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TESTO Memoriale

don Alberto Brignoli  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (11/06/2023)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Più passano gli anni, e più perdiamo la memoria a breve termine: ci dimentichiamo le cose fatte poco prima, ci dimentichiamo dove abbiamo lasciato le chiavi di casa e il cellulare, ci dimentichiamo per fare che cosa ci siamo spostati da una stanza all'altra della casa... e magari abbiamo un'ottima memoria a lungo termine, ovvero ricordiamo con una certa precisione e dovizia di particolari le cose che riguardano la nostra infanzia, gli anni passati, i tempi non più recenti. Ci dimentichiamo, magari, di quello che avevamo intenzioni di fare in mattinata, e ci ricordiamo di una poesia imparata a memoria nei primi anni delle scuole elementari o di che cosa ci hanno regalato il giorno della nostra Prima Comunione, a distanza, magari, di 50 anni. È fisiologico, c'è poco da fare: da questa strada dell'oblio prima o poi ci passeremo tutti...

Chi invece dimostra di avere perso la memoria a lungo termine è la società nella quale viviamo: è una società abituata a sapere le cose in tempo reale (basta vedere con quale velocità un messaggio tra due cellulari viaggia da un capo all'altro del mondo), e questa rapidità e immediatezza vanno a scapito di tutto ciò che è lento, di tutto ciò che ha bisogno di tempo per tornare a essere attuale, reale, proprio perché relegato nel mondo della memoria storica, di un passato che, più che antico e prezioso, viene ritenuto vecchio e privo di valore, e a volte di fondamento. La nostra società, spesso, ha perso di proposito la memoria storica: l'ha voluta e la vuole rimuovere continuamente, soprattutto se questa memoria storica comporta la sofferenza di dover riportare a galla ferite che bruciano e continuano a lasciare su di noi profonde cicatrici. Ma senza memoria storica, una società rischia di smarrire per sempre il significato e il senso profondo della propria identità culturale e civile; un popolo che non ha memoria storica è un popolo che non riesce più a capire chi è e dove va, e le continue crisi che stiamo vivendo (non solo a livello sociale ed economico, ma anche a livello culturale, morale, addirittura ecologico) ne sono la prova evidente.

Quando poi la memoria a lungo termine - la memoria storica - viene smarrita da una comunità di fede, allora il senso di smarrimento diviene ancor più profondo, perché la prima domanda che ci si pone di fronte a momenti critici della vita di fede è: “Dov'è finito Dio?”. Quando tutta una serie di certezze e di convinzioni iniziano a crollare sotto i colpi di un società afflitta da più sventure - il più delle volte causate dai suoi stessi errori - ci viene naturale riportare la nostra mente e il nostro ricordo a Colui che ci ha creati, magari attribuendogli un colpevole e immotivato silenzio. Ci dimentichiamo di lui per buona parte della nostra esistenza, e quando succede qualcosa di poco piacevole, subito alziamo gli occhi al cielo e gridiamo: “Dove sei, Dio?”.

Ma se oggi leggiamo con attenzione il brano tratto dal Deuteronomio che la Liturgia della Parola ci propone nella prima lettura, ci accorgiamo che questa domanda ci si ritorce contro, perché è la dimostrazione della nostra pressoché totale assenza di memoria storica. Il nostro desiderio di superare il passato ci porta non solo a ricordarci di Dio solamente quando qualcosa non va per il verso giusto, ma anche a dimenticare che ciò che abbiamo vissuto - nel bene e nel male - ci ha visti in compagnia di un Dio che, in realtà, non ci ha mai lasciato soli; mentre siamo noi che, con estrema facilità, lo abbiamo mantenuto lontano dalla nostra vita.

Il nostro Dio è il Dio dell'Esodo: un Dio che ci ha condotto per anni nel deserto per farci capire che non siamo noi i creatori dell'universo, per rimetterci al posto che egli ci ha assegnato nella creazione, per “umiliarci e metterci alla prova”, per sapere se avessimo capito o no che nel mondo non comandiamo noi, tantomeno le nostre esigenze di “dimenticare il passato”. Un Dio che ci ha fatto provare la fame, certo, ma che poi “ci ha nutrito di manna”, di qualcosa che a noi era sconosciuto perché non era opera nostra, come la maggior parte delle cose di cui, in questo mondo, beneficiamo. Un Dio che “ci ha fatto uscire dalla nostra condizione servile”, dalle schiavitù nelle quali continuamente ci rinchiudiamo, e per le quali abbiamo rinfacciato a lui di schiavizzarci, sotto i colpi della Legge, dei Comandamenti, delle norme, delle strutture. Un Dio che “ci ha condotto per un deserto grande e spaventoso”, nel quale non avevamo punti di riferimento, ma nel quale ha fatto “sgorgare acqua dalla roccia durissima” e nel quale “ci ha nutrito di una manna sconosciuta”. Di fronte a questo Dio della Storia, abbiamo spesso scelto la strada facile e immediata della memoria a breve termine, del dimenticare che lui, nonostante queste prove, non ci ha mai abbandonati.

E allora, la festa odierna del Corpus Domini non è solo la festa in cui diamo tutti i doverosi tributi d'onore alla presenza reale di Cristo sotto le sembianze del pane e del vino; non è solo la festa in cui, nutrendoci come ogni domenica del suo Corpo, ci gloriamo di beneficiare della vita eterna; non è solo la festa che ci fa sentire Chiesa, Corpo Mistico del Signore; non è solo la festa in cui, giustamente, ricuperiamo le belle tradizioni che spesso la nostra “memoria corta” ha gettato nel cratere dell'oblio.

È anche la festa in cui ricordiamo, e dobbiamo badare bene di non dimenticarcene, che lungo tutto il cammino della storia, Dio è stato e continua a essere presente in mezzo a noi, dandoci da mangiare e da bere, sostenendoci nel deserto, facendoci sperimentare la nostra pochezza per farci capire quanto è potente la sua grandezza; e che quindi non dobbiamo dubitare, anche in momenti storici o in situazioni puntuali nelle quali sembriamo perdere ogni punto di riferimento, che lui è ancora con noi, e come ha sempre camminato a fianco dell'uomo, sostenendolo, dandogli forza e alimento, così continuerà a fare insieme a noi e dopo di noi.

Nel Corpo e Sangue del suo Figlio che oggi onoriamo ce ne dà il “pegno”, la certezza. A patto che “ci ricordiamo” di questo. A patto che “non dimentichiamo” che lui è sempre stato con noi, e lo sarà sempre, anche quando a noi risulta più facile rimproverarlo gridandogli “Dove sei?”.

Andare a fare la Comunione ogni domenica o quando ci è possibile, allora, non sarà più un gesto abitudinario, ma significherà fare memoria (meglio ancora, “Memoriale”) dei benefici che Dio ci ha concesso lungo tutta la storia. E che certo non smetterà di concederci: a patto di “ricordarci” che lui c'è, sempre.

 

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