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TESTO Commento su Matteo 2,1-12

fr. Massimo Rossi  

Epifania del Signore (06/01/2024)

Vangelo: Mt 2,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 2,1-12

1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda,

non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:

da te infatti uscirà un capo

che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

I Magi sono giunti da molto lontano, alla ricerca del Re dei Giudei.

“Re”: basta questa parola di sole due lettere a mandare in panico Erode, i suoi dignitari e tutta

Gerusalemme: Gesù è dunque re, ma in che modo? L'evangelista Matteo si preoccupa di collocare

il titolo e svolgere il tema della regalità di Cristo nel contesto della Passione, al cap.27: in

particolare, quando Pilato lo interroga, quando i soldati lo dileggiano, travestendolo da re di

burla,... Una regalità distante dal nostro stereotipo (di Re), al punto da sembrare una caricatura
irritante e blasfema.

Ma concentriamoci sui fatti che seguono immediatamente il Natale.

Troviamo un parallelismo, a dir poco stridente, tra il Bambino-Re-Messia e il re Erode: il secondo

ha paura del primo, come già, al tempo della schiavitù in Egitto, il Faraone aveva avuto paura del

(futuro) popolo di Israele, lo aveva condannato alla schiavitù dei lavori forzati, e aveva ordinato di

ucciderne i figli maschi, alla nascita. Erode fa altrettanto.

Ma c'è una differenza sostanziale tra i due monarchi: Erode ha paura di colui che è venuto al mondo
non per essere nemico del suo popolo, ma per salvarlo.

Ripartiamo dall'inizio: già nella genealogia di Gesù, inserita da Matteo nei primi 17 versetti del suo

Vangelo, emerge un primo riferimento alla regalità di Gesù, in quanto discendente dal Re Davide.

Ma, tra Davide e il Nazareno c'è l'esilio a Babilonia, che segnò per Israele la fine del regno, ma

non del suo peso politico... i fatti ai quali stiamo assistendo ne sono una triste conferma.

Il racconto dei Magi presenta il tema del Cristo cercato e rifiutato.

Il Messia è segno di contraddizione, secondo quanto il vecchio Simeone aveva predetto a Maria

nel Tempio. Fin qui, nessuna sorpresa per il (pio ) Israelita: la Scrittura lo ha educato a pensare che

la Parola di Dio e ogni Sua manifestazione costituiscono una forma di giudizio: alcuni lo accettano,

altri lo rifiutano. La sorpresa arriva però dalla nascita di questo bambino a Betlemme e

dall'evolversi della vicenda; man mano che la storia progredisce, cresce anche il rifiuto; ripeto, non

da parte dei lontani, degli estranei, ma dai correligionari del Nazareno.

Matteo evidenzia questo particolare fin dai primi capitoli del suo Vangelo.

Sullo sfondo del racconto è la profezia di Isaia cap.60, nella quale si racconta di popoli giunti a

Gerusalemme con le loro ricchezze. I Lontani cercano il Messia e lo accolgono.

Tutto il Vangelo è segnato da questa (positiva) novità: pensiamo alla parabola dei vignaioli omicidi

(21,33ss), o a quella del banchetto di nozze (22,1-14), che si concludono con il passaggio del regno

dall'infedele Israele ai pagani, un passaggio già previsto da Dio e dunque integrato nel suo progetto
di salvezza.

Tuttavia la novità non implica un cambiamento nell'agire di Dio, al contrario: Dio non fa' che

applicare il principio-cardine che emerge ad ogni pie' sospinto dalle Scritture: l'accoglienza

della Parola quale criterio decisivo; là dove c'è accoglienza, c'è disponibilità a convertirsi; e la

conversione è ciò che distingue coloro che entrano nel regno dei cieli, da chi invece rimane fuori.
Si va di sorpresa in sorpresa!

Peccato che il Vangelo di oggi termini con l'uscita di scena dei Magi... Continuando la lettura

scopriamo che il Messia, rifiutato da Erode & co. vince; praticamente l'ultima parola è del Messia.

Al cap.2, v.19, l'angelo convince Giuseppe a ritornare dall'Egitto, perché “coloro che volevano

uccidere il bambino sono tutti morti”. E così il Salvatore torna dal suo popolo, in attesa di dare

inizio alla Sua vita pubblica, e all'annuncio della salvezza.

Leggendo tutto il Vangelo di Matteo, scopriamo che il calvario annunciato e vissuto dal Messia si

trasforma in trionfo sul male e sui suoi operatori. Esattamente come nella vicenda (iniziale) di
Erode. La potenza di Dio è nascosta nella fragilità.

L'Incarnazione è l'apparire di Dio nell'umiltà della nostra carne; trent'anni dopo, la vita sarà

esaltata dall'Onnipotente attraverso la debolezza e lo scempio della croce.

Nell'affresco tracciato da Matteo non c'è soltanto la persona di Cristo, c'è anche la Chiesa nascente

e presente: la vicenda dei Magi introduce i temi della missione e dell'universalità della salvezza.

Il popolo di Dio ha sempre vissuto una tensione difficile tra elezione e universalismo. Implicita o

esplicita, la convinzione di essere migliori; anzi, proprio la consapevolezza di essere più bravi è il

motivo per il quale andiamo a portare il messaggio della salvezza a coloro che non lo hanno ancora
ricevuto, o se lo sono dimenticato.

Anche il carisma dell'annuncio può essere equivocato, interpretandolo come privilegio, come

una carità da superfluo, più che come la naturale conseguenza di un dono ricevuto

immeritatamente da Dio. “Siamo servi inutili, abbiamo fatto solo il nostro dovere”, ci ricorda
san Luca (cap.17).

Potremmo dire che la vocazione alla missione costituisce una grande inclusione; nel senso che

inizia e conclude il Vangelo. Ma c'è una differenza tra il messaggio dei Magi e l'invio degli Undici

da parte del Risorto: mentre i Magi, simbolo delle genti, si muovono verso Betlem, la consegna del

Cristo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni...” precisa che la missione non consiste (più)

nell'attrarre i popoli a venire, ma nell'uscire noi-Chiesa dalle comodità di un ovile ormai

imborghesito, per andare a cercare coloro che nell'ovile non ci sono ancora entrati, o dal quale sono

usciti, magari perché scoraggiati, non accolti, o addirittura emarginati e cacciati...

 

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