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TESTO Non basta attendere che si squarcino i cieli!

don Alberto Brignoli  

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I Domenica di Avvento (Anno B) (03/12/2023)

Vangelo: Mc 13,33-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Quante volte ci capita di invocare un intervento forte di Dio sulla storia e sulle vicende dell'umanità...

Di fronte a guerre e violenze, nelle quali a pagare il prezzo più caro sono sempre i più deboli, ci viene certamente da invocare la mano del Signore, perché risistemi le cose anche con le maniere forti: tant'è, peggio di così le persone colpite da anni di conflitti e di guerre, di minacce e vessazioni, non possono certo stare.

Quando accadono calamità naturali che poi si scopre potevano essere evitate, o quantomeno limitate nei danni, ti viene spontaneo chiedere a Dio di rivolgere il suo sguardo sulle persone che soffrono a causa di queste tragedie e di fare loro giustizia, e di farla pagare a chi ha sulla coscienza morte e distruzione per la sua imprudenza o per spregiudicate scelte politiche.

Quando poi guardiamo all'altalenante andamento dell'economia, e a tutti quei giochi speculativi i cui danni maggiori vengono sempre e comunque pagati dai lavoratori più poveri e più onesti, i quali non sanno nemmeno cosa significhi evadere il fisco o rubare perché sono altri che lo fanno alle loro spalle... allora il grido del profeta Isaia rivolto a Dio nella lettura che inaugura questo tempo di Avvento diviene anche il nostro accorato e attualissimo grido: “Se tu, Signore, squarciassi i cieli e scendessi!”.

Da più parti, infatti, invochiamo dall'alto interventi risolutivi per situazioni che in ogni parte del mondo l'umanità si trova a vivere, e le cui vie d'uscita sono talmente lontane dalla nostra capacità di comprensione che inevitabilmente siamo portati ad affidare a qualcuno di forte il compito di rimettere a posto le cose.

Questo avvenne pure per la storia d'Israele (non solo quella attuale, ma anche quella passata), riletta oggi dal profeta Isaia in forma così drammatica. Israele si è trovato spesso a interrogarsi sul venire meno della presenza di Dio nella sua storia: e se la maggior parte degli Israeliti non riusciva a trovare altra spiegazione se non l'allontanamento dello sguardo di Dio dalle vicende del suo popolo, i profeti di turno erano mandati da Dio stesso a ricordare al popolo le proprie infedeltà, e quindi la necessità che il popolo tornasse a Dio con tutto il cuore, onde evitare tragedie e sciagure peggiori.

Ma altrettanto frequentemente, oggi, noi - pur interrogandoci con tutta onestà - non riusciamo a sentirci responsabili di molte delle situazioni che stiamo vivendo. A noi pare che davvero Dio, senza alcun motivo apparente, ci abbia “nascosto il suo volto mettendoci in balìa delle nostre iniquità”. Ognuno di noi ha le proprie colpe, senza dubbio: ma il Dio misericordioso annunciato da Gesù nel Vangelo non ci ha mai parlato di castighi mandati da lui e meritati da noi a causa delle nostre condotte malvagie...

Perché, allora, il Signore ci lascia “vagare lontano dalle sue vie”? Perché questo apparente silenzio di Dio sulle vicende umane? Come fare in modo che questo grido disperato di “squarciare i cieli e scendere” possa essere da noi vissuto non come un'espressione di rabbia nei confronti dell'abbandono di Dio, ma come l'espressione di una forte necessità di speranza?

La natura stessa del Tempo di Avvento che oggi iniziamo può essere motivo di rinascita della virtù della speranza, la quale non può mai venire meno, soprattutto in periodi di crisi come quelli che da tempo, ormai, l'umanità si trova a vivere. L'Avvento è un tempo di attesa, e quindi di speranza. Aspettare, attendere, significa vivere nella speranza che l'evento che si sta aspettando si possa compiere il più presto possibile e nel migliore dei modi. Attendere una persona che viene a farci visita da molto lontano e dopo molto tempo significa anche sperare che il suo viaggio vada bene, che avvenga senza problemi; attendere la nascita di un figlio è insieme sperare che nasca sano e in un ambiente sereno; aspettare il proprio turno per ottenere un documento o per avere un appuntamento significa pure sperare che ciò avvenga in fretta, senza troppe lungaggini, e così via.

Ma l'attesa del Tempo di Avvento non è un'attesa paziente e inoperosa. Aspettare che Dio “squarci i cieli e scenda” a risolvere le nostre situazioni non significa stare con le braccia conserte “in attesa” di una soluzione il più possibile rispondente alle nostre “attese”. Quella d'Avvento è un'attesa simile a quella che il Vangelo di oggi, affidato quest'anno alla narrazione di Marco, ci invita a vivere, ovvero un'attesa “vigilante”: quell'attesa creata da un padrone che assentandosi per molto tempo lascia diversi incarichi ai propri dipendenti; i quali, nell'attesa del suo ritorno, si danno da fare per assolvere nel migliore dei modi a questi compiti. Il ritorno del padrone non è per nulla scontato e per nulla programmabile, e per questo è tanto più necessario che l'attesa non sia inoperosa e pigra, ma piena di stimoli a fare il bene, e a farlo nel migliore dei modi. La parabola dei talenti che abbiamo ascoltato due settimane fa ce lo ha spiegato molto bene.

E allora, aspettare che qualcuno venga a risolvere le difficoltà che viviamo in un determinato periodo storico o in una particolare situazione personale senza preoccuparci di fare la nostra parte, pur modesta che essa sia, non risponde certo a uno spirito cristiano di affrontare la vita e le difficoltà che essa ci pone di fronte, ogni giorno e nelle diverse epoche storiche.

Sicuramente, non abbiamo la bacchetta magica per trasformare in un solo colpo la realtà così come vorremo che fosse: ma da veri credenti in Cristo, nessuno di noi può esimersi dal compito di trasformare la società nella quale vive, con i suoi problemi ma anche con le sue opportunità, attraverso un'operosa attesa di tempi migliori, la cui realizzazione rimane sempre nelle mani di Dio, nel quale continuamente dobbiamo riporre le nostre speranze e quelle dell'umanità intera.

 

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