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TESTO Dio è giusto perché fa differenze

don Antonino Sgrò

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/09/2023)

Vangelo: Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì». Per cogliere l'aria che si respira in una casa dobbiamo guardare ai comportamenti assunti dal padrone, che a loro volta rivelano le intenzioni del suo cuore. Se questa casa è il regno di Dio, è l'agire del Soggetto divino a rivelarcene le caratteristiche, che hanno al centro la relazione, l'andare incontro a qualcun altro. Tale padrone non è un signorotto che ama farsi riverire rimanendo inerte sul suo trono; esce e va in cerca di «lavoratori per la sua vigna». Sceglie di aver bisogno di persone, di te e di me, per rendere produttiva la vigna, vanto dei suoi possedimenti, preziosa quanto il frutto che da essa si ricava e la cura che richiede. Esce cinque volte in orari diversi, pagando poi ciascuno come se avesse lavorato tutto il tempo, contro ogni logica economica, spinto da una duplice urgenza: evitare che qualcuno rimanga disoccupato e dare a più gente possibile il dono di prestare la propria opera nel suo campo.

Lavorare nella vigna del Signore è infatti ciò che rende dignitosa la vita umana; non si tratta di un lavoro alienante ma liberante: significa ricevere su di sé lo sguardo benevolo di Dio, quando altri ti lasciano languire nell'indifferenza («nessuno ci ha presi a giornata»), e sentirsi parte di un grande progetto. L'invito è rivolto a tutti coloro che vengono trovati, che non siano impegnati in altre occupazioni: se essere oziosi è una condizione sfavorevole, ancor peggio è trovarsi impelagati in mille rivoli che non hanno a che fare col regno dei cieli. È il dramma di questa nostra società opulenta e solipsista, in cui anche tanti battezzati disperdono le energie migliori dietro cose superflue. Va bene che per guadagnarsi il pane a volte si è costretti a stare dietro a un computer senza la possibilità di guardare negli occhi il fratello, ma perché scegliere di passare il tempo libero alla televisione o al telefonino? Il padrone della vigna incontra tutti e parla con tutti affinché nessuno resti escluso non da un'attività fra tante, ma da una vita che presenta i tratti del regno: quando ti metti al servizio di Dio, anche dopo un'esistenza di scelte sbagliate e fallimentari, sei già nel regno dei cieli!

Ce li immaginiamo questi operai che, pur faticando, godono dello sguardo del padrone non solo al momento della chiamata, ma in tutte le fasi della giornata. Lavorare per il Signore è infatti lavorare con Lui, che con noi semina e raccoglie, suda e riposa, facendoci sentire suoi intimi. Questo clima di armonia ricorda i giorni di festa delle nostre vendemmie, in cui ai grandi si uniscono i bambini a raccogliere e pigiare, tra canti e sorrisi. Il peggio che puoi aspettarti in questi momenti è il brutto tempo; nulla fa presagire che qualcosa rompa l'atmosfera gioiosa che si è creata.

Invece succede che sul padrone cada il sospetto e la rabbia. Perché ha dato agli operai dell'ultima ora la stessa paga riservata a coloro che hanno «sopportato il peso della giornata e il caldo»? Perché questo affronto? Quando si ha la sensazione di essere stati trattati ingiustamente, il mondo intorno a te diventa ostile. Se gli operai della prima ora e di quelle successive non avessero visto che il salario degli ultimi era uguale al loro, non avrebbero protestato, perché avevano ricevuto rispettivamente quanto pattuito e «quello che è giusto». Hanno visto e quindi sono in diritto di protestare! La visione dell'uomo, senza la parola di Dio che la interpreti, può portare ad errori e illusioni. Non dobbiamo fidarci neanche della nostra idea di Dio, se questa non è sottoposta costantemente al vaglio della Parola: il rischio è di proiettare sul Signore le nostre visioni, in questo caso la pretesa che Egli debba dare a ciascuno secondo i propri meriti. Ma un padre non dà di più al figlio fragile e bisognoso, rappresentato dagli operai delle cinque del pomeriggio?

E il Signore parla ancora, dispiegando il suo insegnamento. Le parole del padrone rivelano una profonda conoscenza dell'animo di chi mormora; tuttavia non risuonano come rabbiose e intrise di delusione, ma estremamente pazienti. Si succedono tre interrogative retoriche che presuppongono risposte affermative: ‘Ho concordato per un denaro; puoi fare delle tue cose quello che vuoi; sono invidioso'. L'ultima è la più difficile da ammettere, ma una volta che riconosciamo che il nostro malessere deriva dall'invidia verso l'altro, se con umiltà chiederemo a Dio di farci entrare nella sua logica di gratuità, capiremo che ogni differenza, vissuta in Lui, è principio di comunione.

 

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