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TESTO La pazienza del vignaiolo e il cinismo degli operai

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2023)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Si è parlato in queste Domeniche dei lavoratori della vigna, ciascuno avente la sua funzione e i suoi tempi di risposta alla chiamata del padrone a lavorare nel suo terreno. Adesso l'argomento, pur riguardando ancora gli operai e i viticoltori, si concentra anche sulla vigna stessa, cioè sul terreno che appartiene a un determinato padrone intento a coltivarlo per trarne i frutti, che dispone di proprietà agricole appropriate e che viene sempre bonificato con tutti i mezzi. Si parla degli operai che vi lavorano, ma anche delle singole viti e perfino dei grappoli e degli acini d'uva.

Nel libro di Isaia, di cui alla Prima Lettura, si identifica la vigna al popolo d'Israele, il luogo nel quale Dio stesso lavora per realizzare il suo Regno, non senza la collaborazione dei suoi messaggeri, dei suoi profeti, ma anche di ciascun membro dello stesso popolo eletto. Come procede il Signore nei confronti della sua vigna, cioè del suo popolo? Parecchi esegeti sono concordi nell'attribuire a Dio un atteggiamento quale un innamorato riserverebbe alla propria donna amata: Dio si mostra sollecito, premuroso, insofferente nei confronti del terreno del quale si fida tanto e dal quale si aspetta tanto frutto. Realizza perfino ciò che per l'uomo potrebbe anche sembrare inverosimile, cioè costruisce una torre e vi scava una buca per un torchio, occupando così terreno prezioso coltivabile. La pazienza e la bontà di questo Padrone innamorato è illimitata e costante e si concentra nella coltivazione senza riserve di questo terreno, che viene vangato, dissodato, concimato e riceve tutti gli accorgimenti agronomici di cui necessita.

Ci si aspetterebbe da parte della vigna una considerazione almeno pari a quella che il padrone ha dato nei suoi confronti e invece essa si mostra apatica e indifferente a tante attenzioni. Anzi, produce addirittura il contrario dei frutti che dovrebbe. Produce le uve selvatiche dell'ingiustizia, dell'infedeltà, della cattiveria e dell'oppressione verso i poveri e gli indifesi. Il popolo dovrebbe sentirsi amato e apprezzato, assimilare la pedagogia dell'amore che da' fiducia e spinge alla conversione e di conseguenza vivere dello stesso amore e in esso perseverare. E invece si da alle nequizie e alle aberrazioni, alle insulsaggini, alle malvagità e alle cattiverie, avvalendosi di una presunta superiorità e autosufficienza.

Come si sa l'amore fa soffrire tanto quando non viene corrisposto. Il Padrone riscontra che tutti i suoi sforzi sono vani e da vero innamorato se ne dispiace, si preoccupa per il futuro della sua “donna”, cioè della sua vigna. Sembrerebbe che in questo carme la conclusione della vicenda di amore fra vigna e agricoltore sia non dissimile da quello fra Enea e Didone, quest'ultima invaghita dell'eroe troiano per colpa di una freccia lanciata da Cupido. Fortemente innamorata di Enea e tuttavia non corrisposta, la regina comincia a trarre dal suo passionale sentimento riserve di rancore o addirittura di perversione nei confronti dell'amato che sta per lasciarla. Lo zelo amoroso diventa esplosivo al punto da trasformarsi in astio.

Così anche il padrone di questa vigna: poiché essa produce tutto l'opposto dell'amore che lui le ha concesso, adesso sembrerebbe abbandonarla a se stessa e ripudiarla. Diventerà un pascolo selvaggio perché non avrà più protezione di cinta, qualsiasi animale selvatico la potrà aggredire, diventerà una landa solitaria e desolata, un coacervo di rovi e piantagioni selvatiche e tale è il destino di chi desidera vivere abbandonato a se stesso, rifiutando le attenzioni di altri. Poiché il suo popolo ricambia con ostentata malvagità le attenzioni che Dio gli rivolge con costanza, cadrà vittima della sua stessa tracotanza e della sua perfidia. Non potrà che mangiare dei frutti stessi della sua negligenza. Eppure il vignaiolo continua a credere che la sua vigna possa arrecare frutto. Non cessa di bonificarla, di assisterla e di vangarla continuamente, aspettando con pazienza ne uve mature della giustizia, dell'amore e della solidarietà.

Gesù ribadisce l'immagine della “vigna” del Signore identificandola allo stesso popolo di Dio, che è ora la Chiesa, nuovo Israele che cammina verso la pienezza del Regno e che intanto tende a costruire lo stesso Regno nella giustizia e nella pace. In questa piantagione, chiunque è vitigno e allo stesso tempo anche operaio, poiché ciascuno è rivestito di un ruolo vocazionale specifico che lo contraddistingue. A tutti sono concessi doni e carismi da impiegare per la comune edificazione, anche se nella vigna del Signore vi sono operai con particolari ruoli di testimonianza e di tutela, come i profeti, gli anziani e i dottori della Legge. Gesù si sta rivolgendo proprio a loro, che si sono appropriati, quali padroni, di una posizione che doveva essere di servizio e di umiltà: agiscono da prevaricatori laddove dovrebbero solo essere servi. Alla fine uccideranno il figlio del Padrone della vigna per guadagnare l'eredità, intenti cioè a impossessarsi essi stessi illusoriamente del popolo Dio Dio e del Regno. Fuor di metafora, uccideranno Gesù sulla croce, il Figlio di Dio che non lo risparmierà per amore alla sua vigna, cioè per il suo popolo. Crederanno di rendere lode a Dio stesso costringendo Gesù sulla croce, ma da “pietra scartata” diventerà fondamento, rampa di lancio, base essenziale per costruire una nuova vita, anzi sarà egli stesso la Vita, in quanto via e verità.

Siamo in un certo qual modo tutti quanti pessimi amministratori e in un modo o nell'altro tendiamo sempre a prevaricare sugli altri e perfino su Dio stesso, quando l'orgoglio ci sovrasta nel nostro ruolo che dovrebbe comportare l'umiltà per la testimonianza cristiana. E anche da parte nostra si condanna, sotto certi aspetti, Gesù alla morte di croce quando si preferisce il peccato e la menzogna all'amore; quando i frutti non corrispondono alle cure apportate alla piantagione e il mondo è costretto a subire la nostra contro testimonianza laddove vorrebbe la trasparenza e l'esempio. I frutti della nostra appartenenza a Gesù dovrebbero essere chiari e inequivocabili: amore, pace, giustizia, equità, solidarietà, gioia estemporanea nel dare più che nel ricevere. Dove invece emergono la falsità, l'ipocrisia, la presunzione e il falso orgoglio e dove queste conducono alla malvagità e al peccato, cos'è questo se non un voler condannare Gesù ad essere crocifisso?

Possiamo anche ostinarci nella nostra disillusione di voler togliere spazio a Dio e impadronirci della sua vigna, o quantomeno farne l'abuso preferenziale che desideriamo, ma il Padrone della messe non si arrende alla nostra perversità. Proprio la morte sulla croce sarà la prova più esaltante del suo amore spassionato per noi, il sacrificio al quale si sottoporrà nel legno patibolare sarà espressivo di un amore che attende costantemente il consenso dell'amata, come l'agricoltore il frutto della sua vigna.

 

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