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TESTO Lo svelamento di Gesù per noi

padre Gian Franco Scarpitta  

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Trasfigurazione del Signore (Anno A) (06/08/2023)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 17,1-9

1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Sono tre i personaggi che assistono al fenomeno spettacolare della trasformazione gloriosa di Gesù. Gli stessi che poi presenzieranno al Getzemani all'agonia del loro Maestro e che erano stati scelti assieme ad Andrea dal gruppo dei pescatori (Mc 1, 6 - 20). Essi godono ciascuno di un primato: Pietro è infatti capo del collegio degli apostoli, Giacomo sarà il primo testimone che morirà ucciso per la causa del Cristo (Erode lo farà uccidere per primo) e Giovanni è il discepolo prediletto e sommamente amato da Gesù. Persone prescelte a vivere questa esperienza di comunione più intensa con il Signore, avvalorata dal mistero della trascendenza di per sé insondabile e ineffabile, che si rende immediatamente tangibile e alla loro portata.

C'è un termine della teologia tedesca con cui si identifica la rivelazione: “Offembarung”, letteralmente “togliere il velo”, svelare e rendere nullo l'occulto.

Quello che si realizza su questo monte identificato con il Tabor è lo svelamento della gloria di Dio nell'ordinarietà della vita umana e la persistenza del divino in mezzo a noi per mezzo del Signore Gesù Cristo che ne è il rivelatore. I tre apostoli assistono alla scena del loro maestro quale non l'avevano mai visto: avvolto da una nube e in vesti straordinariamente splendenti. Elementi tipici della gloria divina, quale viene espressa nell'Antico Testamento, anche a proposito del libro di Daniele, che descrive l'arrivo del Messia in candide vesti dopo aver parlato dell'avvento dell'Anticristo (la bestia). E così Gesù si manifesta agli occhi inebetiti di Pietro, Giacomo e Giovanni: come il Signore della gloria prefigurato da Mosè ed Elia, Colui che domina il mondo e che viene esaltato (anche dalla nostra Liturgia con il medesimo episodio evangelico) come il Re dell'Universo. Gesù compare nella pienezza della gloria e della sua maestà divina, in una veste del tutto straordinaria e altisonante, che suscita sgomento ma allo stesso tempo gioia e attrattive, perché svela il mistero del vero Dio: l'Ineffabile e Assoluto che per noi diventa relativo, il Tutto che presenzia nel frammento (von Balthasar), il Perfetto e il Grandioso all'interno del precario.

I tre discepoli concepiscono che il loro Signore è il Dio della gloria, il Verbo incarnato per la salvezza loro e di tutto il genere umano: infatti essi notano, oltre al candore abbagliante senza precedenti delle vesti di Gesù anche la figura di Mosè e di Elia, il primo rappresentativo della Legge, l'altro espressivo dei Profeti, insomma della vecchia economia salvifica che è sorta anzitempo con l'alleanza di Abramo e si è sviluppata con il patto di Mosè e con la presenza degli apportatori del divino messaggio di salvezza. Tale alleanza ha il suo compimento definitivo in Cristo, essendo Questi l'immagine della gloria del Padre e la realizzazione delle antiche promesse messianiche di salvezza.

Ecco che allora si dispiega specialmente agli occhi di Pietro l'arcano dell'andata di Gesù a Gerusalemme. Precedentemente a questo episodio infatti, quando Gesù aveva confidato ai suoi che sarebbero andati tutti nella città del tempio dove egli sarebbe stato ucciso, Simone aveva obiettato "Dio te ne scampi!" perché mosso da un sentire di generosità e di riverenza amichevole nei riguardi del suo maestro, e tuttavia allusivo di un'errata amicizia filantropica per la quale Gesù gli aveva perentoriamente risposto: "Vai dietro a me, Satana!". Infatti, mentre Pietro tentava in buona fede di salvare Gesù dal patibolo di morte, senza rendersene conto stava ostacolando i disegni di salvezza di Dio Padre, per i quali il Figlio doveva necessariamente morire di croce per risorgere e risollevare così l'umanità.

Adesso Pietro sta tangibilmente comprendendo quale era stato il suo errore in quella specifica circostanza e manifesta stupore e meraviglia considerando la magnificenza gloriosa di quel Signore fino ad allora considerato solamente alla stregua di un maestro terreno fautore di ordini e di disposizioni. Pietro comprende che la realizzazione delle medesima gloria è l'amore divino per l'umanità e la volontà di riscattare tutti dal peccato attraverso un procedimento insolito dal punto di vista umano ma ben comprensibile per chi accetta l'assurdo della "follia " dell'amore, ossia la morte crudele del patibolo e la sottomissione alle ingiustizie e alle prevaricazioni degli altri. Il Cristo che vede rifulgente di luce è insomma il Figlio di Dio che si è abbassato fino alla disfatta dell'entrata in Gerusalemme e ha accettato di buon grado di seguire quell'itinerario per conseguire la gloria attraverso un sentiero orrendo quanto necessario.

Sempre Pietro sarà testimone di questo evento esaltante che lo ha interessato sul Tabor assieme ai suoi fratelli: riporta nella sua lettera (2Pt 1, 16 - 18) la testimonianza veritiera e non speciosa di qualcosa di cui egli stesso è stato spettatore e che non viene raccontato con misticanza di leggende e di fantasie.

La trasfigurazione ci invita a considerare come anche in noi alberga sempre un desiderio di novità e di mutamento che possa apportare un diversivo nella nostra vita. Desideriamo cioè non di rado uscire dalla mediocrità e dal torpore della monotonia ed essere avvinti dal fascino di un'incidenza prorompente che in un certo qual modo ci sovrasti. Dio è presente nell'ordinarietà del quotidiano, ci chiama in causa negli eventi dell'oggi e nelle continue provocazioni di tutti i giorni, ma tante volte non ci assecondiamo della sua presenza riscontrabile come fatto di fede. Vorremmo che Dio "squarciasse i cieli e scendesse" (Is 63, 19) e che irrompesse categoricamente nella storia secondo le nostre aspettative di giustizia e di risolutezza. Vorremmo un Dio imperioso e perentorio quale in effetti lui potrebbe anche mostrarsi, ma preferisce collocarsi dalla parte dell'uomo nella forma totalizzante, cioè come uomo fra gli uomini.

La trasfigurazione sul Tabor ci ragguaglia che in ogni caso Dio è sempre Dio e l'uomo è sempre uomo. Che Dio prescinde da tutto, perfino da noi, non è condizionato da nessuno ad essere quale egli è. Ciò nonostante è un Dio che ama farsi tutto per l'uomo e con l'uomo vivere, soffrire e perseverare.

La presenza costante di Dio nella nostra vita va colta come presenza certa, ma silente e proficua, da scorgersi nell'ottica della fede e dell'abbandono. Ciò non toglie che è sempre una presenza "innovativa" e straordinaria, perché ogni giorno Gesù ci raggiunge con la novità che lui stesso è per noi. La Parola di Dio che si legge nella meditazione silenziosa e nella pubblica assemblea liturgica non è mai reiterata e consueta, poiché apporta sempre novità nell'attenzione di chi ascolta. La stessa novità del Dio glorioso e trasfigurato.

 

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