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TESTO Caduta, ripresa. Ci sei

don Angelo Casati  

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Ultima domenica dopo l'Epifania (Anno B) (11/02/2024)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Le parabole di Gesù sono un incanto: era un rabbi, ma anche un poeta. Prima di sfiorare la parabola del fariseo e del pubblicano, vorrei con fiato sospeso fare sosta sul brano del profeta Isaia: un giuramento di bene, che Dio fa al suo popolo, che in esilio potrebbe anche pensare di essere caduto in disgrazia di Dio. Dio usa per sè l'immagine dello sposo; "Tuo sposo è il tuo creatore". L'immagine non rientrava nei catechismi: chi è Dio? Sposo! Nel creare si fa sposo, dunque di tutta la terra. Uno sposo speciale. E vero, "speciale" è aggettivo che usiamo per qualche persona che ci è molto cara, ma qui, allargando all'infinito, lo usiamo per Dio. In che senso?

Da un lato perché il suo amore non viene in risposta al nostro, precede e dall'altro perché risplende la sproporzione. E' uno che ama la sproporzione, anzi lui è sproporzione. Quella che sorprendi, e ti incanta, in un passaggio del brano di Isaia: "Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto ma con affetto perenne ho avuto pietà di te - dice il tuo redentore". Breve l'istante di abbandono, immenso l'abbraccio dell'amore; breve il nascondimento del volto, perenne la tenerezza. Non dire dunque: "Dio mi ha abbandonato", o sì, dillo quando il cuore è gonfio; lo ha detto pure Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Ma poi un sussulto e ti affidi, perché di Dio conosci gli occhi e quale luce li abiti. "Sposo" vorrei insistere. Non un rapporto padrone servo, e nemmeno mercante acquirente. Non c'è di mezzo un contratto, risplende la gratuità. Non sono determinanti le prestazioni, mi ama, anche se ho poco niente da ricambiare; lui è "fuori testa" nel volermi bene, è uno che non resiste alla tenerezza, ci prova, ma non ci riesce. Così Dio.

Ebbene a volte mi prende il dubbio che sia passata un'altra immagine di Dio. Più giudicante che tenero, più dominante che amante. Vengo alla parabola. Leggendola mi ha sfiorato una domanda: chissà se a ispirare Gesù a inventare la parabola del fariseo e del pubblicano non sia sia stato anche quello che era accaduto nella casa di Simone il fariseo con l'irrompere inatteso, scandaloso e tenero, della donna del profumo. Qualcuno potrebbe trovare strano che Gesù al fine - fine dichiarato - di mettere sotto accusa "alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri" - sua finito a parlare di preghiera, quasi la tua preghiera fosse una spia del tuo rapporto con il prossimo. Quasi che ci fosse legame tra casa del fariseo e il tempio. Sì, siamo nel tempio.

Geniale Gesù: gli basta un cenno alla postura dei personaggi a svelare il più profondo che li abita: "Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini... Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore" "Stando in piedi", "fermatosi a distanza": due modi di essere, di vivere. Il mio modo di essere, di vivere ha la figura dello stare in piedi ostentando o quella del fermarmi a distanza consapevole della piccolezza? E che cosa insegniamo? Non ci prende sospetto che tanti mali dell'anima e del mondo vengano dalla postura dell'ostentazione e del dominio e tanto bene dell'anima e del mondo dalla postura della piccolezza e del rispetto? Da dove vengono, lacerazioni, ingiustizie e guerre? E la mia postura?

Poi nel racconto ascolto, ascolto parole, ascolto il tono della voce nella preghiera del fariseo e del pubblicano, il tono fa la differenza: una declamazioni imponente dall'alto e una briciola di soffio dal basso. La lunga preghiera del fariseo che non sale, rimane incollata a chi la pronuncia: "pregava tra sé" annota acutamente Gesù. Penso a certe nostre preghiere che, dette come sono, farebbero dire a qualcuno: "Ma tu con una persona usi quel tono?". Un'invasione. A fronte, la piccola preghiera del pubblicano, una preghiera bellissima nella sua piccolezza, che in greco suona "Kyrie eleision", "Signore, abbi pietà". Purtroppo corre il pericolo di diventare una cantilena senza pensiero, senza che nulla l'accenda dentro. Penso alla mia voce, al tono della mia voce con Dio, e, a specchio, alla mia voce, al tono della mia voce con gli altri. Il mio tono fuori misura, "stando in piedi" è come di chi la scena se la vuole prendere tutta lui, parla solo lui, nessun ascolto.

Non c'è ascolto se non dalla terra della piccolezza, da coloro che riconoscono la propria piccolezza e accolgono quella dell'altro. Stare in piedi o fermarsi a distanza. A volte sembra di vivere in una società dove nell'aria si respira la prepotenza dello spirito, dei pensieri, dei gesti e non l'umile affaccio del pubblicano che cambia l'aria nel tempio. Nel tempio e fuori. Esce fatto giusto, porta la giustizia di Dio che è la tenerezza: non lo ha fatto sentire lontano, abbandonato, ma sposato: "Caduta, ripresa/Ci sei". Sono gli ultimi due versi di una poesia di una poetessa, mia amica Chandra Livia Candiani che ora vorrei leggervi:

Il punto in cui si smette di cercare
e ci si dispone a essere trovati,
qualcosa ama il numero dei miei capelli
non sa nome né storia
ma ha memoria di ogni singolo respiro
ama i battiti nella notte
i denti e i pugni stretti
ama lo spalancarsi delle braccia
nell'affidamento, il precario equilibrio
sull'orlo dei precipizi, e i passi oscillanti
sul lago appena ghiacciato.
Ti salvo. Salvo di te il soccorso
e la spinta, l'immisurabile
e il limite. Mi lascio accogliere
con la vigile mutezza
dei piccoli e dei selvatici.
Caduta, ripresa.
Ci sei.

 

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