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TESTO Perché “scomunicare”?

don Alberto Brignoli  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/09/2023)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Il Vangelo di oggi andrebbe letto... partendo dalla fine! Se lo leggiamo così come Matteo ce lo ha trasmesso, ci verrebbe da dire: “Di male in peggio”. C'è un membro della comunità che si comporta male e che viene ripreso inizialmente con il dialogo personale, poi attraverso un confronto con altre persone, poi - visto che le cose non migliorano - parlandone a livello comunitaria e alla fine, di fronte a un tentativo fallito di riconciliazione, la persona viene esclusa dalla comunità, che è convinta, così, di aver fatto la volontà di Dio. Non sembrerebbe certo un racconto pieno di speranza...

Ma proviamo a rileggere il brano partendo dal fondo, tenendo conto soprattutto delle ultime parole che abbiamo ascoltato: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Se, infatti, prendiamo coscienza che il Signore è presente ogni volta che una comunità di credenti in Cristo si riunisce nella ricerca del bene comune e nel faticoso lavoro di intessere relazioni vere tra gli uomini, ogni sforzo non può che andare a buon fine. La prospettiva cambia radicalmente, perché riempie di speranza ogni tentativo di riconciliazione.

È un conto dire, infatti: “Cerchiamo di eliminare le cose che vanno male in una comunità, individuandone le cause ed eliminando chi crea problemi, e allora il Signore riporterà l'armonia tra di noi”, ed è un altro conto dire: “Il Signore è in mezzo a noi, e se ci sforziamo, con il suo aiuto, di aiutare chi cammina con fatica a riavvicinarsi alla comunità, riusciremo a mantenere un clima di fraternità, accettando anche il fatto che qualcuno possa decidere di non far parte di questo cammino”. Nel primo caso, c'è l'intento (si spera fatto in buona fede) di rimuovere il male che c'è dentro una comunità in nome di leggi desunte, si presume, dalla volontà di Dio; nel secondo caso c'è una sola legge, quella dell'amore (nella quale “si ricapitola ogni comandamento”, come dice Paolo nella seconda lettura), dettata da Gesù stesso, che cerca di andare incontro a ogni essere umano con il solo intento di farlo sentire, nonostante tutto, figlio di Dio.

Gesù non è venuto a condannare e a escludere, ma a perdonare e salvare. Se quindi nemmeno lui (che ne aveva tutti i diritti) si è permesso di giudicare e di condannare i peccatori, ma solo di aiutarli a ritrovare se stessi e il loro rapporto con Dio, come possiamo noi, che ci diciamo suoi discepoli suoi e comunque rimaniamo in tutto e per tutto peccatori, arrogarci questo diritto? In nome di chi e di che cosa ci permettiamo di dire a una persona “Tu sei fuori dalla comunità”, senza aver prima fatto con lei un percorso di ascolto e di accompagnamento volto ad ascoltare e capire i drammi che spesso si nascondono dietro a un comportamento sbagliato? In nome di chi e di che cosa abbiamo la presunzione di creare categorie di persone distinguendo tra “i nostri” e “gli altri”, sulla base di atteggiamenti apparentemente buoni o cattivi? In nome di chi e di che cosa “scomunichiamo” una persona “ipso facto”, senza averle dato la possibilità non tanto di ravvedersi (può anche decidere di non farlo, ce lo dice il brano stesso di oggi!), quanto anche solo di dare delle spiegazioni ai propri comportamenti?

Quante volte, soprattutto noi uomini e donne “di Chiesa” emettiamo sentenze sui comportamenti delle persone senza neppure aver parlato con loro! E non parlo delle “scomuniche” ufficiali della Chiesa, dietro alle quali ci auguriamo tutti che ci sia sempre un iter e un criterio di giudizio più evangelico che canonico o giuridico. Mi riferisco invece alle tante piccole “scomuniche” della vita comunitaria di ogni giorno. Quante volte tagliamo fuori ed eliminiamo da una comunità, da un gruppo parrocchiale, da un movimento, da un cammino le persone che ci danno fastidio, che la pensano diversamente da noi, che semplicemente nella vita hanno vissuto situazioni sfortunate, oppure che si comportano male, certo, ma forse si tratta di una reazione a nostri precedenti comportamenti scorretti!

E quanto poco, invece, ci preoccupiamo di ritrovarci insieme a pregare su un problema o su un atteggiamento sbagliato; quante poche opportunità creiamo per trovarci a riflettere e meditare tra persone di diversi credi religiosi, di diversa impostazione ecclesiale, o anche solo di modi diversi di pensare all'interno della stessa parrocchia; quanto poco pensiamo alle nostre azioni qui sulla terra come anticipo di ciò che avverrà nella Chiesa celeste a cui tutti siamo chiamati, e la cui unica legge è quella dell'amore (credo sia questo il senso di “tutto quello che legherete e ciò che scioglierete sulla terra sarà legato e sciolto in cielo”).

E soprattutto, quanto poco dialogo tra di noi, particolarmente quando ce n'è più bisogno, ovvero quando non ci si intende, non ci si comprende, e quindi si entra in conflitto, si litiga, ci si arrabbia, e poi si commettono errori e ingiustizie a volte per vere e proprie banalità! Non è quando si va d'accordo che si deve dialogare (se già si va d'accordo, va da sé che ci sia dialogo), bensì proprio quando si fa difficoltà a stare bene gli uni con gli altri. E cercare di ricreare relazioni giuste tra noi uomini e tra noi e il nostro Dio, non è un'opzione tra le tante: è un imperativo categorico! Se non lo facciamo, Dio ce ne chiederà conto, come ci dice Ezechiele nella prima lettura: “...il malvagio morirà per la sua iniquità; ma della sua morte io domanderò conto a te”.

A me non va proprio di giudicare, condannare e scomunicare: sia perché il primo che devo giudicare sono io stesso, e sia per non sentirmi dire da Dio, un giorno, che sono responsabile della rovina della fede e della vita di un fratello. Piuttosto, vorrei che Gesù mi insegnasse, giorno dopo giorno, ciò che Paolo ci ha meravigliosamente detto oggi: “La carità non fa alcun male al prossimo”.

 

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