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TESTO Perdonare fino a sette volte...ed è già troppo!

don Alberto Brignoli  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2023)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Il perdono non è un'invenzione del cristianesimo, e la domanda che Pietro rivolge al Maestro nel brano di Vangelo di quest'oggi ce lo dimostra. Il dialogo tra Pietro e Gesù segue immediatamente l'insegnamento che abbiamo ascoltato la scorsa domenica, quello sulla correzione reciproca, dove l'invito di Gesù era che a ogni uomo, per quanto grande avesse potuto essere lo sbaglio da lui commesso, fosse concessa in ogni momento la possibilità di ravvedersi, grazie anche a una comunità accogliente disposta a fare di tutto pur di reintegrarlo nella società, evitando giudizi sommari e condanne.

Pietro, però, vuole capire quanto deve durare questo “processo di reintegrazione” nella comunità. La maggior parte delle scuole rabbiniche al tempo di Gesù invitava i propri allievi a perdonare almeno tre volte, sull'esempio di Dio che perdona tre volte ogni uomo: Pietro sa che il tema del perdono e dell'attenzione verso i peccatori è un tema caro al suo Maestro, e allora presenta a Gesù una specie di “tariffario”, nel quale gli propone che i suoi discepoli possano fare il doppio rispetto agli altri e anche qualcosa di più, ossia un perdono accordato ben sette volte, un numero tanto simbolico quanto molto poco realista... Siamo sinceri: chi di noi riuscirebbe a perdonare per sette volte un'offesa o uno sgarbo ricevuto dalla stessa persona? Una, due volte al massimo...la terza diventa già una punizione da infliggere, come ci insegnava la filastrocca - che suonava come una minaccia - imparata dalla maestra a scuola: “La prima si perdona, la seconda si condona, la terza si bastona!”. Applichiamola alle concrete situazioni della vita, e ci pare già di per se improponibile. Quale insegnante permetterebbe a un alunno tre volte lo stesso errore nello svolgimento di un compito? Quale datore di lavoro lascerebbe correre, senza dire nulla, tre mancanze ingiustificate di un proprio dipendente? E chi di noi perdonerebbe per tre volte un grave sgarbo da parte di un suo vicino o di un familiare? Da qui a sette volte... ne corre!

Pietro sa bene di aver esagerato di proposito, e di certo non se l'aspettava di sentirsi rispondere “settanta volte sette”: o il Maestro lo sta prendendo in giro, oppure l'espressione è volutamente esagerata per indicare che il perdono non è questione di calcoli o di conteggi. È un atteggiamento mentale, una disposizione del cuore che nasce dalla percezione di avere da sempre ricevuto da Dio un perdono incommensurabilmente più grande delle nostre reiterate mancanze, e che proprio per questo porta a dimenticare le offese ricevute e a creare una mentalità di riconciliazione basata sulla non violenza, sulla non vendetta, sul non desiderare agli altri il male che essi hanno fatto a noi. Con il perdono, se vissuto in quest'ottica di “per-dono”, di dono ricevuto più volte da Dio, non si possono fare calcoli: saremo sempre in debito nei confronti di Dio, per cui è inutile - e pure ingiusto - andare a riscuotere dagli altri il dovuto per offese da essi ricevute. Con che coraggio un debitore di 10.000 talenti (corrispondenti a qualcosa come svariati milioni di giornate di lavoro) può andare a chiedere che gli siano restituiti da un suo pari 100 denari (3 stipendi mensili di un operaio), quando per fare un solo talento ci volevano 6.000 denari? Con che coraggio lo prende per il collo, si disinteressa totalmente della sua richiesta di ulteriore tempo, e lo fa sbattere in carcere per un'insolvenza di poche migliaia di euro, mentre a lui è stato applicato un condono fiscale di vari miliardi?

Questo dovrebbe aiutarci a capire cos'è il perdono cristiano, che non è basato sul concetto di giusta retribuzione o di calcoli, perché Dio, nei nostri confronti, giusto non lo è affatto: non lo è mai stato e non lo sarà mai (lo vedremo anche domenica prossima), perché per nostra grazia “non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe” (come ci ricorda il salmo responsoriale). Allora, visto che il Dio di Gesù Cristo non è giusto, ma è clemente e misericordioso, le relazioni umane dei credenti in Cristo non possono avere come legge né quella del taglione (occhio per occhio, dente per dente) né la retribuzione (pagare per ciò che si ha fatto), che - pur avendo un'apparenza di giustizia - fondamentalmente sono leggi basate sul concetto di vendetta (io do a te ciò che tu hai dato a me, nel bene e nel male): le relazioni create dai cristiani devono essere basate esclusivamente sul perdono, che trova il suo fondamento nell'Alleanza, nel rapporto stretto tra Dio e l'uomo, come ci ricorda già Siracide nella prima lettura, “ricorda l'Alleanza dell'Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Dio ama a tal punto l'uomo da perdonarlo incondizionatamente e infinitamente: e questo è il metro su cui l'uomo deve misurare le proprie relazioni con i suoi simili.

Giuridicamente parlando, il perdono è una follia, è la negazione del diritto: come fidarci di un Dio, che parla di perdono invece che applicare la giustizia? Del resto, cos'ha fatto, lui, perdonando chi gli ha ammazzato il Figlio in croce, e continua a farlo crocifiggendo i suoi figli sulle migliaia di croci della storia?

Lui stesso, comunque, ha messo dei paletti: perdonerà tutto, sempre, ma tralascerà di farlo con chi non fa altrettanto con i fratelli. “Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati”. Perché non si può nemmeno parlare di un Dio affetto da demenza senile, che involontariamente dimentica tutto il male che l'uomo compie: no, Dio non dimentica nulla, perdona sempre e volentieri.

Il perdono, l'abbiamo detto all'inizio, non è un'invenzione del cristianesimo, ma lo sono la folle perseveranza nel perdono e la costruzione di una società nuova basata sulla cultura dell'amore e del disarmo della vendetta. E dopo duemila anni, siamo ancora solamente agli inizi!

 

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