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TESTO Non squarcia i Cieli, scende squarciando se stesso

padre Gian Franco Scarpitta  

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I Domenica di Avvento (Anno B) (03/12/2023)

Vangelo: Mc 13,33-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

L'Avvento che comincia oggi come tempo di preparazione al Natale ha il significato della Venuta, cioè della prospettiva certa di qualcosa che viene o che sta per realizzarsi. Ma allo stesso tempo comporta anche un'attesa fiduciosa, serena e costruttiva che procede man mano che si realizza codesto fenomeno della Venuta. Chi “viene” è il Natale del Signore nella carne: Dio onnipotente, creatore di tutte le cose, nella persona del suo Verbo eterno (Gv 1, 1), immensamente grande e provvidente, decide di incarnarsi uomo fra gli uomini, diventando uno di noi senza omettere alcun particolare della nostra esperienza, neppure l'infanzia più umile e abbandonata. Si farà quindi uomo, anzi Bambino esile e indifeso, per assoggettare se stesso a tutte le procedure della vita umana sin dal suo sorgere sottomesso a due semplici genitori terreni che lo cureranno privi di ogni sicurezza e di ogni sostegno adeguato. Da parte nostra vi è l'attesa nella predisposizione spirituale e nell'accrescimento dell'interiorità, perché la nostra identità sia reale e non fittizia per potersi concedere agli altri nella gioia e nella condivisione. In parole più semplici, mentre il Bambino di Nazareth viene a trovarci, noi ci prepariamo ad andargli incontro, non con un'attesa spasmodica e trepidante, ma con una gioia rinnovata sempre più e accresciuta dalla preghiera, dalla riflessione, dall'incontro più approfondito con noi stessi affinché possiamo migliorarci ed elevarci per essere pronti a donarci agli altri nella carità fraterna e nella condivisione. Come quando si attende l'arrivo di un ospite importante al quale teniamo particolarmente: non si vede l'ora che venga a casa, ci si rallegra nella prospettiva che fra poco sarà con noi, gli si prepara il pranzo più succulento, si provvede alle pulizie e il nostro animo è lieto e contento e abbiamo anche studiato tutte le regole del buon comportamento e della sana disciplina.

Intensificare la spiritualità la vita interiore in vista della venuta del Fanciullo Divino esaltando il clima di festa corroborato dalla coreografia esteriore della luminosità che pure è necessaria purché non deviante, ci rallegra e ci motiva nella gioia di un incontro prossimo ed esaltante. Soprattutto considerando che a venire a trovarci è Dio stesso, la Perfezione assoluta che si rende semplicità di vita nei percorsi della vita umana.

Che Dio venga è assai urgente per noi uomini, chiamati ad essere pellegrini ma di fatto raminghi.

Ai nostri giorni, quando determinati eventi scabrosi di cronaca si attribuiscono alla discriminazione di genere e ci si domanda cosa porti le persone a commettere delitti macabri e assurdi, diventa di estrema attualità la considerazione di Isaia (62 - 63) di cui alla Prima lettura odierna: perché, Signore, non intervieni sulla durezza del nostro cuore e lasci che continuiamo nelle nostre vie perverse? Perché infondi nel nostro animo il buon senso, il raziocinio, la cultura dei valori e soprattutto quello spirito di fede che non è affatto avulso dalla vita quotidiana? Perché non fai in modo che chi vi aderisce sia davvero testimone della tua parola? Nello scenario dei conflitti e delle belligeranze che non accennano ad avere fine neppure di fronte alla possibilità di concrete mediazioni, trattative e soluzioni di pace almeno negli ostaggi, tante vite umane innocenti vengono stroncate dalle continue deflagrazioni, e noi auspichiamo davvero quanto lo stesso Isaia desidererebbe: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”

Certo, se davvero Dio incombesse irruente su questa terra, non farebbe più mistero di se stesso e la sua preponderanza sarebbe così evidente che tutti trepideremmo dal terrore, ci umilieremmo davanti alla sua magnificenza e ossequieremmo la sua Maestà invitta. Intraprenderemmo un cambiamento di vita rapido e repentino, animati più dall'apprensione e dallo sgomento che dalla responsabilità di coscienza. Le attuali mode anticlericali e razionaliste cederebbero il posto alle implorazioni di pietà e di misericordia. Se Dio squarciasse davvero i Cieli, faremmo di tutto per non farci squarciare anche noi.

