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TESTO A Cesare, ciò che è di Cesare; ai poveri ciò che è dei poveri; Dio sa bene ciò che è suo!

don Alberto Brignoli  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/10/2023)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Non c'è niente da fare: quando c'è di mezzo il denaro, saltano tutti gli schemi e tutti i valori umani. Anche nella migliore delle ipotesi, e con le migliori intenzioni del cuore, quando lo strumento per realizzare un'intenzione è il denaro, e solo il denaro, ne esce sempre un danno. E se vuoi colpire una persona nella sua sensibilità, utilizza pure il tema del denaro, che non sbagli mai. Quando il denaro diviene elemento di dominio, di sopraffazione, di comando, di potere, non c'è elemento umano che tenga: si passa con sfacciataggine dall'odio all'amicizia, e viceversa, come se nulla fosse.

Farisei ed erodiani si odiavano a morte, ma pur di incastrare Gesù si alleano, e fanno a lui una domanda trabocchetto, guarda caso sul denaro, e sul denaro lecito. Come se valutare la bontà dei propri sudditi in base a quante tasse pagano fosse lecito. Come se “dominare” attraverso il denaro fosse lecito. Come se giocare sulla pelle dei poveri con il denaro fosse lecito. La questione, qui, non sta tanto nel pagare o meno il tributo (cosa peraltro regolata dal diritto), ma nel dare a ognuno ciò che gli spetta. E Gesù, questo, lo sa bene. Sa bene che non deve rispondere a una domanda che lo condannerebbe comunque, in uno o nell'altro senso. Dire “sì” vorrebbe dire riconoscere il dominio dell'uomo-Cesare sul popolo di Dio, e quindi verrebbe accusato dai giudei di bestemmia; dire “no” vorrebbe dire esortare la gente a un boicottaggio fiscale, e quindi verrebbe accusato dai romani di sedizione.

Ma Gesù capisce, e vuole fare capire, che la questione è un'altra. Se c'è un ordinamento politico e fiscale, con le sue leggi, che piaccia o no, le tasse vanno pagate: per cui, dal momento che chi ha il potere attraverso il denaro è il Cesare di turno, che gli venga restituito il segno del suo potere. Siccome però c'è anche un Dio al quale spesso viene portato via ciò che gli appartiene da parte di gente senza scrupoli, pronta a tutto pur di impossessarsi della sua vigna, allora forse è il caso che ogni tanto ci si faccia un esame di coscienza serio, e invece di preoccuparci di accumulare denaro e di soggiogare gli altri con la forza che il denaro ha, ci si preoccupi di dare a Dio ciò che è suo, ovvero il suo popolo, il popolo che egli ama, senza volerlo trattenere nelle maglie della legge o peggio ancora sotto il dominio del denaro. Anche perché il Dio liberatore, poi, ci obbliga veramente a liberare il popolo da ogni forma di oppressione: e siccome chi ci rimette più di tutti solitamente sono i deboli, ovvero quelli che non hanno accesso alle logiche del mercato e del denaro, e quindi i poveri, allora sarà davvero il caso di restituire a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio, e ai poveri ciò che è dei poveri.

Sì, perché alla fine della fiera, chi ci rimette e chi si vede usurpato di tutto, sono proprio loro, i poveri. E la Giornata Missionaria che oggi celebriamo, ci ricorda, almeno una volta l'anno, che di questi fratelli poveri cui va restituito il maltolto, è piena la faccia della terra, e di tutti loro ci dobbiamo prendere cura, “con il cuore ardente e i piedi in cammino” verso di loro, come ci ricorda lo slogan missionario di quest'anno. Che cosa va restituito ai poveri? Molto, moltissimo di quello che il nord e l'ovest del mondo hanno usurpato loro nel corso dei secoli. Fondamentalmente tre cose:

• La dignità umana. Siamo bravi tutti a fare la carità, la faremo anche questa domenica, e facciamo bene, purché non sia un modo per lavarsi la coscienza o per svuotare il borsello dalle monetine superflue. Ma fare la carità non basta. Se continuiamo a trattare il povero come una persona priva di dignità, lasciandolo nel suo senso d'inferiorità, guardandolo dall'alto verso il basso e non alla pari, ridendo di lui, senza mai dirgli “Ti voglio bene”, il povero da noi avrà magari di che mangiare, ma il suo animo continuerà ad avere bisogno di altro. Ha bisogno, anche se povero, di sentirsi comunque uomo, comunque donna, comunque fratello, comunque figlio di Dio, e non di certo di un Dio minore;

• La libertà. Se pensiamo che la schiavitù nel mondo sia terminata nel momento in cui è stata promulgata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo il 10 dicembre del 1948, ci sbagliamo di grosso. Ci sono ancora 50 milioni di persone schiave nel mondo, di cui oltre 130.000 nella sola Italia, che detiene il poco invidiabile primato di terza nazione con più schiavi in Europa, dietro Polonia e Turchia. E nessuno dice nulla. E nessuno fa nulla per liberare le ragazze schiave del mercato del sesso, i bambini schiavi del lavoro minorile, i poveri schiavi del traffico di organi, i mendicanti schiavi del racket delle offerte. E potremmo continuare per parecchio tempo a elencare le varie tipologie di schiavitù;

• La ricchezza. È la peggiore delle usurpazioni fatte ai paesi poveri, anzi, è più corretto dire “impoveriti”. Impoveriti dalle sanguisughe in giacca e cravatta, dalla logica del mercato che cerca manodopera per il lavoro pagandola in nero, dalle leggi di mercato che vanno a estrarre materie prime laddove ce ne sono tante e “non sono capaci di estrarle” (per caso, anche se fosse, qualcuno glielo ha mai insegnato?), dalle nostre scelte poco responsabili che ci spingono a comprare in ogni stagione dell'anno frutti che invece andrebbero mangiati nel loro luogo al loro momento, impedendo così alla nostra economia di girare nel verso giusto. In questo modo, tra l'altro, l'economia dei paesi in via di sviluppo gira sempre e solo in un senso, a imbuto, anzi, a risucchio, da sud verso nord, svuotando il sud del mondo di ciò che gli appartiene. Perché, se il sud del mondo potesse gestire ciò che è suo, ribalterebbe la piramide dell'economia. E per i vari “Cesari” di questo mondo sarebbe la fine.

Allora, ridiamo a Cesare ciò che è di Cesare perché lo amministri così come compete a Cesare, ossia per il bene di tutti; ridiamo a Dio ciò che è veramente di Dio, e non ciò che noi “rivestiamo” di Dio; e ridiamo ai poveri ciò che è dei poveri, e di nessun altro.

 

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