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TESTO Commento su Matteo 11,25-30

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/07/2023)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra!

E cosa mai sarà successo per pronunciare parole così nette di ringraziamento e di lode? Cosa sarà successo intorno a Lui tanto da muovergli il cuore in un canto di esultanza tanto chiaro e solenne? Non dovrebbe esserci una risposta difficile: un ringraziamento muove sempre da eventi positivi e fecondi; si ringrazia per il bene ricevuto, per un di più che non avevamo calcolato, per un gesto di gratuità ed affetto nei nostri confronti. Perché, dunque, Gesù canta la riconoscenza al Padre suo, Signore del cielo e della terra (v. 21)?

Se, tuttavia, scorriamo il testo e lo inquadriamo nella cornice più ampia del cap. 11 del vangelo di Matteo, ci accorgiamo di un contesto ben diverso da quello ipotizzato. Giovanni - l'amico, il precursore, colui che tra i nati di donna è il più grande (v.11) - dal carcere nel quale era rinchiuso si chiede e fa' chiedere se veramente Gesù era colui che dichiarava di essere. Una domanda che è quasi un affronto, l'icona plastica di un dubbio, quando la prigione non è solo intorno a te ma anche e soprattutto dentro di te e non ti fa vedere la realtà nella sua integralità. È una domanda che mina una fiducia e che sembra annullare quanto Egli aveva detto ed operato fino a quel momento: se anche il più grande era accarezzato dal dubbio, figuriamoci gli altri! Ed infatti, dopo Giovanni, Matteo riporta la reazione di Gesù nei confronti di Corazin e Betsaida, città dai nomi strani, rimproverate per la pigrizia del loro cuore a convertirsi e a cambiare strada (vv. 20 - 21). L'evangelista cesella nel suo scritto episodi che raccontano l'insuccesso di Gesù, la fatica della sua missione, lo sforzo vano nel portare avanti ciò a cui aveva consacrato e dedicato tutta la sua vita.

Non c'è quindi nessun evento positivo, nessun successo, nessuna vittoria. E quindi - noi così ci aspetteremmo - nessun evidente motivo di ringraziamento! Nessun bene per cui lodare o comporre un canto di gratitudine. Come possiamo comprendere questa disarmonia?

Gesù porta nella preghiera ciò che accade intorno a lui, anche quando ciò significa guardare l'insuccesso, l'incomprensione, l'isolamento, la solitudine. Si può ringraziare, si può trasformare in preghiera tutto ciò che ti accade e ti sta accadendo, oggi, proprio in questo momento, anche se ha la forma di un insuccesso, di un fallimento, di una fatica. Anzi, paradossalmente, proprio quando tutto spinge a rinchiuderci e a guardarci l'ombelico, ecco che il nostro sguardo è chiamato a guardare in alto, a scrutare i cieli per rinnovare la sequela, per confermare il cammino, per rimettere ancora una volta i nostri passi nelle orme di Colui che abbiamo scelto di seguire non per il guadagno che ne avremmo tratto, né per l'efficacia di ciò che facciamo ma solo e soltanto perché eravamo convinti che stare con Lui sarebbe stata l'unica cosa veramente sensata che potevamo costruire nella nostra vita. La preghiera di lode che Matteo pone sulle labbra del Signore ci ricorda che tutto ma proprio tutto può essere occasione per rinnovare il nostro discepolato, rinvigorire la nostra fede, dire ancora una volta il nostro Sì proprio quando tutto e tutti di dicono ma chi te l'ha fatto fare. D'altronde, sono sempre le crisi che fanno verità nella nostra vita!

Siamo davanti ad un testo che ci consente di comprendere come Dio guarda gli eventi e la storia: sono gli occhi dei piccoli ad essere capaci di accogliere il suo dono. Dio pone il suo sguardo di predilezione sui piccoli. E solo loro possono incrociarlo. Questo termine - piccoli - racchiude tanti significati. Ma, in particolare, indica l'infante, colui che è senza parola. Sì, perché tu puoi metterti sulla stessa lunghezza d'onda di Dio quando impari a stare zitto che non è tanto un ordine al silenzio ma allo svuotamento: puoi riempirti di Lui quando ti svuoti di te; puoi accogliere quando sai fare spazio; quando lasci le tue idee, le tue convinzioni, le tue abitudini, ciò che hai capito finora e ti apri verso orizzonti nuovi ed inesplorati. I piccoli - i senza parola - sono i poveri che sempre la Scrittura presenta come gli unici capaci di entrare nella casa di Dio. Poveri perché resi tali; poveri perché la vita e le sue crisi ti hanno impoverito, ti hanno ridotto all'essenziale, ti hanno costretto a fare i conti con la vita che abita dentro di te. Povero perché scegli di avere mani libere, aperte, arrendevoli; mani che ricevono e non mani che arpionano e graffiano; mani vuote, svuotate della convinzione che possiamo bastare a noi stessi, che ciò che abbiamo finora capito è l'unico punto di vista possibile ed immaginabile; mani bucate in quella coriacea sicurezza che ci fa presumere di avere sempre il polso delle situazioni, trasformando Dio in uno stendardo da brandire e in una clava con cui spaccare. Questi sono i piccoli: sono i poveri, i senza parola, più pronti ad ascoltare che a gridare, imporre, far da sé. Costoro possono accogliere la Rivelazione che Dio fa di se stesso perché non sono troppo pieni di sé; non si considerano giusti né sani ma, con umiltà e realismo, sanno che hanno bisogno di un altro perché non basteranno mai a se stessi. E che hanno capito questo al caro prezzo di tante umiliazioni subite e che tuttavia non hanno reso il loro cuore una raccolta di cinismo, sarcasmo e risentimenti. Poveri perché miti!

I poveri possono prendere il giogo di Dio su di loro (v.29): forse non tutti sanno che il giogo è lo strumento che si poggia alla base del collo dei bovini per unirli e guidarli. Questo termine ha quindi respirato un'interpretazione negativa che però è estranea al testo evangelico. Qui giogo va recuperato nella sua accezione più originale, ovvero fare squadra, unire, mettere insieme. Sì, i poveri ricevono il giogo di Dio, sono a Lui uniti, sono nella sua squadra, sono da Lui scelti, benedetti: dal loro punto di vista, si comprende meglio la realtà, dalla periferia puoi cogliere meglio il centro e non viceversa.

Nella sua preghiera, mentre l'insuccesso sembra prendere piede, Egli, il Figlio, canta la sua lode al Padre. Egli, è il primo povero, il primo di coloro che si è svuotato: Egli entra nel riposo del Padre, nella casa di Dio, è a Lui unito in un giogo dolce e soave. Perché sempre, in ogni passo evangelico, ritorna a noi la legge del ribaltamento: ciò che Dio sceglie è ciò che gli uomini scartano; ciò che Dio ama è ciò che viene messo da parte; ciò che noi consideriamo forza, per Dio è debolezza mentre ciò che noi consideriamo debolezza, per lui è forza. Dio è vicino a ciò che è piccolo e spezzato. Quando noi diciamo perduto, lui dice trovato; se diciamo condannato, lui dice salvato; quando diciamo abbietto, Dio esclama beato ci ricorda Bonhoeffer.

Ed è proprio per questo che, anche quando tutto intorno a noi sembra andare verso il basso, che possiamo invertire la rotta e unirci al ringraziamento del Figlio.

Poveri con Lui, poveri come Lui. Accolti e benedetti.

 

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