato, mentre stavano tornando al loro villaggio di Emmaus, il Maestro nuovamente in vita, senza peraltro riconoscerlo se non dopo che egli aveva spezzato il pane con loro a tavola. Non solo: proprio mentre questi due stavano raccontando agli altri ciò che era loro capitato, Gesù in persona si presenta in mezzo a tutti. E non si presenta in un modo qualsiasi. Luca ci dice, nel brano di Vangelo di oggi, che Gesù “stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Se è vero, come spesso si sente dire, che la verità delle cose sta nei dettagli, allora questi particolari di Luca ci vogliono davvero insegnare qualcosa riguardo a ciò che abbiamo detto prima.

Innanzitutto, le prime parole di Gesù: “Pace a voi!”. Che è diverso da quel “la pace sia con voi” che spesso ripetiamo nella Liturgia. Il nostro, infatti, è un augurio: quello di Gesù, invece, è un dono. Il primo dono del Risorto, allora, è la pace: una pace che viene a tranquillizzare, a portare serenità nel cuore turbato di questi poveri pescatori di Galilea che confondono il Maestro con un fantasma, al punto che Gesù deve chiedere loro qualcosa da mangiare per dimostrare che non si tratta di un incubo, di un'apparizione, di una suggestione collettiva - come se ne vedono tante anche in presunti luoghi di culto - ma di una presenza reale, viva, talmente viva che prima ha spezzato il pane con i due di Emmaus e ora condivide un pasto con tutti gli altri. Il cuore turbato ritrova la sua pace nel momento in cui sente di poter condividere la propria vita di ogni giorno con una comunità di fratelli nel gesto più semplice, quello della convivialità, del mangiare e dello stare insieme.

L'altro particolare riguarda la mancanza di un leader all'interno di quella piccola comunità. Chiaramente, ritornando Gesù, questa assenza veniva meno: tutti sapevano bene chi fosse il capo. Ma è il modo di essere “leader” da parte di Gesù che cattura la nostra attenzione e quella dei discepoli. Gesù non si mette di fronte o sopra gli altri, quasi a ribadire la sua autorità: Gesù “stette in mezzo a loro”, si pone in mezzo, seduto fra loro, come uno di loro, senza emergere né comandare, perché l'ultimo gesto che aveva compiuto in mezzo a loro prima della Pasqua era stato quello della lavanda dei piedi, quello del servizio. Quasi a dire: “Volete un leader? Fatevi servi degli altri, state in mezzo agli altri senza emergere né comandare, ma con il desiderio nel cuore di servire i fratelli”.

E poi termina questo primo incontro con la sua comunità facendo un ripasso di quanto già detto ai due incontrati sulla strada di Emmaus: “Aprì loro la mente alle Scritture”. Per essere testimoni del Risorto, bisogna capire cosa è stata la vicenda storica di Gesù alla luce delle Scritture, altrimenti non è possibile annunciare agli altri ciò che non si è compreso. E per comprendere occorre “aprire la mente”, cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere le cose su Gesù e sulla fede: in una parola, occorre “convertirsi”. E sarà proprio la conversione, il cambio di mentalità su Dio, il tema della predicazione degli apostoli nella seconda opera di Luca, gli Atti. O capisci che Dio per salvare l'umanità si fa servo dell'umanità, oppure continuerai a pensare in un Dio che comanda, che governa, che ordina, che sottomette: ma che non libera e non salva. Questo è il compito della Chiesa: annunciare che Gesù è Risorto, è vivo, e vuole che cambiamo mentalità su di lui. Perché rimanere fissi e schematici sulla nostra idea di Dio non è certo segno di Resurrezione.

Manca un ultimo piccolo particolare: da dove devono iniziare, gli Apostoli? Dall'inizio, tornando in Galilea alla vita di prima? No: Gesù chiede loro di “cominciare da Gerusalemme”, da quella città dalla quale volevano nascondersi e scappare. C'è poco da fare: la vita nuova nel Risorto non è un ritorno felice al passato, ma è un nuovo inizio, a partire da Gerusalemme, da quella città santa che pensa di non avere bisogno di conversione e che, forse, si mostrerà ostile contro di loro.

Ora, però, i discepoli sanno - e lo sappiamo anche noi - di non essere più soli.

 

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