Eppure la meraviglia del Natale verte proprio in senso del tutto opposto: Dio viene a trovarci, non squarciando i Cieli, ma “squarciando e sprezzando” se stesso! Nonostante sia Dio, spoglia se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2, 1 - 6), al punto da perdere la propria dignità nelle vesti di un esile bambino indifeso; fino a accettare la persecuzione di scribi, farisei altri che vorranno fargli la pelle e fino a consegnarsi senza riserve all'ignominia, all'insulto e alla morte struggente sulla croce. Dio che raggiunge l'uomo per elevare l'uomo, per restituirgli la sua vera identità, per recuperarlo alla vera gioia perenne e sottrarlo a quelle che sono le soddisfazioni momentanee. Quindi per spianargli la strada al suo vero destino: la vita eterna.

Questa è allora l'aspettativa delle quattro settimane di Avvento: la predisposizione interiore alla gioia di un incontro vero, esaltante, con il Dio Bambino che vuole invitarci, già con la sua stessa Infanzia divina, a un nuovo tenore di vita.

A dire il vero, l'Avvento non è solamente un tempo liturgico. Dio in Gesù Cristo ci ha messi al corrente che come uomini viviamo di memoria del passato, impegno nel presente e attesa del futuro e anzi Gesù è lo stesso Cristo “ieri, oggi e sempre”(Eb 13, 8), non ha mai cambiato identità, è sempre stato coerente con se stesso e con noi e per ciò stesso è il nostro passato, il nostro presente nonché l'avvenire. E' colui che è, che era e che viene (Ap 1, 8) che prevarica il tempo e ne ha ragione, essendo egli eternità e onnipotenza infinita, ma per ciò stesso è altrettanto capace di vivere accanto all'uomo condividendo la sua esperienza di temporalità e accompagnandolo appunto nella storia. Gesù è il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro, quindi sulla scia di Bernardo di Chiaravalle e di altri autorevoli teologi possiamo concludere che esiste un triplice Avvento: quello del Gesù che è già venuto nell'evento di Betlemme oltre duemila anni or sono, quello del continuo “venire” di Gesù nella vita presente, poiché secondo la sua promessa egli è con noi tutti i giorni (Mt 28, 16 - 20); quello del suo avvento definitivo alla fine dei tempi, quando all'epilogo della storia saremo giudicati sull'amore.

L'Avvento di queste settimane, predisposizione dell'animo al 25 Dicembre, giorno di peculiare gioia nella celebrazione dell'Evento che lega la terra al Cielo, è pur sempre un riflesso del continuo venire di Dio ieri, oggi e domani. Colui che viene riempie quindi il vuoto desolante che l'uomo si procura con la sua ostinazione a prescindere da Lui, risponde con l'amore all'apatia e all'indifferenza umanamente tipica con cui si tende al “fai da te” dell'etica e della religiosità, che si rivela dannoso per la nostra esistenza.

Questo tempo privilegiato a cui la Chiesa ci invita dal IV secolo ci ravvisa della continua presenza di Dio nella nostra vita e ci esorta a non considerarlo come un estraneo o uno sconosciuto. Il Veniente è con noi ieri, oggi, sempre, in ogni manifestazione e in ogni occasione in cui Lui stesso voglia realizzare l'incontro, ma quando saremo capaci di percepirne la presenza? Quali sono le possibilità di riscontro della sua ineffabilità e del suo misterioso esserci che Heidegger identificherebbe come “l'aver cura” e il “prendersi cura” sia da parte sua che da parte nostra?

Come Gesù stesso esorta in altre occasioni, occorre “vegliare” e non lasciarci cogliere dal torpore e dall'indolenza. Anzi oggigiorno, a detta di Paolo “è tempo di svegliarvi dal sonno, perché la vostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.”(Rm 13, 11 - 14).

Occorre in definitiva convertirsi per guardare oltre le apparenze e per avere il lume necessario per vedere ogni cosa sotto un'altra ottica, quella della fede sulla quale si fonda la speranza e in virtù della quale ogni cosa assume nuovi connotati per vedere ciò che ci ostiniamo ad ignorare. Convertirci è il primo atto per la concretizzazione dell'Incontro che fa seguito all'Avvento.

 

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