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TESTO Dio ha già pagato: se non accetti, la pagherai

don Giacomo Falco Brini  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/09/2023)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Siccome domenica scorsa abbiamo udito Gesù dare regole precise per affrontare il problema della colpa di un fratello, Pietro avanza subito quella domanda che sarebbe affiorata nel cuore di chiunque tra noi, se fossimo stati al suo posto. Bisogna perdonare sempre o c'è un limite al perdono? La formulazione della domanda è già indizio che, fosse per noi, si dovrebbe porre sicuramente un limite: quante volte? Fino a sette volte? (Mt 18,21) Gesù sa dove vuol portare i suoi discepoli nella sequela. Ma, finché non inciamperanno quando lo vedranno in Croce, essi non sanno ancora chi è Colui che li sta istruendo. La parabola serve ad avvicinarli al suo mistero, perché possano un giorno capire che il Regno dei Cieli non è spiegabile dentro logiche umane, né può entrare nel cuore di chi ha deciso che tutto nella vita deve essere rigorosamente razionale. La risposta del Signore alla domanda, a una prima lettura, potrebbe contraddire quel che ho appena affermato. Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22): sembrerebbe espressione che inquadra la questione a un livello puramente matematico. Pietro offre un limite, Gesù allarga molto di più quel limite, ma sempre un limite ci sarebbe al perdono. Stanno così le cose per Dio?

La parabola risponde al quesito. La risposta di Gesù va interpretata secondo l'esplicito richiamo della parola in Genesi, dove Lamech, discendente di Caino, si propone una vendetta spropositata rispetto al suo avo: sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette (Gen 4,24). Dunque Gesù risponde a Pietro di perdonare non sette, non settantasette, ma settanta volte sette, cioè l'opposto di una vendetta sproporzionata: quindi indica un perdono senza limiti. Eppure il problema che solleva la parabola, va più in profondità rispetto alla domanda iniziale. Se infatti meditiamo bene il racconto, attenti ad ogni singola parola, ci accorgeremo subito che, all'innegabile, immensa magnanimità del re di fronte al servitore dal debito sproporzionato, si contrappone un'ambiguità del suo atteggiamento che emerge proprio dall'espressione della sua preghiera: abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa (Mt 18,26), parole che comunque muovono a compassione il re. Cioè, davvero l'uomo può proporsi e proporre a Dio di restituire tutto per saldare il suo incommensurabile debito?

C'è un difetto profondo, religiosamente parlando, in questo proposito. La lezione del vangelo va oltre la più semplice spiegazione del perdono illimitato richiesto al discepolo. È come se la parabola volesse spiegarci anche l'origine del comportamento diametralmente opposto che il servitore cattivo ha con il suo debitore, malgrado avesse ricevuto il condono pieno del suo debito. Che cosa può far dimenticare un'esperienza simile, cioè essere stati perdonati in tutto? Oppure, cosa può impedire al cuore umano di avvertire nel profondo di essere stati perdonati senza condizioni? Una cosa è certa: il servitore chiede al suo debitore il saldo del suo debito, mentre lo afferra per il collo e si nega alla stessissima preghiera. Non solo agisce come persona che ignora l'immenso dono ricevuto, ma anche come uno che non si accorge minimamente della smisurata differenza del debito (Mt 18,28). Se ci riflettiamo bene, per chi vive pensando di farcela a restituire il proprio debito verso Dio, non può che essere così. Ora possiamo delinearne meglio il profilo.

Chi vuole restituire a Dio il proprio debito, è persona che fa una faticaccia a credere nel suo amore gratuito. Egli si rapporta a Lui non come a un padre, ma come a un estraneo a cui dover dimostrare qualcosa e con cui uscirne a pari nei conti. È un uomo che ha un problema profondo con Dio, dunque non si trova ben disposto a scoprire che non è quel che lui pensa. Dio si manifesta compassionevole con lui, ma la sua misericordia non giunge a cambiarlo dentro, proprio perché vuol mantenere con Lui un rapporto in cui non risulti sempre debitore. Si tratta di persona che vive sempre a credito con gli altri, a cui non piace sentirsi in debito. È il tipico soggetto che si muove sempre sul terreno dell'umana giustizia, che non pensa affatto di essere proprio lui mancante in essa. Quando parla, di solito si esprime ricorrendo a espressioni come: “è giusto che si faccia così, non è giusto che si faccia questo...”, incurante di conoscere la giustizia di Dio ben diversa dalla sua. Per lui Dio si muove nel parametro “giusto/non è giusto”. Per lui che giunge a farla pagare ai suoi debitori (Mt 18,30), il monito della parabola non può che essere grave: se non accetta che Dio è Colui che ha già pagato per tutti, se non accetta di vivere del suo perdono, si condanna da solo a pagarla caramente con la sua vita (Mt 18,32-35).

 

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