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TESTO La gioia di starcene al nostro posto

don Alberto Brignoli  

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III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (17/12/2023)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,6-8.19-28

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Il cammino di Avvento è ben inoltrato, e quest'anno ancor di più, perché è un Tempo di Avvento talmente corto che questa terza domenica, più che di metà cammino, pare una domenica “di vigilia”, visto che la prossima domenica sarà letteralmente la Vigilia di Natale... Per questo, il tema della gioia che caratterizza da sempre la terza domenica di Avvento, quest'anno lo avvertiamo in maniera ancor più intensa proprio per la prossimità al 25 dicembre. E allora, quell'atmosfera natalizia, tutte quelle luci e quegli addobbi che pervadono già da alcuni giorni le nostre strade, i nostri paesi e le nostre città, sono una meravigliosa cornice (sperando che restino sempre e solo una cornice) al tema che caratterizza questa domenica e i giorni della Novena che essa inaugura, ovvero il tema della gioia.

La prima e la seconda lettura, così come il salmo responsoriale, sono pieni di riferimenti alla gioia e all'esultanza: gioia perché il Signore ci riveste con “le vesti della salvezza e con il manto della giustizia” (come dice Isaia); gioia perché - come il Cantico della Beata Vergine María ci fa pregare - “Dio ha guardato all'umiltà della sua serva” per portare a compimento la sua promessa di salvezza; gioia per l'imminente venuta del Signore alla quale Paolo ci invita a prepararci con tutta una serie di atteggiamenti che da soli valgono un manuale di etica o anche solo di buone maniere e di pacifica convivenza.

C'è poi la lettura del Vangelo - la quale solitamente attira in maniera preponderante la nostra attenzione per quanto riguarda il tema della Liturgia - che invece oggi si rivela priva di qualsiasi riferimento alla gioia. Anzi, se c'è un personaggio che esprime tutto tranne che sentimenti di gioia, questi è proprio Giovanni il Battista: austero, rude, severo nelle sue espressioni, poco affabile soprattutto con i potenti del suo tempo, schietto fino all'antipatia con chi viveva una religiosità fatta di apparenze e falsità... insomma, non uno che sprizzasse gioia da tutti i pori, neppure per l'imminente venuta del Cristo che egli stava annunciando. Eppure, leggendo tra le righe del testo di Giovanni (a cui oggi Marco lascia spazio), possiamo scoprire che quanto il Battista dice di sé e della propria missione testimonia una serenità di fondo, quella serenità che rappresenta la vera gioia, una gioia profonda che, spesso, poco ha a che vedere con il nostro concetto di gioia.

Per noi, infatti, la gioia ha una connotazione ben precisa: coincide con la felicità, la serenità sul nostro volto, il sorriso sulle nostre labbra, la luce che brilla nei nostri occhi, e a volte ci concentriamo così tanto sull'aspetto “esteriore”, “visibile” della gioia, che arriviamo a enfatizzarlo anche attraverso una serie di atteggiamenti che con la gioia hanno a che fare solo marginalmente, anzi, spesso ne sono totalmente avulsi. E allora, essere felici per noi vuol dire divertirsi, fare mattate e stramberie, andare fuori di testa, “sballare” (magari anche attraverso qualche aiutino di tipo etilico o chimico...), non avere pensieri anche solo per qualche ora... poi, però, quelle ore passate a divertirsi, come ogni cosa, terminano, e se la gioia ha coinciso solo con la superficialità del divertimento e non ha gettato le proprie radici in qualcosa di più profondo, la fine dei momenti di felicità lascia nel cuore e nell'anima un'amarezza e un'angoscia che portano al vuoto interiore, al senso di inutilità delle cose.

Di quale gioia, allora, è portatore il Battista? Qual è la gioia che riempie il cuore di chi, come lui, non ha espressioni esteriori particolarmente felici, eppure vive di quella serenità interiore che caratterizza la vita dei giusti? La possiamo intuire dalle sue risposte ai leviti e ai sacerdoti che erano andati a interrogarlo in vista di una sua possibile incriminazione come falso profeta o falso messia. Egli non si presenta come il Messia o Cristo, figura che a quel tempo il popolo d'Israele attendeva con ansia perché potesse liberarlo dall'oppressione di Roma; non si presenta neppure come un profeta o come Elia, che secondo la tradizione doveva tornare sulla terra per annunciare l'imminente arrivo del Messia (e in questo ruolo, Giovanni ci stava alla perfezione); non è la luce che viene a rischiarare le tenebre dell'umanità; il suo battesimo non è il tentativo di creare una setta della quale proclamarsi “santone”. Niente di tutto questo. Giovanni si presenta come il testimone della luce che rischiara le tenebre; si presenta come la voce che grida nel deserto l'arrivo del Signore; si presenta come un servo, anzi, ancor meno che un servo, indegno addirittura di slegare il laccio del sandalo al suo padrone, men che meno di prendere il suo posto nella gestione della casa.

E tutto questo, è ciò che per lui rappresenta la vera gioia, quella che alberga nel profondo del cuore dei giusti: la consapevolezza, cioè, che la nostra vita ha senso e acquista serenità nella misura in cui sta al proprio posto, nell'umiltà delle retrovie, dietro le quinte del palcoscenico dell'esistenza, per lasciare posto a chi, davvero, quel posto lo deve occupare. Cosa che dona profonda serenità al cuore del giusto, perché sa che la sua vita non può provare gioia se non nel fidarsi e nell'affidarsi a chi veramente è protagonista della storia.

Uno dei tormenti più profondi dell'umanità, oggi, è invece proprio quello di volersi sentire considerati, al centro dell'attenzione, spesso portati anche in palmo di mano o su un piedistallo, acquistando quella visibilità che si conquista sulle piattaforme virtuali, quasi fossero il luogo della raggiunta felicità, per cui più followers hai, e più sei felice, più like mettono a ciò che pubblichi, e più ti senti realizzato.

Ma la vera gioia non è quella. Vera gioia è quella che il Battista, qualche capitolo più avanti nel vangelo di Giovanni, rivelerà ai suoi discepoli: “Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: Non sono io il Cristo, ma: Sono stato mandato avanti a lui. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire”.

Quanta vera gioia avremmo nel mondo, se fossimo maggiormente consapevoli della necessità di starcene al nostro posto, dietro di Lui...

 

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