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TESTO No alla "sapienza umana"

padre Gian Franco Scarpitta  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/07/2023)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Gesù, Figlio di Dio che si è abbassato fino alla condizione di uomo adottando peraltro la più umile e precaria delle condizioni umane e che, come prefigurato dal profeta Zaccaria, entrerà in Gerusalemme cavalcando una misera bestia da soma in luogo di un cavallo per umiliarsi fino all'estremo della croce, nella sua preghiera rende adesso lode al Padre perché la sua rivelazione ha avuto per destinatari i poveri e i semplici. Lo ringrazia per aver prediletto i semplici e per averli resi partecipi della salvezza attraverso un linguaggio e una comunicativa all'altezza delle loro possibilità, escludendo ogni forma di raffinatezza intellettuale e di sapienza umana.

Come affermano però parecchi commentatori, in Gesù non c'è solamente la volontà di rendere lode al Padre, ma per inciso nelle sue parole si cela anche una sorta di delusione e di insoddisfazione. Aver rivelato gli “arcana cielorum” ai semplici e agli ultimi infatti, proprio per la semplicità e per la linearità con cui si procede, dovrebbe comportare che anche i “grandi” e gli “speculativi” comprendano il messaggio di salvezza e vi aderiscano risolutamente. E invece avviene che parecchia gente, soprattutto di estrazione culturale elevata come scribi e dottori della Legge, recalcitrino di fronte agli insegnamenti di Cristo, nonostante l'evidenza dei miracoli e dei prodigi che accompagnano ogni suo discorso. Ai discorsi e alle parole di Gesù non c'è soltanto chi accoglie e aderisce, ma anche chi si oppone e recalcitra ostinatamente al punto che Gesù in una certa occasione deve chiamare a testimonianza la sua attività di amore per rendersi credibile a chi nega che lui sia il Figlio di Dio: “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e riconosciate che il sono nel Padre e il Padre è in me”(Gv 10, 37. 38). Non solamente c'è chi non crede ostinatamente ma anche chi combatte Gesù come nel caso della congiura contro di lui da parte dei Giudei in seguito alla guarigione miracolosa del cieco nato.

Eppure Gesù si rivolge, oltre agli umili e ai semplici che Dio ha prediletto nella sua rivelazione, anche a coloro che necessitano di attenzione e di conforto in ogni caso, cioè alle persone stanche, oppresse e demotivate. Sulla scia del profeta Isaia che si faceva portavoce di Dio per la consolazione degli sfiduciati e degli oppressi con un linguaggio da iniziati (Is 50, 3 - 5), Gesù propone la sua vicinanza alle persone disanimate e in preda allo sconforto.

Ad esse dice di aver fiducia in lui, di confidare nella sua amicizia e nella sua bontà che daranno sollievo, di non perdersi d'animo nella vicenda della lotta quotidiana e di perseverare non senza il suo aiuto e la sua compagnia; tuttavia esorta anche loro ad “apprendere da lui” mite e umile di cuore per vivere intensamente la stessa esperienza delle prove e delle delusioni e per poterne uscire vittoriosi.

Fra questi scoraggiati e oppressi ci sono anche i “sapienti” e gli uomini illustri, che pur avendo fatto esperienza della solidarietà del Signore che presenziava nelle sue parole e nelle sue opere, hanno eluso tale perspicuità. Ricevere un incoraggiamento, un incentivo o semplicemente una parola di conforto fa' piacere a tutti, anche (forse soprattutto) ai sapienti e agli intelligenti. Perché allora c'è chi s'impunta a rifiutare il Figlio di Dio?

Parimenti che ai tempi di Gesù, scribi e farisei persistono anche al giorno d'oggi nella persona dei superbi e dei saccenti, soprattutto in ambito perbenista borghese. Si preferisce la religione fai da te, la morale soggettiva e il relativismo, si presume di non aver bisogno di Dio o quantomeno spesso lo si relega come soprammobile di cui fare uso solo all'occorrenza.

Mi viene in mente una frase di Oscar Wilde: “Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno”. Proprio nell'intelletto esasperato, nello scientismo e nella caparbietà della sapienza umana si riscontrano le ragioni fondamentali del distacco da Gesù e come dirà anche Paolo “la scienza gonfia, la carità edifica”. Il razionalismo esasperato produce e accentua l'orgoglio e la presunzione.

Ciononostante, la vera responsabile non è la sola intellettuale o speculativa, visto che fede, devozione e sentimento si trovano anche presso soggetti culturalmente elevati, come ad esempio in non pochi filosofi e uomini di scienza. Anzi, si è verificato che proprio le insufficienze della speculazione e della razionalità abbiano portato tante persone illustri a riconoscere la necessità di un Dio trascendente e di un Redentore umile in Gesù Cristo.

Colpevole del distacco e dell'indifferenza e dell'ostinazione contro Gesù è piuttosto la sapienza “umana”, quella che persiste negli uomini anche a prescindere dalla loro preparazione culturale soggettiva. La sapienza cioè presuntuosa e autosufficiente, che omette deferenza e umiltà preferendo affermare se stessa anziché concedere a Dio il primato che gli spetta. E' quella sapienza che - a detta di Paolo - Dio ha dimostrato essere stolta e insignificante (1Cor 1, 20 - 25) quando non lascia spazio al cuore e la sensibilità per l'apertura incondizionata della fede.

Dio in Gesù Cristo si rivela ai piccoli e agli indigenti perché anche i grandi possano farsi “piccoli” cioè possano convertirsi di cuore alla sua Piccola Grandezza.

A prescindere dal nostro livello di apprendimento o di preparazione, è sempre meglio convertirci. Cioè abbandonare le pretese dell'Io per essere “fanciulli quanto a malizia”(1Cor 14, 20), adottare semplicità e umiltà di cuore per accogliere in noi il Dio di Gesù Cristo che appunto ai piccoli e umili di cuore si è rivelato.

 

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