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TESTO Paura di Dio? Ma vuoi scherzare?

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2023)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Con i nostri adolescenti, da alcune settimane abbiamo iniziato i nostri incontri toccando un tema da loro molto sentito, ovvero quello delle emozioni: come riconoscerle, come gestirle, come esprimerle. Tra le emozioni più ricorrenti, è emersa - e non poteva essere diversamente - quella della paura. È un po' inevitabile che si tratti di un'emozione molto avvertita, vuoi per via della fase dell'esistenza che i nostri adolescenti e giovani si trovano ad affrontare, vuoi per il fatto che viviamo in un'epoca storica nella quale, indipendentemente dalla data che riportiamo sulla nostra carta d'identità, tutti quanti viviamo un senso di precarietà, di incertezza verso il futuro e di vulnerabilità tali che certamente ci mettono in un forte stato di timore e di agitazione, il cui disturbo più evidente e più diffuso è l'ansia (pare ne soffrano, in forma più o meno forte, quasi 9 milioni di italiani...).

È vero che si tratta di un fenomeno in crescita e sempre più diffuso nell'epoca contemporanea, ma l'ansia e la paura da sempre fanno parte della dimensione psicologica e spirituale dell'essere umano. La mitologia greca l'aveva addirittura impersonificata nel Dio Phobos (da cui “fobia”), narrato e descritto in eterno conflitto con il padre Ares, il Dio della guerra, perché in fondo la paura era ciò che frenava i guerrieri nel momento in cui erano chiamati ad azioni belliche coraggiose e al tempo stesso incerte. È proprio la mancanza di certezze, l'insicurezza, che ci porta ad avere paura. Paura dell'ignoto, paura di ciò che può accadere ma di cui non sappiamo la natura, paura anche di qualcosa di concreto di fronte al quale non sappiamo come comportarci, scegliendo spesso di non scegliere e di lasciare che le cose vadano come devono andare.

È quest'ultimo aspetto che, forse, albergava nel cuore di uno dei tre servi della parabola, che di fronte al padrone che vuole regolare i conti con lui riguardo al talento che gli aveva consegnato, rispose in maniera candida e un po' meschina: “Ho avuto paura”. Perché quel servo è meschino (o - per dirla con il suo padrone - “malvagio e pigro”), se non fa altro che riconoscere davanti al suo signore di aver provato un'emozione totalmente umana e naturale? Che male c'è, ad avere paura e a riconoscerlo?

Come il padrone fa notare nel suo discorso finale, dietro la paura di quel servo non c'è una reazione naturale e istintiva di fronte a qualcosa che provocava in lui incertezza, bensì un ragionamento ben calcolato e ponderato. Egli sa che il suo signore è un “uomo duro”, che ottiene sempre quello che vuole anche dove non ha investito energie... come potesse essere a conoscenza di questo, lo sa solo lui, dal momento che il racconto ci parla del padrone come di un uomo oltremodo generoso (un talento d'oro corrispondeva a circa vent'anni di salario di un operaio medio...), uno che non “affida” ai servi i suoi beni perché li amministrino, ma che li “consegna” loro, senza alcuna condizione se non quella di saper valutare le loro capacità; e per di più, è uno che torna dopo “molto tempo”, e che quindi non ha esigenze immediate. Questo servo non aveva scuse: i calcoli che ha fatto non li ha fatti perché avesse provato paura, ma perché ha voluto deliberatamente avere paura.

Paura di cosa? Paura di tutto. Paura del padrone, certo. Ma anche paura di rischiare. Paura di se stesso e delle proprie capacità (se il padrone lo avesse valutato poco, non gli avrebbe certo dato in mano quella cifra spaventosa!). Paura di prendere posizione. Paura della vita, in definitiva: una paura di fronte alla quale è molto meglio scegliere di non scegliere, e seppellirsi sotto terra. Sì, perché sotto terra non ha nascosto solamente il suo talento: ha nascosto se stesso, si è seppellito perché si è riconosciuto per quello che era, un morto vivente. Uno che non era capace di vivere la vita, e ha giustificato la sua incapacità dando colpa alla durezza del padrone.

Che, in fondo, è lo stesso che facciamo noi quando rinunciamo a vivere in pienezza la nostra vita (o a fare anche solo il minimo indispensabile, come avrebbe potuto fare il servo malvagio), e facciamo questo incolpando Dio di essere troppo esigente, per cui preferiamo nasconderci dicendo “Dio, tu mi fai paura”. E la paura è l'esatto contrario di ciò che il Vangelo annuncia.

Il Vangelo di Matteo che ci ha accompagnato in quest'anno liturgico ormai prossimo al termine, apre i propri discorsi diretti con le parole dell'angelo a Giuseppe: “Non temere”. E conclude la vicenda storica di Gesù con le parole dell'angelo stesso alle donne di fronte alla tomba vuota: “Voi, non abbiate paura”. La paura di Dio come conseguenza di una nostra visione di lui in quanto esigente, duro e forse anche pretenzioso nei nostri confronti, è l'esatto contrario della fede, che altro non è se non un senso di fiducia nei confronti di un Dio che non vuole essere temuto, ma amato.

So perfettamente che non è facile scrollarsi di dosso secoli di cristianesimo nei quali ci è stato insegnato, al grido di “Timorem Domini docebo vobis”, ad aver paura del giudizio di Dio sulla storia e sulla nostra vita, paura che era superabile solo attraverso una totale e silenziosa sottomissione ai dettami della gerarchia ecclesiastica e dei precetti che essa - e solo essa - era in grado di conoscere e comunicare.

Ma questo non è Vangelo, o meglio: il Vangelo non è questo. Il Vangelo è fiducia, è slancio, è gioia, è intraprendenza, è voglia di vivere, è entusiasmo, e chi più ne ha, più ne metta!

Non c'è verso: vogliamo prendere parte alla gioia del Regno? Smettiamola di fare buche nel terreno per seppellire noi stessi e la nostra vita, e diamoci da fare per mettere a frutto i talenti che il Signore ci ha dato. Ce li ha dati secondo le nostre capacità, perché sa bene quanto valiamo: vediamo di non deluderlo!

 

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