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TESTO Voce di silenzio sottile

don Angelo Casati  

XI domenica dopo Pentecoste (Anno A) (13/08/2023)

Vangelo: Mt 10, 16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Mi è difficile trovare una parola che raduni le esperienze spirituali di Elia, di Paolo, dei discepoli esperienze che di loro spaziano e pure sfuggono. Conosco così poco. Vengo al racconto di Elia: aveva camminato per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto fino al monte di Dio, l'Oreb. Era, stata sin da principio, una fuga: ricercato a morte dalla regina Gezabele dopo che al torrente Chison le aveva ucciso 450 profeti di Baal. Domanda: era poi stata una uccisione in nome di Dio? Quante cose si fanno in nome di Dio o per il bene degli altri!

Già dal primo giorno di cammino nel deserto il desiderio era stato quello di lasciarsi morire sotto una ginestra. Ma Dio ebbe un pensiero, gli mandò un angelo, per ben due volte, con orcio d'acqua e focaccia cotta su pietra rovente; e con la forza di quel cibo gli riuscì di raggiungere l'Oreb. Entrò nella caverna con il fiato di chi è braccato. Deluso da Dio? Non so se deluso, ma qualcosa non quagliava dentro di sé e di tempo per pensarlo ne aveva avuto lungo il cammino. Era come non gli tornassero i conti. Quante volte anche a noi in alcune situazioni embra che i conti non tornino. E non è forse per questo che Elia a Dio, che gli chiede che cosa faccia lì nella caverna - quasi non fosse successo nulla - risponde, forse anche un poco risentito: "Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti.

Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita". Si aspettava qualcosa in più del sorso d'acqua e della focaccia. Lui era rimasto all'idea di un Dio battagliero e potente. Ed ecco che sul monte dalla caverna gli si svela un volto inatteso di Dio: Dio non è nel vento, non è nel terremoto, non è nel fuoco, è - cosi si esprime la nostra traduzione - nel "sussurro di una brezza leggera". Tre parole ebraiche "qol demamah daqqah", che potrebbero essere tradotte anche come "voce di silenzio sottile". Parole che suonano come soffuse di un mistero che forse noi non dovremmo valicare. Raccontano un diverso modo di agire di Dio. Non vento, non terremoto, non fuoco, ma voce di silenzio sottile: raccontano un prendersi cura non esibito, che ha tempi più lunghi delle facili stroncature, che ci mette in guardia dal chiamare tutto fallimento come fa Elia, un tempo per accorgerci di ciò che sta crescendo e di confidare in albe future.

Elia era giunto all'Oreb come uno che negli occhi non ha nient'altro che una terra di malvagità, da rigettare e incenerire. Dio gli dice: "Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, come re su Israele e ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto. Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal". Anche noi chiamati a ritornare sui nostri passi, dalla visione di un Dio interventista e strapotente, che tutto risolve mandando fuoco dal cielo, alla visione di un Dio che è voce di silenzio sottile, il Dio dell'orcio d'acqua e della focaccia, un Dio che, proprio là dove tutto sembra terra bruciata e perduto, mette in moto, con altri nomi e altre generazioni, il futuro.

Pensate quanta fatica noi a immaginare altri nomi e le nuove generazioni. Il racconto della visione di Elia si è preso molto del mio tempo: rimangono solo squarci per le altre visioni. Misteriosa quella di Paolo: sa e non sa della visione che gli è occorsa quattordici anni prima. Scrive: "E so che quest'uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare". Vantarsene o non vantarsene? Dice: "Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me.

Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza"". Appare la parola "spina": e ci furono pagine e pagine a interpretare. Non ho competenze. Mi è di aiuto pensare che nella riflessione di Paolo la parola "spina" è un segno della nostra fragilità. E Dio è nella fragilità. Ne consegue che, quando tocchiamo la nostra fragilità, non dobbiamo spaurirci, tocchiamo Dio. Una voce a dirci: ""Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Ora, contrariamente a quanto ci vanno dicendo, sappiamo dove avviene la manifestazione di Dio: nella debolezza. Vengo al brano di Matteo. Sfioriamo un ossimoro nell'invito: "Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe". Anche noi tra semplicità e prudenza: una semplicità che non ci renda ingenui, una prudenza che non ci tolga l'audacia.

Ebbene nel brano che preannuncia persecuzioni Gesù - così mi sembra - indica un luogo, un luogo permanente di visione e di ascolto: è il tuo cuore. Ascoltate: "Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi". In voi! L'anima, un nuovo monte, o, se volete, un nuovo santuario: l'accesso è libero, purtroppo da noi spesso disatteso, il rifugio dell'anima, una caverna non di paura, ma di intimità, dove Dio si fa presente e ci parla con il suo Spirito. E' scritto: "lo Spirito del Padre vostro parla in voi". In voi. Noi andiamo per monti, per laghi, per mari, per giardini e musei, visitatori incantati. Ed è bello: una curiosità che ci muove. Vorrei chiedere a Dio la stessa curiosità per il luogo interiore dove sono abitato dallo Spirito, la stessa capacità di stare in ascolto della "voce di silenzio sottile".

Non si è mai finito di imparare.

 

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