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TESTO Convertirsi all'essenziale

don Alberto Brignoli  

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II Domenica di Avvento (Anno B) (10/12/2023)

Vangelo: Mc 1,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,1-8

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

3Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri,

4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Dopo averci dato un assaggio dei suoi testi la scorsa domenica, il Vangelo di Marco - che, lo ricordo, ci accompagnerà lungo tutto quest'anno liturgico - oggi si lascia leggere a partire dai suoi primi versetti, dall'inizio. E “inizio” è proprio la prima parola con cui esordisce l'opera di Marco. Come “inizia” il Vangelo di Marco? Senza tanti fronzoli, in maniera scarna ed essenziale, pronunciando tre nomi, citandone un altro, e presentandone un quinto, l'unico in tutto questo brano a esser lì presente, in carne e ossa.

I tre nomi che pronuncia sono relativi a un'unica persona: “Gesù, Cristo, Figlio di Dio”. Il primo nome, Gesù, ci dice la sua identità: un giovane uomo di Nazareth, falegname di professione, che a un certo punto della sua vita inizia a predicare, ad “annunciare il Vangelo”. Il secondo nome, Cristo, ci indica la sua missione: è un “consacrato”, uno “scelto da Dio” per fare quello che deve fare, ossia annunciare il Vangelo. Questo significa che ciò che egli è venuto a dire e a fare, non lo fa di testa sua, ma lo fa in nome di Dio. E il rapporto che egli ha con Dio è un rapporto molto particolare, perché non è solo uno dei tanti suoi consacrati, ma è anche e soprattutto suo Figlio: e questo è proprio il terzo dei nomi che Marco indica all'inizio del Vangelo. Gesù è Figlio di Dio: questa caratteristica non indica solamente la sua natura divina, ci dice anche il compito della sua missione, annunciare al mondo che egli è Figlio di Dio, e che in lui anche noi possiamo diventare Figli di Dio. Quest'ultimo, è un percorso che ci accompagnerà lungo tutto il Vangelo di Marco, tant'è vero che si concluderà solamente sotto la croce, quando Gesù verrà riconosciuto “veramente Figlio di Dio” non dai Giudei né tantomeno dai suoi discepoli, quanto da un pagano, il centurione.

Il quarto nome che viene citato da Marco è quello del profeta Isaia, vero protagonista di tutto il periodo di Avvento. Marco riporta le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura, che fanno parte di quei capitoli del libro di Isaia chiamati “Libro della Consolazione di Israele” (le prime parole della lettura ce ne chiariscono il motivo), ovvero quell'insieme di parole di speranza pronunciate al popolo d'Israele mentre si trova in esilio nella terra di Babilonia, in ansiosa attesa di sapere se e quando avrebbe fatto ritorno in patria.

A queste parole di Isaia fa da cassa di risonanza il quinto dei nomi presentati da Marco, l'unico oggi presente di persona, Giovanni, la “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore”. Il Battista è descritto da Marco con una fortissima valenza profetica, perché ha le stesse caratteristiche del più grande dei profeti di Israele, Elia, simile a lui anche nella sua vicenda storica: entrambi vivono come nomadi, entrambi vestono selvaggiamente con gli stessi abiti e mangiano cibi di fortuna, entrambi lottano con forza contro i rispettivi sovrani del loro tempo, i quali a loro volta sono sostenuti da due consorti (le regine Gezabele ed Erodiade) che fanno di tutto per rovinare, riuscendoci, la vita dei due profeti. Ascoltare, quindi, l'invito di conversione che Giovanni ci rivolge in questa seconda domenica di Avvento, ci rimanda direttamente ai contenuti della predicazione di Elia, mandato da Dio per riportare sulla genuina via della fede dei Padri un popolo che si era perso dietro ai culti di altri popoli stranieri introdotti nel Regno proprio dalla famiglia reale. Il concetto di fondo della loro predicazione era il medesimo: ritornare a vivere con Dio un rapporto genuino, puro, essenziale, vero.

Attraverso il battesimo come rito per ottenere il perdono dei peccati, Giovanni chiede ai suoi uditori di operare una conversione, un cambiamento di mentalità e di comportamento nel nostro rapporto con Dio, basato sulla riscoperta di una fede essenziale, proprio come Elia la viveva e predicava. Oggi, Giovanni ci chiede un cammino di conversione non attraverso il battesimo (che nella stragrande maggioranza dei casi riceviamo da piccoli, quando nessuno di noi ha bisogno di conversione), bensì sotto forma di “cambio di mentalità”, di cambio di prospettiva, di cambiamento della vita di fede, soprattutto del nostro modo di vedere Dio. Perché c'è bisogno di questo cambio di mentalità? Probabilmente perché non è così ovvio e scontato che il nostro rapporto con Dio sia basato sull'essenzialità. E in effetti, abbiamo ancora molto da imparare, su questo aspetto.

La nostra vita di fede, così come spesso la nostra stessa esistenza quotidiana, manca di essenzialità. Anche noi, come il popolo di Dio al tempo di Elia prima e di Giovanni poi, viviamo una fede farcita da tutta una serie di ingredienti che con Dio e con il suo messaggio hanno ben poco da vedere. Invece di stare in contatto con la Parola di Dio leggendo la Bibbia, farciamo la fede con un'abbondanza di elementi dottrinali e catechetici che, per quanto suggestivi e importanti, non fanno altro che nasconderci la visione chiara ed essenziale di Dio. Invece di partecipare ai Sacramenti e di viverli con l'essenzialità con cui i riti ce li hanno tramandati, li farciamo con tutta una serie di elementi più o meno paganeggianti che poi mascheriamo di solennità. Invece di vivere la carità cristiana immediata e spicciola, fatta di elemosina e di solidarietà quotidiana, farciamo l'attenzione verso i più bisognosi con un mucchio di programmi e di iniziative che pullulano in determinati periodi dell'anno, come quello natalizio che stiamo vivendo, e nel resto dell'anno ci dimentichiamo dei nostri fratelli che, anche se non è Natale, continuano a morire di fame, di sete, di freddo e delle peggiori malattie.

Se è vero, come lo è, che il nostro Dio è un Dio della Vita e della Speranza, il messaggio cristiano, per tornare a essere essenziale e genuino, deve avere al centro della propria predicazione e della propria azione pastorale l'annuncio della Speranza, l'annuncio di un Dio teneramente misericordioso e prossimo, che chiama a sé ogni donna e ogni uomo, invece di allontanarli con la pesantezza delle nostre strutture (che poi sono sempre da mantenere attraverso esasperate ricerche di fondi...) o con la formalità delle nostre norme e dei nostri comportamenti, anche all'interno della Chiesa.

Non basta di certo questo cortissimo Tempo di Avvento per attuare una profonda conversione, però, quantomeno, vediamo di iniziare subito!

 

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