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TESTO Nomadi innamorati

don Angelo Casati  

III domenica di Quaresima (Anno A) (12/03/2023)

Vangelo: Gv 8,31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Abbiamo fatto tutti fatica ad arrivare alla conclusione del brano: manca l'aria; aria ammorbata nel tempio di Gerusalemme, quasi in vigilia di morte: lapidiamo l'eretico, sbarazziamoci del rabbi del vento, fermiamo, una volta per tutte, l'uomo che cammina. E pensare che la scorsa domenica con la samaritana respiravamo aria: ed era un andare e venire tra pozzo e città, con quel profeta di Galilea che aveva abbattuto steccati. E, a proposito di tempio, aveva detto che era giunta l'ora in cui i veri adoratori, Dio, lo arebbero adorato in spirito e verità. Semplicemente l'opposto di quello che stava accadendo nel tempio. E Gesù esce: tra quelle quattro mura non si respira. E non saremo anche noi prigionieri delle mura? Dopotutto siamo qui in una chiesa.

E che aria tira? Sì, dico, nella chiesa, ma anche in questo paese e, ancor di più, dentro di me. Che aria tira? C'era un gran parlare di Dio nel tempio, e anche di Abramo. Ma, immobili loro, diventavano immobili pure le parole. Può succedere anche oggi, quando, parlando di Dio o pregandolo, è come se declamassimo. Ma a una persona, a un vivente, parleresti con quel tono? Il pericolo di fare di Dio una statua c'è sempre. Lo ricordava anni fa Francesco, era uno psicopatico, quel giorno uscì con una espressione folgorante, disse: "Vanno in chiesa ad adorare le statue". Non dico che sia sempre così, ma il percolo di mummificare Dio c'è. Non erano sfuggiti alla tentazione gli ebrei alle falde del monte Sinai: in assenza di Mosè, si costruirono un vitello d'oro. E' fermo, non parla. Meno impegnativo di un Dio vivente, che parla e ti mette in cammino.

E il cammino ci riporta ad Abramo, uomo dei cammini. Vorrei evocare Abramo con una immagine, quella della tenda. Che mi racconta due cose di Abramo, ma anche dei suoi autentici discendenti: il nomadismo e l'accoglienza. La tenda racconta l'essere nomadi: la tenda la pianti, poi la arrotoli e cammini. Così all'inizio della storia di Abramo, l'invito a spostare le tende: "Esci dalla tua terra, verso la terra che ti mostrerò". E così per tutta la vita, dietro una promessa di avere una discendenza numerosa, numerosa come i granelli delle sabbie del deserto, come le stelle del cielo. Le sapresti contare? E Abramo non vede chiaro nel futuro, sta a una promessa, si affida; e questa è la fede. Non è facile, a volte, è faticoso anche per noi, affidarci senza vedere, soprattutto quando Dio ci sembra in ritardo sulla promessa.

A stregarci è allora l'illusione di escogitare altre strade, che non sono quelle di Dio. Capitò anche ad Abramo - che pure ci è padre nella fede -. Capitò quando gli anni passavano e da Sara sua moglie nessuna ombra di figlio. Pensò di avere un figlio da Agar, la sua schiava. Ma la sua vita non finisce per questo di affascinarci per quel suo alzare gli occhi, spingere lontano lo sguardo, e spostare la tenda. Non così noi, che senza garanzie non ci muoviamo. Adoratori della sicurezza, a volte di una sicurezza che non ci permette di partire, di inventare, di rischiare, affidandoci. Cancellando così la bellezza di essere nomadi nello spirito. Che non significa certo essere vagabondi.

Vagabondo è chi va un po' qui, un po' là, senza esserci mai da nessuna parte. Nomadi si è dietro un orizzonte che ispira, dietro parole affidabili, dietro un Dio affidabile. Ebbene non solo ci capita di cancellare dal viso la bellezza di essere nomadi - la bellezza di uscire da steccati, di scoprire il nuovo nella vita personale, sociale, ecclesiale - ma a volte ci prende anche la spudoratezza di criminalizzare l'essere nomadi, coloro che partono senza provate sicurezze, affidandosi a speranze di vita. Criminalizziamo, quando ci toccherebbe ascoltarne le storie, occasione per noi, occasione per riacquistare un'anima da nomade. La tenda non è solo immagine del nomadismo, ma - vi dicevo - anche dell'accoglienza. Ditemi voi se il tempio in cui i Giudei nominavano a cantilena il nome di Abramo dicendosi sua discendenza, poteva essere paragonato a una tenda dell'accoglienza.

Ognuno di noi si porta negli occhi la tenda di Abramo alle querce di Mamre: un mezzogiorno di sole alto, quel suo stare sulla soglia nell'ora in cui i comuni mortali si concedono un poco di sonno, quasi a spiare il passaggio di pellegrini e quel suo insistere perché i tre sconosciuti entrino nella sua tenda, riconoscendo nell'altro una grazia. Ed erano tre sconosciuti. Negli occhi ci rimane quella sua prorompente ospitalità, che, al momento della partenza dei tre, ebbe - quasi premio - la promessa di una fecondità inimmaginabile per Sara, la donna che si sentiva dolorosamente avvizzita nel grembo, avvizzita per sempre. A volte mi è sembrato di scorgere nel racconto della Genesi quasi il baluginare di un rimedio per una generazione che sta avvizzendo su se stessa: un invito a riprendere il volto dell'accoglienza. Che non è solo un fatto di politiche lungimiranti, ma è prima di tutto una dimensione dello spirito, che diventa lievito nella pasta del quotidiano.

Nomadi innamorati. Abramo alzò lo sguardo. Se sei murato non vedi. Vedi dalla tenda. Vorrei dire di più: vedi se sei tenda; a far vedere sono gli occhi del cuore. Paolo nella lettura della scorsa domenica scriveva. "Dio illumini gli occhi del vostro cuore". Ha occhi il cuore? Tutti registrano i fatti. Ma molto dipende dagli occhi del cuore. Se sei tenda, tenda sino all'ultimo:

E dimora
all'infinito migrare
una tenda:
ombre segrete,
parole dissepolte,
luce
che trema

sui volti.

E lasciatemi pensare - forse è stravedere - che anche nell'aldilà sarà come arrotolare e spostare ogni giorno la tenda, per cose nuove. Faccio fatica a pensare che, dopo aver conservato per una vita un'anima da nomade, Dio ce la voglia cancellare, nella terra nuova, sotto cieli nuovi.

 

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