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TESTO Commento su Gv 14,15-21

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VI Domenica di Pasqua (Anno A) (14/05/2023)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Quella sera - era ormai vicina la festa ebraica della Pasqua - Gesù si trovava a cena con i suoi. Doveva essere l'occasione, certo non l'unica nel cammino percorso dal Cristo con le donne e gli uomini che lo avevano seguito, per consolidare un rapporto conviviale, per fare fraternità e amicizia.
Eppure sarebbe difficile, anche per lo psicologo dalla più consumata esperienza, descrivere lo stato d'animo degli apostoli in quella occasione. Troppi sentimenti, talora contrapposti e difficilmente interpretabili, si agitavano nel loro cuore: imbarazzo, incredulità, turbamento, paura, rabbia repressa, e generavano un disagio profondo che solo il Maestro era in grado di cogliere. Credo che tutti noi, nelle nostre famiglie, abbiamo provato questa sensazione di disagio durante un pranzo o una cena familiare, quando a causa di un problema grosso le parole vere, quelle che nascono dal cuore, fanno fatica a uscire di bocca, e tutti ci ritroviamo sulla difensiva, a consumare il cibo in silenzio. Questo doveva essere il clima di quella sera, al cenacolo.
Eppure Gesù aveva sparigliato le carte, quasi a voler dare uno scossone ai suoi. Prima di iniziare la cena aveva voluto lavare loro i piedi. Al di là di ogni interpretazione ritualistica, non poteva sfuggire agli apostoli il significato eversivo di quel gesto, la sua portata rivoluzionaria che supera il pudore stesso dei sentimenti, ed eleva l'amicizia a quel livello di attenzione amorosa che giunge fino all'annullamento di sé. La risposta? Una tragedia. La stessa risposta che spesso noi, le nostre coppie, le nostre famiglie, siamo portati a dare ai gesti d'amore: il tradimento. Giuda - nostro fratello Giuda - che esce nella notte con in mano ancora il pane intinto nel piatto del Maestro, per vendere colui con il quale aveva condiviso fatica e confidenze, convinto forse di fare l'unica cosa giusta, dolorosa, ma inevitabile... Una sorta di “ragione di stato”, così frequente anche oggi...E Pietro, l'uomo senza dubbi, quello delle certezze assolute, che riceve l'annuncio - rifiutato - delle sue fragilità, che sono le stesse nostre fragilità di coppia e di famiglia: Prima dell'alba, prima che il gallo canti, tu per tre volte dirai che non mi conosci. Tutti gli altri... un silenzio imbarazzante.
Eppure Gesù continua a seminare speranza. Gesù parla: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete (Gv 14,15-19). Solo un innamorato può parlare così, e Gesù è davvero innamorato dei suoi discepoli, a uno dei quali darà il compito di guida; innamorato di ognuno di noi, nonostante la nostra innata fragilità che ci porta così spesso al tradimento.
Tutte le letture di questa domenica sono incentrate sull'amore. Quando gli apostoli impongono le mani perché i nuovi battezzati ricevano lo Spirito (Atti), trasmettono un messaggio d'amore, perché lo Spirito è Amore. In realtà, tutto il messaggio cristiano, nonostante i molti distinguo e le molte tortuosità giuridiche con cui esso viene spesso presentato, ha nell'amore il suo massimo riferimento, punto di partenza e al contempo di arrivo del messaggio del Signore. Se nei tempi difficili che stiamo vivendo una consolazione è possibile per noi poveri cristiani più interessati alla vita reale di uomini e di donne che vivono l'avventura dell'esistere che non al codice di diritto canonico, ogni consolazione deriva da una certezza che ci anima: saremo giudicati sull'amore. L'amore che viene sempre prima di ogni istituzione. Quando due persone si amano, lì si genera l'amore di Dio. Nonostante i codicilli; nonostante i “No!, tu no... Tu non puoi partecipare all'Eucaristia... le tue fatiche non contano, conta solo la Legge; no! tu non puoi essere guida e riferimento di una comunità, perché sei una donna...”. Un amore che spesso ci fa soffrire. E tuttavia, come ci ricorda Pietro nella seconda lettura, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male. Un male che sembra sempre avere il sopravvento... e noi a dimenticare, invece, che è già stato redento, una volta per tutte. Per questo con il salmista possiamo cantare: Acclamate Dio, voi tutti della terra, /cantate la gloria del suo nome, /dategli gloria con la lode ( Sal 65,2).
Non dobbiamo lesinare sull'amore, anche se spesso è a caro prezzo: questo il messaggio profondo della Parola che oggi siamo chiamati a meditare e a interiorizzare. Esuberanti nell'amore. L'amore di Dio è esuberante. Non è Gesù la fonte dell'Amore, ma è il Padre Amante, al punto che Gesù stesso non cessa mai di indicarci, come modello d'amore, l'amore con cui il Padre lo ha amato e lo ama, affinché anche noi possiamo diventare, ancorché in modo sempre imperfetto, faticoso, spesso carico di controsensi e forse anche di tradimenti, quello stesso amore con cui il Padre ha avvolto il Figlio. Solo così potremo entrare pienamente, anche se non lo comprenderemo mai fino in fondo, nel mistero della Trinità.
L'amore reciproco di un uomo e di una donna, di due fidanzati, di due sposi sono il “luogo antropologico” privilegiato per cogliere e per far crescere in noi l'amore di Dio. Egli lo elegge anzi a “sacramento”, “segno efficace” del suo amore per noi. Questo ovviamente vale quando non confondiamo l'amore con un sentimento che potrebbe anche essere passeggero. L'amore vero si basa non solo sul rispetto assoluto dell'altro, ma anche sulla volontà, e cioè sul desiderio - un vero e proprio progetto - di far crescere l'altro, lungi dal colonizzarlo, servendoci cioè di lui o di lei per dare libero sfogo al nostro narcisismo sempre in agguato. Se il progetto è di far crescere l'altro, ciò deve avvenire anche quando il suo progetto di crescita non coincide con il nostro, al limite anche quando contrasta con i nostri progetti, Non un amore di cattura, ma gratuito, che si autentica non quando serve a soddisfare i nostri desideri, ma quando si nutre della comprensione profonda, empatica dell'altro, dell'ascolto, dell'apertura serena e sincera al dialogo.

Traccia per la revisione di vita
1) Al centro della nostra vita abbiamo messo l'amore, oppure la tensione ad avere, a possedere, a consumare l'amore, a consumare beni, la carriera...?
2) Che cosa facciamo per avvicinarci sempre più agli altri, cercando di contrastare quell'individualismo di fondo che ci impedisce di cogliere la domanda d'amore presente sul volto di chi ci sta accanto?
3) Che cosa facciamo per irradiare l'amore all'interno della nostra comunità cristiana? Sappiamo promuovere la profezia all'interno della Chiesa? O abbiamo ancora paura? Come contrastiamo la vergogna di chi vuole a tutti i costi il “Dio per noi” e non il Dio “con” noi, “in” noi, nel profondo della nostra coscienza?
4) La scelta dell'amore è fondata su un progetto? Oppure per noi l'amore è basato su un sentimento che oggi c'è e domani potrebbe non esserci più? Un amore di cattura? Sappiamo far diventare l'amore profezia nell'incontro con gli altri?

Luigi Ghia - DIRETTORE DI FAMIGLIA DOMANI

 

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