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TESTO Poi una casa nella notte

don Angelo Casati  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno A) (15/10/2023)

Vangelo: Mt 21,10-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,10-17

10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.

Voi invece ne fate un covo di ladri».

14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto:

Dalla bocca di bambini e di lattanti

hai tratto per te una lode?».

17Li lasciò, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

Oggi gli occhi oggi sono qui e sono altrove, poche strade più in là, come perduti a contemplare il Duomo, gli occhi immersi nello splendore bianco dei marmi che fanno grande casa, nella seduzione di un coro di guglie che cantano per tutti nel cuore della città. Oggi ricordiamo il giorno della dedicazione del nostro Duomo, potremmo in verità parlare di una successione di dedicazioni nel tempo. E non saranno mai finite. A me piace pensare che la costruzione sia sempre in corso; e ancora aperta la cosiddetta "Fabbrica del Duomo; mi dà gioia, chiama l'incompiuto. Insegnamento prezioso, così ha da essere una chiesa, di cui il Duomo è simbolo: non può essere che costruzione in fieri, con la passione di dare nel tempo sviluppi nuovi al vangelo del Maestro, lui la pietra, quella d'angolo, a fondamento di tutto.

Poi la convocazione delle pietre, antiche e nuove, senza eccezioni, ciascuna con la sua originalità; e guai se qualcuno si arrogasse l'autorità di imporre un modello unico, sarebbe come assassinare la fantasia di Dio e la dignità delle sue creature. Il nostro Duomo, per come si affaccia. sembra evocare la grandezza e lo sconfinamento. Così allude anche il libro del profeta Baruc: "Quanto è grande la casa di Dio, quanto è esteso il luogo del suo dominio! È grande e non ha fine, è alto e non ha misura!". Ebbene la grandezza, quella vera che dovremmo respirare nella casa di Dio, si accompagna alla Sapienza. Senza la Sapienza che viene dall'alto la grandezza diventa un delirio e una ubriacatura. Il libro parla di "famosi giganti dei tempi antichi, alti di statura, esperti nella guerra; ma Dio non scelse costoro e non diede loro la via della sapienza: perirono perché non ebbero saggezza, perirono per la loro indolenza". So di forzare il testo: stiamo - e non da oggi - assistendo a un attestarsi devastante della forza dei giganti. Che confidano nella statura e nella guerra. Un crescendo di restrizione delle visioni. Posso sbagliarmi un delirio che a poco a poco ha invaso pensieri e parole, gesti. Starei per dire che è cambiata l'aria, c'è pesantezza.

La grandezza del Duomo è leggerezza, e così ogni grandezza sposata alla Sapienza. I cieli sono un canto alla universalità, ma se prevale indifferenza e cinismo sono deturpati. Il tempio, il Duomo dunque, come scuola della vera grandezza. Imparare la lezione e uscire con anima e cuore grandi. Di casa si parlava oggi anche nella lettera a Timoteo. Anche per dire della varietà degli oggetti che vi si trovano e della loro utilità, che va al di là del fatto che siano ritenuti più o meno nobili: "In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di argilla". Anche questa una grande lezione: sulla nobiltà di ciascuno, una nobiltà non semplicemente declamata. Ma pensata e onorata. E non concessa, regalata. Regalata unicamente da Dio. Un Sinodo, come quello che si è aperto in questi giorni a Roma, può pulsare verso questo sogno, il sogno di una chiesa dove sia recuperata la coralità; se ne intravvede un lembo, sia pure esiguo, con la presenza di laici e di donne.

Anche se la strada è lunga perché si avveri un antico assioma che risale a Giustiniano: "Ciò che interessa tutti, da tutti deve essere deliberato". E ora vengo al tempio di Gerusalemme, quasi solo per lasciarvi una domanda. Nel brano di vangelo c'è un affaccio di varia umanità e mi batte in cuore una domanda: dov'è la vera aggregazione dello Spirito nel tempio in cui Gesù entra con i suoi? C'è una macchia oscura e c''è un alone di luce nel tempio. Da un lato sedie e tavoli di venditori, visi tristi di inquisitori, quelli che sanno a chi bloccare l'accesso. Dall'altro il movimento - piccoli numeri - del Profeta di Nazaret. E c'è l'entusiasmo per uno che ridà verità all'adorazione nel tempio. Per uno che accoglie piccoli, ciechi e zoppi, tutti quelli che cercano il senso della vita, il rabbi che spalanca loro gli occhi e la libertà dello spirito. E il finale è di una tristezza infinita. Ma apre un germoglio. Nel tempio rimane l'ombra nera, gli occhi bui. Il maestro esce con i suoi. Una casa di amici lo accoglie a Betania nella notte: è immagine di una chiesa che sogniamo.

Fu incendio di osanna
per strade.
Poi il grido fremente
impigliato a mantelli,
a rami d'albero,
a groppa d'asino e puledro.
Entrasti nel tempio
ed era mercato.
I tuoi occhi furono lago
d'indignazione,
e mani e braccia e frusta
per passione contro
presenze d'abuso.
Trascinasti con te
senza pudore
- liturgia sacra -
poveracci
esclusi per divieto
dal tempio,
storpi e ciechi.
Né ti importò
degli occhi
indignati dei detentori
immobili della legge.
A riconsacrare il tempio
la guarigione che passò
silenziosa per le tue mani
fin nello spasmo
della loro carne
ferita.
Fu per osservanza
di decreto di un Dio
che non vuole sacrifici
ma misericordia.
Piombò nel tempio terrore
per occhi
inveleniti di scribi e farisei.
Spazio breve,
filtrava ora
come un vento nel tempio.
E tutti a spiare trasalendo
donde venisse:
era un acclamare
per voce di bimbi.
E le mura, le volte
le colonne
intrise di gridi e di canti,
lavate per sempre.
Osavano i fanciulli
a squarciagola
nel tempio l'osanna,
sovrastando il sacro divieto.
Via loro avrebbero cantato
le pietre
per un messia
che sceglie ingressi
a groppa d'asino
e di puledro.

 

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