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TESTO Il modo di parlare delle cose terrene

don Angelo Casati  

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V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (01/10/2023)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

34Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Il passo del Deuteronomio che oggi abbiamo letto è tra i più amati e venerati nell'insegnamento dei padri; viene evocato con le sue prime parole, ”Shemà Israel”, “Ascolta Israele”; diventa preghiera del risveglio e preghiera quando ci si corica la sera. “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore”.

I precetti chiamati a rimanere ”fissi nel cuore”, ma stupendamente chiamati anche ad andare, uscita a perdita d'occhi, e approdo ovunque: “Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”. Mi sembra di leggere tra le righe non una pesantezza, ma un entusiasmo.

Pensate, proprio queste parole, trascritte su un minimo di pergamena, hanno fatto per davvero approdo su stipiti di case di ebrei, custodite in piccoli astucci sul lato destro della porta esterna. Hanno nome “mezuzàh” e talvolta chi entra e chi esce le tocca con venerazione. A memoria.

Sento le parole del Deuteronomio come un allarme contro la smemoratezza. La smemoratezza che, a giudizio del libro, si fa strada nei giorni della sazietà: “Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guàrdati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile”.

Dovremmo vigilare quando nell'anima e nella società prende campo un sogno egoistico. Succede allora che l'adorazione del proprio io e dei propri beni abbia la meglio su l'”amerai”; in vista è allora la dipendenza, la schiavitù, la sottomissione. Oggi che le pareti sono terra invasa da messaggi, e la pubblicità ne inonda ogni angolo, ancora più urgente diventa scrivere parole su pareti dell'anima o forse anche su ritagli di foglio. Conosco alcuni che lo fanno, A memoria di parole preziose che aiutano a resistere alla grande seduzione.

Ebbene oggi alcune parole preziose, assolute, sbucavano dal testo del Deuteronomio, poi riprese da Gesù. Eccole: “Ascolta... Amerai”.

Mi colpisce, questa legatura tra verbi: “ascolta... amerai”. Quasi a suggerire che l'amore per Dio è un amore di ritorno, dopo un ascolto. Ascolta una storia - l'amore o si fa storia o non è -. Se ascolti la storia di Dio, del suo viaggio appassionato, come non amerai? “Amerai”. Le parole che ti vengono consegnate perdono il timbro del comando. E non hanno, nemmeno lontanamente, il tono didattico di una lezione. E' racconto: è ciò che succede in amore quando le parole vivono nell'accadere degli occhi.

Vorrei aggiungere un'ultima notazione sulla legatura dei verbi. La vita ce la insegna: cartina al tornasole, prova incontrovertibile, indizio sicuro, della presenza dell'amore - nei confronti di Dio e di quant'altri - è l'ascoltare: se non c'è ascolto, non c'è amore, è solo una finta di amore, è una sceneggiata di parole.

E il pensiero mi porta al brano di Matteo. Sorprendente, come sempre, Gesù nello sfuggire all'agguato delle dispute delle scuole rabbiniche, che di precetti nella Bibbia ne avevano scovati 613, ben 613 mitzvot. E dunque il primo, il più importante? Le scuole a discutere.

Forse sto fantasticando: alzarono le mani esultando quelli della prima scuola quando al dottore della legge Gesù rispose che il grande comandamento è amare Dio e amarlo con tutte le forze. Ma poi il Maestro, spaesando gli uni e gli altri, aggiunse: “Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Da questi due. Volevano disgiungere i comandamenti e lui li sposa. Tutto dipende da questi due e sono inestricabili, non uno senza l'altro. Riconosciamolo, ci siamo persi in passato - e ancora oggi a volte ci perdiamo - in una selva di comandamenti dove tutti contano allo stesso modo. Esito: una insopportabile pesantezza. Non era quello che rimproverava Gesù a scribi e farisei: “Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”?

Qualcuno ci ha insegnato su che cosa ci si debba in assoluto interrogare, che cosa ci fa cristiani e umani, che cosa fa il respiro dell'anima? Che cosa prima di tutto? “Amerai”. Vorrei che questa parola risuonasse nuda, pulita, senza sbavature: “Amerai”. Perché accende. Ha di suo il suono dell'universalità, della profondità, della totalità, della bellezza. Perché il disamore - dobbiamo ritornare a dirlo - è brutto. Non tutto puoi amare alla stessa intensità, ma il disamore è bruttezza.

Permettete un piccolo cenno alla universalità dell'amore. Paolo De Benedetti ne traeva sfumature dalla parola ‘prossimo'. Diceva: “Tra l'altro ‘prossimo' significa ‘vicino' e nel concetto di prossimo vi sono anche gli animali e le piante, tutto il creato. Nella concezione rabbinica troviamo questa frase: «Anche gli alberi pregano e se uno abbatte un albero prima del suo tempo, questo albero getta un grido che va da un capo all'altro del mondo»”.

Perdonate, oggi commentando i brani, alla fin fine ho sostato quasi unicamente sulla legatura 'Dio, umani, terra', quasi volessi - ma chi sono io? - mettere in guardia dall'inganno di disgiungere cielo e terra, l'immenso e il piccolo, l'eterno e il quotidiano.

E allora vi lascio con una parola luminosa di Simone Weil - me l'ha regalata giorni fa un amico - va ben al di là dei miei deboli pensieri, eccola: “Quello che mi fa capire se uno è passato attraverso il fuoco dell'amore divino non è il suo modo di parlare di Dio, è il suo modo di parlare delle cose terrene”.

 

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