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TESTO Alla fine spirava vento per le strade di Betania

don Angelo Casati  

V domenica di Quaresima (Anno B) (17/03/2024)

Vangelo: Gv 11,1-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».

38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Prima una sosta sull'aria che si respira tra riga e riga del racconto, persino nel bianco tra parola e parola. Poi la sosta sui verbi che chiudono il racconto e mi suonano come un appello. Prima l'aria che si respira. Importante l'aria che si respira. La vorrei evocare con una espressione semplice, ma carica di suggestioni se evoca volti: si respira un "volersi bene". Se togli i verbi duri degli oppositori di Gesù, è tutto un volersi bene. Noi usiamo spesso, e giustamente, dandogli la sottolineatura che merita, il verbo "amare", ma non gli facciamo un buon servizio, se amare diventa un amare appiattito, monocorde, unico tono. Il brano - lo ripeto sino alla noia - apre fessure sul mondo dei sentimenti di Gesù, dove l'intensità non ha un unico colore. La casa di Betania non era come tutte le case. Che fosse un volersi bene particolare lo si respira da tutti i pori del racconto.

E Giovanni lo dice espressamente, annota che Gesù voleva molto bene a Marta, a Maria e Lazzaro."Il tuo amico" dicono le donne "è malato". E il pianto svela un rapporto particolare: è una fessura, la gente si accorge. Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava". Il racconto è quasi tutto fuori dalla casa, per strada, ma la strada diventa casa, un sussulto di intimità, luogo di svelamento di sentimenti che prendono il colore degli occhi. E allora lasciatemi dire che sarebbe imperdonabile leggere parole come queste di Gesù quasi avessero il tono delle predicazioni, derubandole dell'intimità. Pensate come cambierebbero parole come queste se predicate dall'alto o quasi sussurrate con occhi umidi di pianto: "Sono io, Marta, la risurrezione e la vita. Mi credi?". E Marta a dire al suo amico: "Ti credo". Parole da leggere senza togliere loro il brivido dei sentimenti. Che dilagano, irrefrenabili, nel pianto di Gesù quando vede l'amica singhiozzare. Quasi non resistesse.

Sussurri sulla strada, cui sembra fare contrasto, pochi instanti dopo, la voce che diventa grido, di Gesù, nei pressi della tomba. "Detto questo - cioè dopo aver alzato gli occhi al Padre per ringraziare - gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!"". L'alto della voce è contro la morte, è contro ciò che trattiene inesorabile l'amico. E' una questione di cuore. Non è grido spettacolo, è grido dal cuore. E non vado oltre, forse ho già violato una soglia. Ora sosto sulle parole che fanno invito a tutti: sono al plurale nel brano, all'imperativo: "Togliete la pietra. Scioglietelo. Lasciatelo andare". E che cosa possono significare per noi? Negli imperativi di Gesù mi sembra di vedere quasi un suo invito a collaborare alla sua azione, che è dare vita. Gli sarebbe bastata una parola perché Lazzaro uscisse libero dalla grotta. Non sarà che i verbi siano un appello a noi, a noi che a Gesù diamo, come Marta, nome di "vita" e "risurrezione"? Ognuno di voi potrebbe sostare sui verbi e lasciarsi condurre da suggestioni. Le mie sono provvisorie, sono forse anche pensieri in disordine. "Togliete la pietra".

Quella pietra creava come una cesura, dura e definitiva: fuori la vita, dentro la fine della vita, il prima e il dopo, separati per sempre. Non è forse vero che noi parliamo del fine vita? Togliere la pietra non vorrà forse dire che la morte diventa passaggio, è Pasqua. E non perché vediamo, ma perché, come Marta, ci affidiamo. "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". E allora mi chiedo: non dovremmo forse educarci a cambiare pensieri e linguaggio e costumi? Parole come "morti": morti o viventi? Celebrazioni con il colore violaceo o spudoratamente nero? Accompagnare a morire o a vivere? Gli imperativi sono al presente e quindi mi risuonano nell'oggi: "Togliete la pietra, liberatelo, lasciatelo andare". Nei verbi scorgo un appello che dovrebbe accompagnarci nel viaggio della vita ogni giorno, al punto da essere riconosciuti discepoli del Maestro per questo: perché tra coloro che si portano dentro la passione, l'arte di togliere ciò che soffoca, di sfasciare, di lasciar andare. Mi guardo intorno, mi guardo dentro. E non sarà che abbiamo l'arte opposta, o meglio la pessima abitudine di aggiungere pesi, legare soffocando, frenare pensieri, sentimenti, passi?

La cattiva abitudine di mettere ostacoli, complicazioni a non finire, pietre. Pensate - è solo un esempio, ma illuminante - agli ostacoli che poniamo alla vita dei giovani, dei migranti, dei diversamente abili, degli ultimi. Pensate alle pietre che facciamo piovere su terre che già gridano distruzione. Sfasciate, liberate è l'imperativo. Viene a noi che siamo schematici, senza fantasia, costringiamo in ristrettezze. A noi che diciamo di amare e teniamo persone e istituzioni strette nei confini angusti dei nostri pensieri senza immaginazione. Abbiamo fatto pace con le pietre, con la loro durezza, che soffoca la vita. E che grazia invece quando nella vita ci accade di incontrare persone che hanno l'arte di sciogliere i nodi, hanno occhi che aprono alla fiducia, non sono ripetizione ma innovazione. E non sto pensando a chissà quali loro imprese, no, lo sono nel giro di una giornata qualsiasi, con il loro modo di essere. Ti cambiano l'aria, perché hanno il vento nei capelli e negli occhi. Lo sappiano o no, il vento dello Spirito che non sai di dove viene e dove va.

Il vento che alla fine spirava per le strade di Betania.

 

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