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TESTO E provare a cambiare mentalità?

don Alberto Brignoli  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/08/2023)

Vangelo: Mt 15,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

C'è un filone che unisce, oggi, tutte e tre le letture della Liturgia della Parola; ed è il rapporto tra Israele, popolo eletto, e i popoli stranieri, considerati soprattutto nel loro aspetto religioso, ovvero come non appartenenti alla fede professata dal popolo ebraico.

Isaia profetizza che la casa di Dio (il Tempio di Gerusalemme) diventerà “casa di preghiera per tutti i popoli”. E le condizioni per entrare in questo luogo di preghiera sono semplici: osservare il diritto, praticare la giustizia, rispettare il sabato (ovvero il riposo nel giorno dedicato al Signore), rimanere fedeli al Signore. Cosa che Isaia vede possibile non solo per il popolo d'Israele, bensì - e lo dice esplicitamente - anche per gli stranieri. Per comprendere la portata di questa affermazione, bisogna ricordare che il testo che abbiamo letto fa parte del cosiddetto “Terzo Isaia”, ovvero si tratta della parte finale del libro del profeta, scritta dopo il rientro del popolo di Israele dall'esilio di Babilonia. Ora, che Isaia parli del Tempio di Gerusalemme come una casa di preghiera per tutti i popoli, anche per quei popoli stranieri che, non più di 70 anni prima, avevano distrutto proprio quel Tempio al quale ora sono invitati ad accedere, è una cosa davvero sconvolgente: significa, in pratica, dimenticare tutto ciò che il popolo eletto ha subito, gettarsi dietro le spalle l'odio e la rabbia, e ricominciare da capo un cammino di pace e di fratellanza con chi, poco tempo prima, ha annientato la generazione dei suoi padri. Ed è già un grande insegnamento anche per noi.

Paolo, nella lettera ai Romani, si spinge ancor più in là: spiega alle “genti” (era il termine con cui si designavano i pagani che avevano accolto il Vangelo di Gesù) uno dei motivi per i quali si era rivolto a loro più che ai suoi fratelli di sangue e di fede, gli ebrei. E il motivo era quello di “suscitare la gelosia” dei suoi fratelli perché possano scoprire la bellezza del messaggio di misericordia, così come è avvenuto per i pagani. Quasi a dire: “Cari miei confratelli nella fede, imparate dagli stranieri e da coloro che voi avete sempre ritenuto esclusi dalla salvezza, ad abbracciare i doni di misericordia di Dio”. Un'esortazione non certo priva di coraggio, per un fariseo stretto osservante della Legge di Mosè che dopo aver aderito al messaggio di Cristo, arriva a usare parole pesantissime contro quella religione nella quale era cresciuto: eppure, consapevole delle fatiche e dei contrasti che riceve dai suoi fratelli di sangue, Paolo continua ad usare parole di misericordia perché - dice - “Dio ha voluto essere misericordioso con tutti”, ebrei e non ebrei. Un altro grande insegnamento sulla necessità di ritornare a Dio.

Arriviamo così al Vangelo, dove incontriamo Gesù e i suoi discepoli in terra straniera, precisamente a Tiro e Sidone, città della Fenicia (l'attuale Libano): stando al Vangelo di Matteo, è l'unico passaggio della vita di Gesù in territorio straniero. E questa trasferta, Gesù non sembra proprio viverla con grande serenità: viene infatti avvicinato da una donna di quella regione (quindi non appartenente al popolo d'Israele) che con grande insistenza lo supplica per la guarigione della propria figlia indemoniata. Sinceramente, un Gesù così antipatico e sgarbato fino ai limiti della maleducazione e dell'offesa, nei Vangeli io non l'ho mai incontrato, ancor meno nei confronti delle persone bisognose e disperate: prima, ignora completamente questa donna (e non può dire di non averla sentita, perché gridava); poi, ai discepoli che lo invitano in maniera pressante a “esaudirla” (della serie “Dai, fai ‘sto miracolo che almeno ce la togliamo dai piedi!”) risponde dicendo che lui è stato mandato solo “alle pecore perdute della casa d'Israele” (e allora, perché diamine sei andato in Fenicia?, ci verrebbe da dire...); e per finire, come se non bastasse, nel contatto diretto con la donna che si getta ai suoi piedi, la sua affermazione fa davvero rabbrividire, in quanto alla donna si rivolge usando l'epiteto di “cane” (che forse oggi a molti suonerebbe come un complimento, vista la considerazione che abbiamo per gli amici a quattro zampe... ma allora era il termine dispregiativo con cui gli ebrei definivano gli stranieri, i non-israeliti).

Verrebbe da dire che Gesù non ha verso gli stranieri la stessa attenzione che dimostrano di avere Isaia prima e Paolo poi... al punto che il cambiamento di atteggiamento, che alla fine lo porterà ad esaudire la donna, da alcuni biblisti viene definito “la conversione di Gesù”: Gesù verrebbe “convertito” da una visione “giudaica” della fede a una visione universale, per la quale la salvezza è offerta a tutti i popoli.

E per di più, a operare questa “conversione” non è un saggio o un esponente di spicco della cultura pagana, bensì una povera donna disperata.

Questa lettura di un Gesù che “si converte” è suggestiva, perché ci fa capire quanto sia necessario, per noi che ci diciamo suoi discepoli, operare una continua conversione, un cambio di mentalità riguardo ai pregiudizi che spesso abbiamo nei confronti delle persone... lo ha fatto il nostro Maestro (l'unico che non ne aveva bisogno!), perché mai non dovremmo farlo noi?

Ma quello che importa credo sia il cammino che questa donna - pur non essendo una credente, una “donna di Chiesa”, diremmo noi oggi - compie per incontrare Dio: e credo pure che a noi, oggi, debba insegnare molto. La sua disperazione (che è la disperazione di molti, oggi e sempre, quando la vita ci colpisce senza mezzi termini) non è motivo di disfatta, ma di ricerca spasmodica, drammatica di una soluzione, gettandosi tra le mani (anzi, ancor più in basso, ai piedi) di un Dio che all'inizio è invocato non perché da lei venerato, ma perché “abbia pietà” (una sorta di “Kyrie eleison”), lui che all'inizio è “Figlio di Davide”, ovvero Messia potente capace di sottomettere a sé tutti i popoli, ma poi diviene “Signore”, qualcuno di cui ci si può fidare, qualcuno a cui chiedere aiuto senza mai stancarsi, nemmeno quando egli pare fare silenzio o addirittura risponderci che non siamo degni di attenzione da parte sua. Commovente, infatti, quel “È vero, Signore”: una specie di “Amen” che dice l'accettazione della volontà di Dio, qualunque essa sia, perché a chi crede in maniera sincera non servono grazie particolari o privilegi, basta ciò che “cade dalla tavola dei padroni”.

Quei “padroni” della fede che spesso siamo noi, quando - con i mille pregiudizi che abbiamo verso chi è “straniero”, diverso da noi in ogni senso - trattiamo gli altri con la sbrigativa sufficienza dei discepoli, che avrebbero congedato la donna come facciamo quando rifiliamo due spiccioli a chi “ci rompe le scatole”... Anche Gesù è stato capace di rivedere il suo modo di fare nei confronti di questa straniera: è proprio così difficile, per noi, cambiare mentalità nei confronti di chi è diverso?

 

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