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TESTO Il sorpasso di prostitute e pubblicani

Paolo De Martino  

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XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2023)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Gesù è entrato in Gerusalemme e si è già scontrato con il tempio, cacciandone i venditori. La tensione e lo stato di conflitto tra Gesù e i capi del popolo (scribi, farisei, anziani, sommi sacerdoti) è altissima. Gesù dirà di loro cose tremende. Come potevano non condannarlo? Non c'è da meravigliarsi che Gesù sia morto: c'è da meravigliarsi che sia vissuto così tanto! In questo contesto si situa questa parabola, esclusiva di Matteo, che Gesù racconta e che farà commentare ai diretti interessati.

Un'avvertenza: l'errore che a volte facciamo è quello di pensarci solo come spettatori di una parabola, pronti a cavarne fuori una morale. La verità è che ogni parabola parla di noi. Noi siamo tutti i personaggi di quel racconto.
Figli

«Un uomo aveva due figli», cioè due cuori. Siamo noi i protagonisti della parabola, siamo noi che abbiamo due cuori: uno che dice sì e uno che lo contraddice. Tutti noi siamo abitati da atteggiamenti contrastanti. Abbiamo tutti due anime, quella che appare e quella che ci definisce realmente. Non a caso, san Paolo dirà, «non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,15.19).
Fatti

A entrambi il padre rivolge lo stesso invito: «Va' a lavorare nella vigna». Il primo, che non lo chiama "signore”, dice: "No", ma poi pentitosi ci va. Il primo figlio è un ribelle. Tutti lo fischiano, ma poi si rimbocca le maniche e fa la volontà del Padre.

«Si pentì» dice Gesù. Pentirsi significa “cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere” il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia.

Il secondo dice al padre: «Sì, signore» ma non ci va. Era delle buone maniere dei ragazzi ebrei chiamare il proprio padre "signore". Fa un bel figurone, ma poi non combina niente. Il secondo figlio è un servile.

Amico lettore, non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare e Gesù lo sa. I due fratelli, pur così diversi, hanno però qualcosa in comune: la stessa idea del padre, un estraneo che impartisce ordini, la vigna è una cosa che non li riguarda, ma solo il primo si pente, cambia idea. Nessuno dei due ha voglia di andarci ma alla fine ciò che conta non è ciò che si dice o ciò che si mostra, ma il risultato. E' “il fare” a essere decisivo, mentre “il dire” resta comunque sempre ambiguo. Non è un banale invito all'attivismo. Nell'ultimo giorno non ci sarà chiesto se abbiamo fatto tante cose, ma se abbiamo fatto quello per cui siamo stati creati.

La differenza tra i due figli? Uno si fa coinvolgere, l'altro resta un servo esecutore di ordini. Amico lettore, Matteo ti sta chiedendo di scegliere se salvare la faccia o salvare le azioni. Salvare le azioni significa liberarsi dalla dipendenza dell'opinione altrui. Dio non vuole figli ubbidienti ma figli che collaborino, come parte viva, alla gioia della casa. La morale evangelica non è la morale dell'obbedienza, ma dei frutti buoni: «Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 16).

Gesù cerca di smascherare quelli che credono di essere giusti, a posto, arrivati. Il vangelo dirà che il vero peccatore è chi si crede giusto, il vero cieco è chi crede di vedere.

Io trovo bellissimo il ricredersi del primo figlio, il ritornare sui propri passi, dirsi con sincerità il proprio peccato e poi rimboccarsi le maniche per ripartire. Amico lettore, Matteo ti sta ricordando che la nostra vita non è chiusa dopo un errore, che dopo una caduta, l'importante è rialzarsi, che non è inutile autoflagellarsi dopo uno sbaglio. Un detto di Isacco il Siro suona così: «E' più grande chi vede il proprio peccato, di chi vede gli angeli».

Una fede che si ferma al rito e alla devozione senza che questa trasformi la vita è senza senso. Il cristianesimo non si esaurisce nel culto e nella devozione. La fede cristiana è una fede incarnata, spinge la nostra spiritualità a diventare azione.
Avanti

Introdotta dalla formula ufficiale «in verità io vi dico», che rileva l'importanza di quanto segue, Gesù ricorda ai capi religiosi che sono giudicati meno degni dei pubblicani e delle prostitute, due categorie assai disprezzate al tempo di Gesù. Come se Gesù dicesse oggi a un vescovo o a un prete: "Le prostitute sono meglio di te!".

I farisei e gli scribi non facevano nulla di male: chi poteva imputargli qualcosa? Erano morti dentro. Perché non cambiarono? Perché rifiutarono Gesù? Perché ebbero paura.

Vivere in prima persona fa paura perché vuol dire esporsi, cambiare, sperimentare, trovare le proprie risposte. Le persone che hanno paura fanno sempre la stessa domanda: “Che cosa si deve fare? Che cosa è giusto? Che cosa dice la Chiesa?”. Questa è paura! Amico lettore, scoprilo tu cosa devi essere, cosa devi fare, come devi vivere!

Prostitute o peccatori, avevano meno paura di vivere, perché ci provavano, magari sbagliando, andando a fondo, ma almeno ci provavano. Gesù amava i pubblicani e le prostitute non perché approvasse ciò che facevano ma perché era gente che ci provava a vivere, che non si vergognava e non nascondeva le proprie ferite. Gente dal cuore grande, che faceva follie, perché solo chi ama, può far follie: come quelle donne che versarono il profumo sui suoi piedi o la donna che pianse e che con i suoi capelli asciugò i suoi piedi. Sono i gesti dell'amore, folli per chi ha il cuore duro, di misericordia per chi ha un cuore che batte. Dinanzi a Dio, questi peccatori, non hanno meriti da vantare, ma proprio per questo potranno sperimentare la misericordia che è sempre attratta dalla miseria.

Amico lettore, hai mai notato che ogni volta che Gesù entra in sinagoga, accade qualche scompiglio? Perché il grande pericolo di ogni istituzione religiosa, ieri come oggi, è quello di trasmettere dottrine, catechismi, dogmi, regole e non di far sperimentare e sentire Dio.

Gesù stava dove c'era la vita perché Lui, la Vita, non poteva che stare lì. Essere religiosi può essere solo un'apparenza per compiacere Dio, ma ciò che conta è quello che scegliamo nel cuore.

Nella sua autobiografia il Mahatma Gandhi racconta di come un giorno si recò in chiesa per partecipare alla messa e farsi dare le istruzioni necessarie per diventare cristiano. All'ingresso lo fermarono e gli spiegarono gentilmente che se desiderava ascoltare la messa poteva farlo in una chiesa riservata ai negri. Se ne andò e non vi ritornò mai più. E scrisse: «Anche se lì si parlava di Dio, lì non c'era amore e quindi non c'era neanche Dio».

La bella notizia di questa domenica? Dio non è un dovere: è amore, libertà. Dio ha fiducia in ogni uomo nonostante errori e ritardi. Crede in noi, sempre!

 

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