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TESTO Padre padrone

don Giacomo Falco Brini  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2023)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Il fatto che la famosa parabola dei talenti si avvii con un verbo coniugato al futuro, avverrà che, significa che l'intento di Gesù è quello di prepararci (come la sua chiesa sta facendo all'avvicinarsi dell'Avvento) a quel giorno del Signore di cui S.Paolo parla ai cristiani di Tessalonica (2a lettura). La parabola conferma che il ritorno del Signore è certo, anche se non se ne conosce la modalità e il puntuale riferimento spazio-temporale. Cosa è necessario sapere su quel giorno? In che modo ci si prepara? A cosa dare somma importanza nell'attesa? La parabola delle vergini stolte e sagge di domenica scorsa ha già dato un'indicazione fondamentale. Prima di tutto vegliare, cioè stare attenti a come ci si relaziona con il proprio tempo, non vivere come se noi ne fossimo i padroni. Cercare di essere previdenti (riserve di olio in piccoli vasi) per saper affrontare l'imprevedibile appuntamento con lo Sposo, onde evitare che la lampada della fede si spenga e non ci si accorga del suo passaggio. Ma l'insegnamento della parabola di questa domenica scende ancora più in profondità.

Come un uomo che partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14). Puoi pensarla come vuoi, ma la vita sta tutta in questa prima affermazione. Io non me la sono data la vita, so solo che Qualcuno mi ha chiamato ad essa e in essa mi ha messo dentro i suoi doni. Se la vita è un dono allora ci si mette al suo servizio, al di là della sua multiformità. Ecco la questione della diversità dei talenti donati secondo la capacità di ciascuno (Mt 25,15). È interessante osservare che c'è chi subito sembra capire che nella vita, i doni che si hanno vanno donati, impiegati, trafficati, perché questo vuol dire essere servi suoi, come se si intuisse che la vita che si è ricevuta in dono va donata, altrimenti si snatura e ce ne facciamo padroni. Infatti c'è anche chi nasconde il dono ricevuto (Mt 25,16-18). Perché fa questo? Lui stesso lo confesserà a chi di dovere. Infatti, dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro (Mt 25,19), e cosa scopriamo? Che i due servi che hanno condiviso i loro talenti sono diventati fecondi: hanno capito che il segreto della vita è donare ciò che si è e ciò che si ha. Questo li fa assomigliare al padrone che, prima di partire, aveva condiviso i suoi beni con loro. Perciò la loro comune ricompensa è sentirsi dire: prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21-23). Perché questi è “il padrone”: un padre grande nell'amore che ci dona tutto con sé, non si tiene niente, donandoci persino la sua divinità, ovvero la sua capacità di amare.

Cosa scopriamo del servo che scavò la buca per nascondere il suo talento? La sua confessione è rivelazione del suo cuore: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo (Mt 25,24-25). Proviamo a declinare queste affermazioni. Intanto questo servo è sicuro di conoscere il suo padrone. Perché è così sicuro? E qual è la sua sicurezza? Lo definisce un uomo duro, persino ingiusto, perché miete e raccoglie dove non ha faticato e dove non ci ha messo del suo seme. E la cosa davvero paradossale è che questa sicurezza si mantiene con la sua paura, come se costui si trovasse a suo agio in essa e non temesse di seguirla nelle sue decisioni. Il problema capitale del servo è questa falsa conoscenza data come sicura, frutto della distorsione diabolica dell'immagine di Dio. Il messaggio importantissimo della parabola allora, non è semplicemente quello di darsi da fare nella vita per far fruttare i propri talenti, ma piuttosto di interrogarsi sul movente profondo del proprio vivere. Che immagine di Dio vive in me? Corrisponde a quella che Gesù mi dona nei vangeli? Nella mia vita, faccio esperienza di un “padre padrone” o di un padrone perché grande padre nell'amore? Il compito di ciascuno, nel suo cammino, è di darsi una risposta sincera, per non rischiare di trovarsi troppo tardi a scoprire di aver affossato il proprio talento in una buca.

 

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