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TESTO Credere, nella quotidianità

don Alberto Brignoli  

II Domenica di Quaresima (Anno A) (05/03/2023)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 17,1-9

In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

A volte, facciamo esperienze di fede (o di spiritualità non necessariamente legate alla professione di una religione) che ci riempiono il cuore. E questo, per molti motivi: un viaggio in un luogo particolarmente suggestivo, ricco - come si dice - di quel “magnetismo spirituale” capace di attrarre, di ipnotizzare anche gli animi più refrattari; un pellegrinaggio a un luogo di profonda fede e spiritualità, dove veramente (al di là della veridicità o meno di tante narrazioni relative a miracoli, apparizioni o segni prodigiosi) si sente una forza spirituale grande, anche grazie al clima e alle opportunità di preghiera che spesso vi si trovano; un momento di silenzio personale ritagliato fra i mille impegni di una giornata o di una settimana, che spesso distolgono la nostra attenzione dalle cose e dai valori che contano anche senza essere fatti di cifre e di zeri; l'incontro con le parole di una persona che ti aiuta ad approfondire alcune cose relative alla fede e alla Parola di Dio; il contatto con alcune fasi e alcuni tempi della natura (ora, ad esempio, sta iniziando a sbocciare la primavera...) che allargano il cuore a dimensioni che vanno oltre la natura stessa perché - appunto - “soprannaturali”; e via dicendo. Ognuno di noi credo che possa davvero fissare nella sua memoria uno o più momenti in cui ha sperimentato la bellezza di quel momento, la bellezza di trovarsi lì a contemplare l'unicità di quell'attimo, di quell'istante.

Potremmo raccontare senza ombra di dubbio le più disparate esperienze vissute in questo senso: ma credo che tutte quante le nostre narrazioni avrebbero un elemento in comune, ossia la straordinarietà dell'evento, sia a livello di luogo (qualcosa di insolito rispetto al nostro vivere quotidiano) che a livello di tempo (un'esperienza vissuta “staccando” dalla nostra routine quotidiana). Situazioni così particolari è ben difficile viverle nel nostro tran-tran di ogni giorno: occorre un contesto particolare, per vivere esperienze particolari.

Occorre davvero una combinazione di fattori, per sperimentare qualcosa di spiritualmente forte: una compagnia giusta, fatta di poca gente ben motivata, con una brava guida spirituale; un luogo suggestivo, isolato, magari raggiungibile solo con un po' di fatica (che non è solo quella fisica, è anche la fatica di aver risparmiato qualcosa per potersi permettere un viaggio); un momento di intensa spiritualità, basato anche sulla visione concreta di qualcosa che colpisce la tua attenzione... Ecco, tutte queste cose ti portano a dire: “Che bello stare qui! Fermiamoci, non torniamo a casa... fa niente anche se non ho tutte le comodità, ma restiamo qui. Qui mi sento bene! Qui mi sento in pace! Qui c'è davvero Dio!”.

Tutte cose vissute anche da Gesù con i suoi discepoli, quel giorno su un alto monte della Galilea. Pietro era davvero al culmine della gioia e della pace dello spirito: non gli importava nulla neppure di dormire all'addiaccio, pur di cristallizzare quel momento. Perché lì c'era la pace; perché lì c'era la fede; perché lì c'era Dio. Altro che la quotidianità delle strade calpestate con tutti gli altri discepoli, i quali non capivano la bellezza di seguire il Maestro, o la calca della folla che veniva dietro a Gesù solo per mangiare gratis! Altro che la solita messa in parrocchia, il solito noioso sacerdote capace solo di cercare soldi, il solito incontro di catechesi, la solita attività in oratorio, il solito cammino di Quaresima, le solite celebrazioni di Pasqua che ogni anno ritornano nella stessa identica forma degli anni precedenti...

Tutte cose vere, reali, c'è poco da fare: ma anche Gesù è reale, anzi è realista, e ci richiama - come con Pietro - alla realtà della nostra fede quotidiana. Le esperienze forti sono importanti, a volte necessarie, quasi inevitabili, dato che è lui che ce le fa fare: ma non ci servono per piantarvi la nostra tenda, immortalare il momento e fermare il tempo. Occorre tornare a valle, nella nostra quotidianità fatta di fatiche e spesso anche di piattume spirituale.

Ma prima bisogna fare una cosa faticosa e necessaria: ascoltare e tacere. Ascoltare la voce di Dio che ci parla in quei momenti forti, e tacere. Ascoltare la voce di Dio e tacere, anche se il silenzio ci fa paura. Ascoltare la voce di Dio, anche quando non vediamo più la bellezza del suo volto, e tacere. Ascoltare la voce di Dio e tornare nella nostra quotidianità, tacendo di tutto ciò che abbiamo vissuto fino a quando - dice Gesù ai tre discepoli - “il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti”: fino a quando, cioè, non avrete fatto la drammatica ma reale esperienza della passione e della croce. Fino a quando la vostra vita di ogni giorno non vi avrà riportato, con la vostra tenda, in mezzo alle tende degli uomini. Proprio come ha fatto il Maestro, che ha posto la sua tenda in mezzo alle nostre, e non isolata nella beata pace di un alto monte.

Il quotidiano della vita di fede non è bello: è reale. Il quotidiano della vita di fede non è l'esperienza straordinaria che allarga il cuore: è la regolarità della testimonianza di ogni giorno, che a volte allarga anche il cuore, ma che il più delle volte lo stringe, lo stritola, lo spezza attraverso il dolore, quello visto e soprattutto quello vissuto. Ma questo è il quotidiano, la via della salvezza. E ciò che abbiamo visto sul monte e ci ha allargato il cuore, è la meta a cui ci conduce questa via.

Una via dolorosa, che passa attraverso cose molto meno piacevoli di una trasfigurazione: passa attraverso volti trasfigurati da un anno di guerra, attraverso case trasfigurate dalla furia devastatrice di un terremoto, attraverso corpi trasfigurati da un mare che si pensava potesse dare vita e invece ha donato morte. Trasfigurazioni di cui vorremmo poter fare a meno e che presto la gelida e piatta quotidianità ci porterà a dimenticare, come abbiamo fatto milioni di altre volte.

Oggi però abbiamo una speranza in più: non quella di tornare, periodicamente, a vivere esperienze straordinarie di Dio (e se ci sono, ben venga!), ma quella di vivere, quotidianamente, la straordinaria forza della Risurrezione, della quale - sul monte Tabor - abbiamo avuto un anticipo. Anzi: una promessa.

 

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