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TESTO Guardare il cielo

don Alberto Brignoli  

Ascensione del Signore (Anno A) (21/05/2023)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”.

Quanta drammatica attualità, in questa domanda rivolta dagli angeli ai discepoli, mentre Gesù se ne andava in cielo... Perché stiamo a guardare il cielo? Beh, perché di questo cielo, in questi giorni, non è che ci possiamo fidare tanto...

Se chiedessimo non agli uomini di Galilea, ma agli uomini e donne di Romagna “perché state a guardare il cielo?”, la risposta sarebbe immediata, colma di speranza da una parte e di comprensibile rabbia dall'altra... Se facessimo la stessa domanda agli uomini e donne di Ucraina, la risposta sarebbe immediata, colma anch'essa di speranza per una pace che tarda ad arrivare e piena di timore per un cielo che offre solo traiettorie di razzi e caduta di ordigni. E se la stessa domanda ce l'avessero posta anche solo poche settimane fa, avremmo risposto: “Perché abbiamo bisogno di acqua”, così come continua ad averne bisogno almeno un quarto della popolazione mondiale, colpito dalla siccità e dalla mancanza di acqua potabile ormai da decenni.

Per questo, e per molti altri motivi, stiamo spesso a guardare il cielo: per vedere come sarà il tempo e se cambierà a nostro favore; per contemplarne la bellezza quando si fa azzurro e limpido soprattutto dopo settimane di grigiore; per chiedere un aiuto a Dio nelle difficoltà della vita, oppure per gridargli contro quando ci fa arrabbiare; e a volte, rovesciamo gli occhi verso l'alto per esprimere stizza, indifferenza, fastidio nei confronti di una situazione a noi sfavorevole (gesto molto diffuso tra gli adolescenti di fronte a un richiamo genitoriale...).

Il rapporto tra i nostri occhi e il cielo è un rapporto molto stretto. Forse, in fondo, è perché sappiamo bene di essere fatti di cielo, e allora di tanto in tanto il nostro sguardo torna a casa, anche solo con l'immaginazione, e butta fuori dal nostro animo tutto ciò che troppo spesso coviamo e manteniamo dentro: rabbia, frustrazione, delusione, fastidio, noia, disperazione, ma anche desideri, attese, sogni, speranze... Guardare al cielo, anche quando il cielo è cupo, rappresenta una delle poche speranze, dei pochi gesti di libertà che ci rimangono e che nessuno ci può negare. Neppure quei due uomini in bianche vesti che ai discepoli - e all'umanità intera - domandano, oggi: “Perché state a guardare il cielo?”.

Suona da rimprovero? Può darsi. È un invito a non rimanere imbambolati, perdendo tempo invece di rimboccarci le maniche e darci da fare per costruire il nostro quotidiano? Forse. Ma oggi lasciamo risuonare questo interrogativo come una richiesta: una richiesta a fare spazio, dentro di noi, a un pezzo di cielo; una richiesta a rendere ragione, a noi stessi e agli altri, di quella speranza di cui ci parlava Pietro la scorsa domenica e che trova motivo di esistere solo guardando al cielo.

“Perché state a guardare il cielo?”. Perché non ci fidiamo più della terra.

“Perché state a guardare il cielo?”. Perché guardando al cielo ci rimane almeno la speranza di rivedere il sole dopo giorni di nubi oscure o di attendere la pioggia dopo mesi di siccità.

“Perché state a guardare il cielo?”. Perché se vogliamo dire qualcosa che gli altri non vogliono ascoltare, almeno il cielo è in grado di accogliere il nostro grido, il nostro pianto, la nostra esultanza, la nostra disperazione, la nostra bestemmia e la nostra lode.

“Perché state a guardare il cielo?”. Perché la nostra speranza viene da lì, “allo stesso modo in cui l'abbiamo vista andarsene in cielo”, come si sono sentiti dire i discepoli quel giorno, su un monte di Galilea.

Del resto, la vita spesso ci toglie tutto quello che abbiamo: i progetti, gli amici, gli affetti, le nostre piccole o grandi proprietà, i risparmi di una vita... L'unica cosa che la vita non ci può togliere è il cielo, e la possibilità di guardarlo. Guardarlo quando è limpido e guardarlo quando è minaccioso; guardarlo quando abbiamo bisogno di una risposta da lui o quando desideriamo che smetta di parlare: in poche parole, in ogni istante della nostra vita, brutto o bello che sia, che non ci venga mai tolta la possibilità di guardare al cielo, con i nostri dubbi e le nostre speranze, le nostre paure e i nostri sogni.

Sono proprio le ultime parole di Gesù del Vangelo di oggi - e di tutto il Vangelo di Matteo - a ridonarci quella piccola speranza (che per noi è una grande certezza) di cui il cielo è depositario: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

La fine dei secoli e della storia, senz'altro: ma anche quelle tante o poche “fini del mondo” di cui la vita, a volte, ci presenta il conto, facendo terminare quel mondo che a fatica ci siamo costruiti e che basta un attimo di sventura per mandare all'aria.

Ma se Lui è con noi, perché non andare a cercarlo, con lo sguardo, là dove, oggi, è salito per tornare alla casa del Padre? Un motivo in più per stare a guardare il cielo!

 

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