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TESTO Commento su Matteo 25,14-30

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2023)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Eccoci di fronte a un'altra parabola del “ritardo”, un racconto che ci interpella nelle pieghe del tempo. Ancora una volta, il tempo dell'attesa si snoda silenzioso, sfuggente come un'ombra, eppure la sua storia rimane inascoltata. Iniziamo con le premesse, ma subito ci catapultiamo alla fine, al momento del rendiconto conclusivo. È un appello a riflettere su come spesso trascuriamo il cammino, concentrando l'attenzione solo sul traguardo, perdendo la ricchezza del percorso. Siamo chiamati a vivere ogni istante con consapevolezza, onorando il tempo presente e imparando dagli insegnamenti nascosti tra i battiti del cuore che la parabola dei talenti ci offre, guidandoci ad un'attenta riflessione sulla bellezza dell'attesa e sulla saggezza che si cela dietro ogni istante trascorso nell'anticipazione.

Attenzione, però, a non circoscrivere il “talento” esclusivamente alla sfera della pratica religiosa. Troppo spesso ci abituiamo a compiere questa operazione riduttiva. Non poniamoci la domanda sbagliata, ovvero se possiamo soddisfare il Padre Celeste con qualche messa aggiuntiva, qualche preghiera in più o qualche opera buona supplementare. Il talento che ci è stato donato per farlo fruttificare non risiede solo nella pratica religiosa, ma nella vita stessa. È nell'arte di vivere con saggezza, nell'amore con cui affrontiamo ogni giorno le difficoltà della vita, nella generosità che doniamo al mondo. Non limitiamo il nostro talento a rituali, ma coltiviamolo nell'essenza stessa della nostra esistenza.

Poniamoci, allora, una domanda cruciale: in che misura liberiamo le potenzialità di intelligenza, volontà, amore e libertà che Dio, creandoci a sua immagine, ha affidato nelle nostre mani? Questa riflessione ci interpella profondamente, spingendoci a valutare se stiamo davvero esprimendo appieno il dono divino che risiede in noi. È un invito a esaminare con onestà e umiltà come stiamo utilizzando i doni preziosi che ci sono stati concessi, affinché possiamo crescere nella consapevolezza di noi stessi e della realtà che ci circonda.

In tal senso uno dei tanti talenti che siamo chiamati a scoprire e a coltivare, sia nella nostra vita personale di fede che come parte del corpo della Chiesa è il talento di una fede matura, intelligente e seria. È un invito a far crescere la nostra fede affinché diventi adulta, capace di illuminare gli angoli più oscuri della vita quotidiana, là dove la gente vive e lavora. In un mondo in cui le notizie spesso distorcono le parole del Papa e dei vescovi, è vitale che la nostra fede risplenda con chiarezza, portando la vera luce del Vangelo nelle realtà più concrete e spesso trascurate. Siamo chiamati a essere testimonianze viventi, in grado di trasmettere con saggezza e discernimento la bellezza della fede, rendendo così tangibile la presenza di Dio nella nostra esistenza e nella vita della comunità.

Il messaggio profondo che la parabola ci rivela è che a ognuno di noi è stata data fiducia: non c'è nessuno che non abbia ricevuto un talento da custodire e far fruttificare. La vita, con generosità, chiede qualcosa a ciascuno di noi. Concentriamoci sul nostro incarico, senza confrontarci con quelli degli altri, perché la chiave non è nel paragone, ma nell'attenzione al compito che ci è stato assegnato. Ascoltiamo le parole di Gesù: non è la grandezza del frutto del nostro lavoro a essere fondamentale, ma il prendersi cura con fedeltà di ciò che è ci stato affidato. L'importanza risiede nell'amore e nella dedizione con cui curiamo il dono ricevuto, piuttosto che nelle dimensioni del risultato. Che questa profonda verità ci guidi nel nostro cammino di fede, affinché possiamo vivere con impegno e responsabilità il compito che la vita e il Signore ci hanno affidato.

Commento a cura di don Doriano Vincenzo De Luca

 

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