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TESTO Credere per provare

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Pasqua (Anno B) (07/04/2024)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Sulla resurrezione ci sono criteri di attendibilità che vanno valutati e considerati. Forse non per convincere chi non vi crede che essa sia stato un evento reale, ma almeno per dimostrare che la nostra fede nel Signore Risorto non è difforme o contrastante dalla ragione e dalle facoltà intellettive.

Che motivo avrebbero avuto gli apostoli di Gesù e i loro immediati successori di esporsi a tanti rischi, compresa l'effusione del sangue, se l'oggetto del loro annuncio, ossia la resurrezione di Cristo, non avesse riguardato un fatto reale e attendibile?

Valeva la pena mettere a repentaglio la loro vita in mezzo alle fiere o nelle persecuzioni pagane per annunciare un avvenimento di cui non avessero avuto prova o almeno certezza evidente?

Che motivo avrebbe avuto Paolo, zelantissimo Giudeo convinto anticristiano e persecutore della Chiesa, di cambiare decisamente vita e spendere tutto se stesso per la causa di Cristo, se non fosse stato raggiunto da una reale chiamata divina, se non avesse avuto piena convinzione dell'oggetto del suo messaggio apostolico, il Cristo risuscitato che non muore più?

Come dirà poi lo stesso Paolo, “Se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra predicazione”(1Cor 15, 17)

Le donne ( o Maria Maddalena da sola secondo Giovanni) scoprono il sepolcro vuoto al mattino del primo giorno dopo il Sabato; corrono ad avvisare gli apostoli prima increduli e inebetiti; due di loro, fra cui Pietro, corrono al sepolcro, vi entrano e trovano le bende sparse per terra e il sudario ben piegato riposto in un angolo (Gv 20, 2 - 10). Chiunque avesse voluto fare estumulazione, non si sarebbe preoccupato di sbendare prima il cadavere e addirittura piegare e riporre il sudario su un lato a parte, quindi percorrere l'antro oscuro del sepolcro con i suoi meandri e il lungo corridoio fino ad uscirne. Qualsiasi operazione di sottrazione di un cadavere sarebbe stata commessa in forze e avrebbe destato l'attenzione delle autorità o almeno di altre persone nei dintorni. Tantopiù che si parla anche di un picchetto di guardia al sepolcro dopo la tumulazione del cadavere di Gesù.

Se Gesù non fosse risorto, non avrebbero senso nemmeno le varie comunicazioni epistolari fra Traiano e Plinio il giovane sul comportamento dei cristiani e sul loro diffondersi e altre documentazioni storiche su Cristo e sul suo movimento.

Se Cristo non fosse risorto, neppure oggi sapremmo nulla dei cristiani e probabilmente nulla sapremmo neppure di Dio. E' appunto grazie alla “narrazione” dei fatti di Gesù a partire dalla Resurrezione che si è poi sviluppata ogni forma di sapere su di lui.

Queste e altre motivazioni ci inducono a pensare che la resurrezione non può essere elemento di fantasia, ma un fatto certo e reale.

Ciononostante, la prima condizione per poter comprendere questo mistero non è l'intelligenza (ne è solo un supporto) ma la fede, cioè l'apertura del cuore e dello spirito alla manifestazione del mistero più esaltante che riguarda il passaggio dalla morte alla vita e che fonda le radici della Chiesa, appunto il fatto che Gesù è risuscitato. Nella resurrezione occorre cioè credere ed è quello che Gesù si sarebbe aspettato dai suoi discepoli una volta che questi avevano sentito parlare di lui risorto da parte di altri. Se alcuni a cui era apparso li avevano avvisati che egli era vivo, non avrebbero dovuto continuare a piangere, ma credere, cioè accogliere, vivere, gioire e così risollevarsi e abbandonare ogni sgomento. Invece, stando alla versione di Marco, Gesù deve rimproverare gli Undici apostoli per la loro durezza di cuore e ostinazione a non credere, nonostante l'ascolto di più testimoni oculari (Mc 16, 14). La fede è un atto libero e disinvolto, che non chiede spiegazioni e non lambicca e tantomeno pone resistenze. Si dispone semplicemente ad accogliere e a far proprio un mistero rivelato e vi accede senza riserve, facendo in modo che il soggetto credente lo renda parte della sua vita. Certamente, la fede è sorretta dalla scienza e dalla filosofia perché non può non legittimare se stessa, tuttavia nei riguardi della razionalità essa ha sempre il primato che le spetta.

Credere però è più arduo e difficile di quanto si pensi. Specialmente in una società come la nostra che è piena di imbonitori e ciarlatani, anche all'interno stesso della nostra Chiesa. Si pongono obiezioni alle affermazioni di determinati soggetti e alle presunte visioni e apparizioni, che in effetti richiedono molta circospezione e prudenza. Ma anche nei riguardi della verità rivelata e attendibile, non di rado si pongono obiezioni e recalcitramenti, che ci riguardano tutti, come nel caso di Tommaso. Questi viene definito l'emblema dell'incredulità e del “provare per credere”, poiché esige di voler toccare con mano i segni della croce e il costato di Gesù. Non si accontenta della parole degli altri compagni, ma vuole speculare e comprovare. Solo Gesù interviene per appagare questa sua insoddisfazione.

A dire il vero, Tommaso non è proprio l'unico a non accogliere il mistero del Risorto, se consideriamo che anche Pietro più volte ha vacillato nell'accettazione del Signore risorto; anche gli altri apostoli

In realtà la vera colpevole è la mentalità sofistica e raffinata che già Pilato aveva reso manifesta mentre interrogava Gesù: “E cos'è la verità”? Essa per lui e per tanti anche ai nostri giorni è il “provare per credere”, cioè la sperimentazione e l'esperienza tattica e sensoriale che si dice necessaria per poter credere, aderire e accettare. Essa ci coinvolge da tutte le parti, è diventata all'ordine del giorno in ogni situazione contestuale di ogni epoca e scoraggia la fede che deriva dall'annuncio e per questo merita accoglienza.

Fortunatamente Gesù ci ha dato un altro dono che ci permette di andare oltre e oltre che credere fare della fede un vissuto: lo Spirito Santo. Gesù lo dispensa ai suoi alitando su di loro perché possano essere credenti e testimoni del risorto a tutti coloro ai quali è destinata la salvezza, lo stesso Spirito che ci anima nella fede e che intanto va costruendo la comunità cristiana ed edificandola nell'amore e nella solidarietà (I lettura).

"La moltitudine di essi avevano un cuor solo e un'anima sola..." Tutto viene condiviso e ripartito non in senso distributivo o comunistico, ma provvedendo che a ciascuno venga concesso secondo le sue necessità,.Lo Spirito della fede, che diventa anche quello della comunione e del mutuo dono di sè; unico di confermarci nella vere fede, quella del "credere per provare"

 

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