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TESTO I requisiti dell' amore vero

padre Gian Franco Scarpitta  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/10/2023)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

L'autore della Lettera agli Ebrei al capitolo 13 esordisce così: “L'amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l'ospitalità. Alcuni senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se fossero vostri compagni di carcere e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo”(Eb 13, 1 - 3). L'invito che rivolge questo scritto non è solamente alla carità e all'accoglienza, ma all'esercizio di tali virtù motivato, radicato e fondato sulla condivisione, sull'empatia e la condivisione. Non basta cioè aiutare il prossimo, ma comprendere il suo stato di sofferenza, compatire, andare incontro e donare noi stessi e ciò di cui disponiamo per aiutarlo in modo conveniente e appropriato. Il che significa farci prossimi di coloro che soffrono o che si trovano nel bisogno, considerando le loro necessità come se fossero le nostre.

Aiutare non è commiserare, ma condividere. La carità va esercitata con sincerità, esulando da ogni profitto personale, nell'incontro del bisognoso considerato come fratello e (appunto) a noi prossimo, i cui problemi potrebbero anche riguardare noi. E d'altra parte è anche vero che ciò che gli altri soffrono una volta o l'altra potrebbe riguardare anche noi; che anche noi potremmo subire gli stessi problemi e le stesse difficoltà per cui altri ci chiedono aiuto.

Anche il capitolo 22 del Libro dell'Esodo (Prima Lettura) invita gli Israeliti a considerare che è necessario accogliere i forestieri perché essi stessi sono stati forestieri in Egitto e a usare rispetto e accoglienza al povero e alla vedova come al forestiero e più in generale ad esercitare l'accoglienza e la carità vedendo nel fratello un altro me stesso.

Fondamentalmente siamo tutti bisognosi al cospetto di Dio. Anche le ricchezze di cui siamo in possesso non andrebbero considerate come nostra proprietà esclusiva e non dovrebbero rappresentare motivo di orgoglio e di tornaconto personale. Piuttosto un'espressione di Giobbe ci ragguaglia che “nudo uscii dal grembo di mia madre, nudo tornerò in grembo alla terra. il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Come piacque al Signore così è avvenuto.” (Gb 1, 21 - 22); tutto quello che abbiamo è pur sempre relativo e transitorio e potremmo anche non disporne in avvenire, come dimostrano le tristi esperienze della guerre e del terremoto, e pertanto di ogni cosa siamo sempre custodi più che padroni assoluti. Paolo afferma: “Che cos'hai tu che non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti, come se non lo avessi ricevuto?”(1 Cor 4, 7). “Tuto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1Cor 3, 22 - 23).

Essere umili e non vantare alcun diritto davanti a Dio è la rampa di lancio della vera carità. L'umiltà ci introduce nella verità, in ordine a Dio e al cospetto di noi stessi, evita fraintendimenti e realizza in noi tutti i requisiti perché la carità non sia mera filantropia.

Piuttosto, essa deriva da una fede sincera, da un cuore puro e da una retta coscienza” (1 Tm 1, 15), La coscienza ci mette a rapporto con una legge che non deriva da noi, alla quale però noi obbediamo e che ci rivela quale debba essere il nostro vero atteggiamento. Cioè quello del bene, dell'amore unico e disinteressato verso Dio e verso gli altri. La coscienza ci spinge ad agire con carità e a discernere ogni volta quello che va fatto e quello che va evitato, inducendoci a ritenere quale garanzia l'unica via dell'amore incondizionato. Ovviamente questo è possibile quando riconosciamo in Dio il principio, la sorgente e la motivazione di ogni comportamento da adottarsi. La fede insomma anima la coscienza alla carità umile e disinteressata, in forza anche da una fondamentale purezza di cuore, per cui ci manteniamo integerrimi e irreprensibili già a partire dal nostro intimo e nella luce dell'interiorità.

L'accoglienza e la carità devono quindi fondarsi sulla legge dell'amore. Questo però non può che riflettere l'amore stesso con cui Dio ci ha amati, per il quale abbiamo assunto consapevolezza di essere stati resi noi stessi oggetto dalla predilezione divina, di essere stati beneficiati dagli effetti di grazia del Redentore morto e risorto per noi, di essere stati riscattati e comprati a prezzo (1Cor 6, 20), di aver ricevuto ogni sorta di bene e di condiscendenza e di conseguenza di essere debitori verso lo stesso Padre Amore e misericordia.

Il modo più appropriato per estinguere questo debito è, come si evince da alcuni racconti parabolici, la gratuità del nostro perdono ai nostri nemici, ma già questo include che siamo tenuti ad amare gli altri con radicalità e profondità. Amare innanzitutto nell'ascolto, nell'accoglienza, nell'apertura. Quindi nella disponibilità all'aiuto verso chi soffre, la quale non può essere che speculare della disponibilità che Dio ha avuto sin dall'inizio nei nostri confronti.

Nel brano evangelico odierno Gesù prende l'argomento per vincere un'ulteriore sfida dottrinale dei farisei che vogliono metterlo alla prova e ricorda in Grande Comandamento del Deuteronomio (6), che coniuga l'amore verso Dio con l'amore verso il prossimo come se stessi. Sottende cioè che è necessario innanzitutto amore unico e disinteressato verso il Signore, al quale va riconosciuto ogni merito per ogni beneficio che ci è stato accordato. In conseguenza di questo, siamo invitati ad amare gli altri con lo stesso zelo e la stessa intensità con cui Dio ci ha amati lui per primo. Tuttavia non senza la dovuta capacità di saper amare noi stessi: non saprà mai prodigarsi per gli altri chi stenta ad avere adeguata attenzione verso il proprio corpo, il proprio spirito, la propria mente. Chi è manchevole verso la propria salute fisica e spirituale o verso la propria cultura e formazione personale non sarà mai in grado di acquisire integralmente quella purezza di cuore e retta coscienza con cui è possibile amare gli altri. Quando manca qualcosa nell'amore verso noi stessi, il dono di noi agli altri è sempre lacunoso e incompleto.

Gesù tuttavia, proprio prima della sua autoconsegna al patibolo che sarà la massima espressione del suo amore, ci darà una nuova indicazione, anzi un comandamento nuovo, che Giovanni nella sua lettera definisce comunque sempre antico, dall'attualità disarmante e impressionabile: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.”(Gv 15, 12). Dello stesso amore con cui Gesù realizza la comunione intima con il Padre noi siamo invitati ad aderire nella fede e nella speranza secondo l'esempio eloquente del suo Figlio Gesù Cristo. In lui, pienezza dell'amore di Dio Padre in quanto Dio stesso fatto uomo e morto e risorto per noi, albergano nella loro piena concretezza tutti i requisiti dell'amore vero.

 

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