TESTO Il triplice annuncio
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
V Domenica di Quaresima (Anno B) (17/03/2024)
Vangelo: Gv 12,20-33
20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Come avvenne nel caso di Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco (Lc 19, 3), anche alcuni Greci desiderano conferire con Gesù. Chi sono costoro? Gerusalemme e la Giudea, del resto, ai tempi di Gesù erano il crocevia di molti popoli e nazioni, si realizzavano scambi etnici, culturali e commerciali provenendo tantissima gente dal Nord o dell'Est verso il Mediterraneo; a Gerusalemme il tempio era meta di pellegrinaggi da ogni parte del mondo allora conosciuto e l'unica lingua che poteva facilitare la comunicazione fra tutti era il Greco, utilizzato come lingua di comune comunicazione, come oggi l'Inglese. Anche i vangeli saranno redatti inizialmente in lingua greca, essendo questo l'idioma in uso presso l'impero Romano.
Non dovrebbe stupire quindi se alcuni Greci vogliono parlare con Gesù. Secondo alcuni studiosi si tratta di Giudei neofiti provenienti dal mondo pagano ellenistico, che, dopo essere approdati alla fede nel Dio d'Israele, hanno sentito parlare di Colui che per mezzo di opere, segni e miracoli è stato accreditato come il Messia atteso e adesso desiderano vederlo o avere un'interazione con lui. Fatto sta che chiedono di soffermarsi a parlare con Gesù persone del tutto estranee alla cultura religiosa d'Israele e differenti nelle concezioni e nelle impostazioni di pensiero. I Greci vengono infatti identificati come pagani, meglio ancora come “Gentili”, che in determinati casi vengono anche definiti “cani”, perché appunto distanti e avversi alla mentalità comune del popolo eletto.
Si tratta di popolazioni incentrate sulla paganità, affermata come politeismo quanto alla religione e di scienza empirica o filosofica per quanto riguarda la verità. Mentalità insomma elucubrate e raffinate o al massimo idolatriche, che non collimano con la fede nell'unico Dio onnipotente e amore.
Giovanni (che alcuni studiosi affermano essere stato influenzato dal Platonismo) mette in ballo due persone atte a comunicare proprio con loro: Filippo e Andrea, entrambi aventi un nome di origine greca (Amico dei cavalli e l'altro “Uomo in senso virile”); entrambi di Betzaida, città che per la sua posizione geografica poteva comunicare con i popoli della paganità. Sono essi a farsi intermediari di questi sconosciuti soggetti che ambiscono incontrare Gesù.
Come Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, che voleva vedere nel mezzo della folla “quale fosse Gesù”, anche questi Greci vogliono interagire con lui. Forse vogliono approfondire il mistero che porta con sé, affascianti dalla maestria del suo annuncio di cui avevano sentito parlare e colmare qualche lacuna spirituale, come la volta scorsa abbiamo visto fare a Nicodemo.
Gesù risponde ai loro intermediari a mio giudizio con un duplice annuncio: 1) il primo sembra essere rivolto a se stesso: non è ancora giunta la mia “ora”, quando con il concorso delle tenebre dovrò consegnarmi al padre per la salvezza di tutti, però è già iniziata l'universalità di salvezza del mio annuncio. Il mio vangelo conosce destinatari ben lontani dai soliti e anche presso di essi c'è chi lo ha recepito e forse accolto. Del resto “ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre”(Gv 10, 16). La croce sarà la realtà drammatica ma necessaria affinché sorga la Chiesa dal mio costato e allora “Non viè più Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti saremo uno in Cristo Gesù”(Gal 3, 28) e sarà la stessa comunità fondata sugli apostoli che annuncerà il Risorto a tutti i popoli fino ai confini della terra, ma adesso Gesù prende coscienza dell'universalità avvenuta del suo messaggio di salvezza e della sua identità messianica. Oltretutto non è la prima volta che sapienti intellettuali vengono attratti dal suo fascino e dalla sua grandezza, seppure umile e dimessa: astronomi speculatori si mossero dall'Oriente per adorarlo quando da Bambino giaceva nella mangiatoia. 2) Un annuncio ai Greci e per estensione a tutti coloro che sono avvezzi a cercare la verità nei soli sofismi e nel raziocinio. Speculazione e sapienza intellettuale sono affascinanti, esaltanti e anche necessari perché l'uomo scopra e coltivi il senso della propria vita; anche la filosofia, madre di vita, e la scienza empirica, quando non trascendano e non debordino, hanno il loro valore e la loro utilità e del resto l'uomo non è tale se non nella costante ricerca di se stesso e di ciò che lo circonda. La salvezza la vita piena però non si raggiungono con le sole elucubrazioni mentali e la Verità assoluta non ci è data dalla sola razionalità. Occorre il “chicco di grano che caduto nel terreno, quando muore porta molto frutto”. Il riferimento è evidentemente quello della morte di croce: come il chicco di grano, disperso fra le zolle di terra affronta il buio del sottosuolo ma apporta poi il suo frutto copioso di spighe, così il Figlio dell'Uomo Gesù affronterà l'oscurità del sepolcro per averne ragione e rinascere a nuova vita e dare a tutti la resurrezione e la vita. La croce ci darà la salvezza, la resurrezione la vita per sempre. Geremia ci ricorda (I Lettura) che la vera conoscenza di Dio si avrà a partire dalla comunione che Lui stesso realizza con noi nella forma dell'amicizia e dell'Alleanza, che sono le condizioni perché possiamo realizzare l'incontro che cambia la vita. Nella maggior parte dei casi, le conversioni alla religione cristiana non sono avvenute a forza di studi e di raziocini, ma in forza della grazia stessa di Dio e del suo mistero, che nell'incarnazione e nella morte rende possibile ciò che per la mente umana è inconcepibile. Secondo la canzone di De Andrè che riporta in nota “Il testamento di Tito”, non sono i moniti ampollosi e tassativi dei dieci comandamenti che avrebbero convinto il ladrone al pentimento ma... “Io nel vedere quest'uomo che muore ho provato dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l'Amore.”
3) Un annuncio agli stessi discepoli e di rimando a tutti noi. E' necessaria la tappa del legno patibolare perché si rinasca tutti; ma su di essa non servono studi, speculazioni astratte, occorre semplicemente assumerla. Con il Signore e nel suo nome occorre che siamo disposti a morire quali semplicissimi chicchi di grano per avere la via e averla in abbondanza e per esserne latori anche ai pagani più ostinati e refrattari. Come diceva Bonheffer “la Crocee ci fu data non perché la capissimo, ma perché vi ci aggrappassimo.” Nella prospettiva del dolore e della prova è importante ricordare a noi stessi la Croce, unica risorsa in grado di dare senso alle nostre apprensioni e a farcele accettare perché si fomenti la speranza di poterne uscire; e perché la speranza non ceda allo scoramento e alla disfatta, ma giunga all'obiettivo della pace e della gloria che si darà nella resurrezione.
Sarà Paolo successivamente nel suo discorso all'aeropago di Atene a rivelare che tutte le divinità che i pagani venerano senza conoscerle (il Dio ignoto) corrispondono al Dio Amore che si è fatto conoscere in Gesù Cristo e non occorre procedere più come a tentoni per la conoscenza della verità e perché da questa verità si possa avere la vita per sempre (At 17).