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TESTO Commento su Giovanni 3,14-21

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (10/03/2024)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,14-21

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Giuseppe Di Stefano

AMARE A BRACCIA APERTE

«Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna». (Gv 3,16)

I bambini misurano l'amore a bracciate più che a parole. Per dire "tanto", allargano le braccia più che possono, perché l'amore è vero solo quando si spinge al limite del possibile, del consentito. E così fa Dio, che ama distendendo le proprie braccia sulla croce, fino ad abbracciare l'intero orizzonte, fino a coprire anche la più impensabile delle distanze; ostinato, nel non volerne lasciare fuori da quell'abbraccio neppure uno. E non c'è dichiarazione d'amore che tenga dinanzi a queste parole: "Dio ha tanto amato il mondo...".

In quel "TANTO" è racchiuso il paradosso di Dio che ama nascondersi nell'infinitamente piccolo, che esagera consegnando la sua onnipotenza e il suo mistero all'impotenza e alla follia di un amore capace di abitare l'abisso della più grande lontananza e del peggiore dei fallimenti. Un Dio che osa amare senza timore, inchiodato ad un abbraccio senza ritorno, innalzato sul più infamante dei patiboli, come sulle spalle forti e grandi del papà. E tutto questo per CHIUNQUE, anche per uno soltanto. La croce è segno di come il mondo ha travisato Dio, di come lo ha emarginato e tolto di mezzo, bollandolo come fallito e perdente. Ma la morte non può portarsi via nulla, se l'amore ha già dato tutto, senza risparmio. Da quell'abbraccio esagerato, Dio non tornerà indietro. Resterà inchiodato a quell'amore che, in croce, gli ha aperto le braccia, fino a morirci dentro. Resterà lì, in quell'abbraccio, ostinato, senza ripensamenti, correndo persino il rischio di passare per fallito e perdente, a dirci, senza più bisogno di parole, che, quando si ama, non si perde mai. Eccolo il nostro Dio: uno che ama fino in fondo, fino a morire d'amore. A braccia aperte, spalancate, perché nessuno si senta escluso da questo amore. Ecco il perché di tanta gioia.

Insegnami ad amare a braccia aperte, anzi spalancate, come le tue, Maestro e Signore. Insegnami che l'amore è vero, solo quando può fare a meno delle parole, quando si spinge al limite del possibile, del consentito. Al di là del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, l'amore, più che cercare di comprendere, abbraccia, facendo cadere ogni resistenza o pregiudizio. E donami di restare come te e con te, mio Dio, inchiodato a quell'abbraccio senza ritorno, che niente e nessuno potrà mai chiudere. E anche quando tutti dovessero darsela a gambe, donami la grazia di rimanere, di abitare stabilmente la folle esagerazione di questo tuo amore, che tutto crea, abbraccia e salva.

 

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