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TESTO L'esserci di Gesù

padre Gian Franco Scarpitta  

Ascensione del Signore (Anno A) (21/05/2023)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Con la celebrazione di oggi, apprendiamo che dopo un prolungato periodo di vita pubblica e di interazione con i suoi e con gli altri, amici e nemici, Gesù conclude il suo itinerario terreno nella forma visibile e sensoriale, per “sedersi alla destra del Padre”, ossia per assumere nella forma totalizzante la dimensione del divino, accanto al Padre e allo Spirito Santo. Gesù come Dio della stessa sostanza del Padre esisteva fin dall'inizio dei secoli e l'incarnazione come Figlio era stata la volontà di assumere due Nature in una sola Persona sostanziale, adesso recupera la sua posizione di Dio alla pari del Padre e dello Spirito. Questo definiamo con il termine Ascensione, che Luca descrive nel suo Vangelo e nel libro degli Atti come un distaccarsi graduale di Gesù dai suoi discepoli che poco per volta si vedono sottratto il Maestro dalla loro vista. Attoniti, ma allo stesso tempo ricolmi di gioia, osservano la volta celeste, mentre un angelo li consola e incute loro fiducia che questo Gesù, in un tempo imprecisato, farà ritorno.

Al di la' del linguaggio scritturale dei testi, Gesù non parte alla stregua di un missile che si innalza da una rampa di lancio verso l'infinità del cosmo, ma si sottrae a quella che era sempre stata la comune interazione e l'esperienza del quotidiano, non si avvale più di linguaggi, atteggiamenti, provvedimenti propri della nostra dimensione, ma la sua presenza sarà di natura differente.

“Se non me ne vado, non potrà venire a voi il Consolatore, lo Spirito di verità.” E' un'affermazione ricorrente che abbiamo incontrato più volte nel corso delle precedenti liturgie feriali e domenicali. Con essa Gesù non voleva dimostrare una limitazione personale affermando che la sua presenza fisica e l'azione dello Spirito Santo sarebbero state due realtà incompatibili, ma solamente annunciare che, terminato un determinato periodo dal giorno della Resurrezione, la sua presenza sarebbe stata certa, costante e qualificante e tuttavia non ne avremmo avuto la modalità tangibile e diretta. Aveva preannunciato che sarebbe stato con noi tutti i giorni, fino alla fine dell'eone presente, tuttavia chiedendo a noi un maggiore sacrificio nel percepire il suo presenziare, quello virtuoso, profondo ed eroico della fede. Una volta asceso al Cielo, appunto lo Spirito Santo avrebbe attualizzato la presenza di Gesù in noi e attorno a noi, consentendoci di esperirlo per mezzo della fede, che è l'unica risorsa con la quale è possibile provare ciò che i sensi non avvertono, per darci ragioni e motivazioni di speranza.

L'esperienza ci insegna (a me personalmente tanto) che non sempre la presenza fisica di qualcuno è sufficiente o necessaria; al contrario talora si avverte più soddisfazione nell'utilità di chi è presente solo “spiritualmente” o nelle intenzioni e nei sentimenti. Non di rado chi sta materialmente accanto a noi è in realtà un assente perenne. Chi nel fisico è lontano invece spesso si mostra davvero presente e costruttivo anche se sotto altri aspetti. Heidegger affermava che per l'uomo oltre all'essere è fondamentale l'”esserci” che è la percezione dell'essere dell'uomo nel mondo, con la prerogativa della “cura”. L'esserci è il prendersi cura del mondo, trovarsi immerso nella realtà di cui si è consapevoli. Gesù avrebbe potuto “essere ed esserci” anche dal punto di vista somatico; ormai risuscitato dai morti, il suo corpo glorificato avrebbe potuto continuare a persistere proficuamente anche nella realtà odierna, valicando i secoli e il tempo. Con la sua ascensione però Gesù ha voluto esserci sotto altra forma per richiamare la responsabilità del nostro esserci: perché noi “ci siamo” davvero nella fede e nella speranza. Lo Spirito Santo favorisce l'esserci di Gesù nella storia e in mezzo agli uomini nonostante la sua ineffabile realtà: Gesù sarà presente nel mondo e nella realtà di tutti i giorni, secondo la sua promessa e la sua opera sarà ancora costante e produttiva come in Giudea e in Galilea.

Da parte nostra siamo invitati a immergerci nel suo mistero ineffabile, a immedesimarci della sua presenza misteriosa appunto nella fede che è il fondamento di ogni cosa che si spera. Siamo invitati a guardare la realtà nella sua piena precarietà e insufficienza, ad accettarla come luogo di ansia di conflittualità, non senza tuttavia apportarvi la nostra innovazione forti della medesima speranza che ci contraddistingue.

Come Gesù è stato pellegrino, uomo fra gli uomini facendo proprio il nostro vissuto, così da parte nostra occorre che viviamo la sua presenza ineffabile facendola nostra mentre con lui persistiamo nello stesso secolo, con la prerogativa della testimonianza del Regno che lui è venuto ad apportare. Testimoniare è il primo ruolo fondamentale e irrinunciabile che comporta l'atteggiamento di qualsiasi battezzato: siamo invitati a coinvolgere altri in un'esperienza che ci ha avvinti, a comunicarne l'entusiasmo e la validità semplicemente con la nostra vita da persone risorte con Cristo. La fede con la quale vivere la presenza non può non tramutarsi in un vissuto di fedeltà e di radicalità che ci impegni concretamente nelle parole ma soprattutto nelle opere e nel buon esempio. Testimoniare è amare nella misura in cui Gesù ci ha amati e nella vita di oggi, asceso lui al Cielo, diventa sempre più importante, vivendo noi in una dimensione epocale in cui il mondo ha bisogno di essere amato.

L'Ascensione di Gesù al cielo è quindi un monito a vivere in pienezza la storia e il presente. Allo stesso tempo però ci dispiega uno sguardo verso l'avvenire e verso le “cose di lassù”(Col 3, 1), perché la gloria che Gesù ha recuperato per sé diviene prospettiva di eternità per noi. Cristo Risorto asceso al cielo non muore più e chi si conforma a lui è destinato parimenti a vivere per sempre, a raggiungere la patria comune alla quale tutti aspiriamo in pienezza. Il paradiso è questa meta verso la quale siamo tutti diretti, già anticipata dallo stesso Signore che ha raggiunto la gloria indefinita della destra del Padre; possibile ad essere raggiunta anche da parte nostra mentre vediamo in modo confuso quello che poi, alla fine, vedremo faccia a faccia (1 Cor 13, 12).

 

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