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TESTO Tentare di essere Dio

padre Gian Franco Scarpitta  

I Domenica di Quaresima (Anno A) (26/02/2023)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il tempo di Quaresima appena inaugurato garantisce delle promesse per il futuro e dei benefici anche al presente, tuttavia non è esente da difficoltà e insidie, come del resto qualsiasi nobile percorso. La tentazione al male è una di queste avversità, come delineano le Letture odierne.

Non si tratta di comuni tentazioni a cedere alla gola o all'incontinenza sessuale quelle che vengono insinuate a Eva nel famoso episodio del peccato e a Gesù nella prova del deserto. Sia nell'uno che nell'altro caso si propone all'uomo di essere come Dio, di elevare se stesso e di affermarsi al di sopra di tutti gli altri esseri viventi e dell'universo intero. Questo è infatti il punto debole in cui la progenitrice del genere umano, Eva, incespica e cade: avere la possibilità di autoaffermazione e di essere come Dio; tentazione alla quale non riesce a resistere e nella quale coinvolge anche il suo consorte, che con lei mangia di quel famoso frutto, per condividere lo stato di peccaminosità e di vergogna così come prima si condividevano in comunione le delizie del paradiso.

E la colpa del primo uomo tutto il genere umano è offeso dal peccato originale la cui macchia si porta sempre dietro. E' intervenuta la misericordia e la grazia di Dio con la redenzione e con i Sacramenti, ma nell'uomo persiste sempre quella caratteristica inclinazione malvagia che lo porta a peccare, una tendenza per la quale, come osserva Paolo, anche nelle buone intenzioni, si è inclini a fare quello che non si vorrebbe e a eludere ciò che invece si ritiene giusto e consono fare. Si tratta della concupiscienza, per la quale si è orientati nella mente a operare secondo il bene obiettivo, nella carne a orientarsi secondo la legge del peccato (Rm 7, 18 -22).

Volersi sostituire a Dio è in fin dei conti la causa di ogni peccato, anche quello singolarmente commesso dopo il battesimo, poiché in ogni azione di manchevolezza, anche minima, vi è sempre una volontà seppure non manifesta di presunzione e di indipendenza da Dio. Il peccato lo si commette perché, rispetto alla virtù e alla coerenza con la legge di Dio, non comporta alcun esercizio o fatica, lo si commette con facilità incontrando sollievo o piacevolezza o almeno una posizione di comodo e perché da' sempre una certa illusione di guadagno o di interesse, ma proprio per questo chi commette il peccato vive nella sensazione di sostituirsi a Dio e di contare esclusivamente su se stesso.

A spingerci a peccare è tuttavia la concupiscienza, che Giacomo descrive come alternativa al protagonismo di Dio: “Nessuno, quand'è tentato, dica: sono tentato da Dio, perché Dio non può essere tentato dal male ed egli stesso non tenta nessuno. Invece, ognuno è tentato dalla propria concupiscienza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscienza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compito, produce la morte (Gc 3, 13 - 15).

Ancora più a monte, nella tentazione c'è un Soggetto Nemico che sfrutta proprio la parte più debole di noi, la nostra disattenzione e l'indolenza. Il diavolo, chiamato anche “avversario”, che va in giro cercando chi divorare, appunto approfittando della concupiscienza e della debolezza dell'uomo. Basta osservare l'esperienza di Gesù, che sarà sempre superiore al maligno negli esorcismi e negli interventi di guarigione, per accorgersi della presenza nefasta di questo nemico. Istituito Figlio di Dio dopo il battesimo al fiume Giordano, Gesù viene condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo, mentre si trova nell'assoluta penuria e indigenza. Le tentazioni a cui viene sottoposto sono veramente allettanti, perché (Come si diceva in apertura) non viene esposto alle piccole tentazioni comuni, ma

alla più grande tentazione di un Messianismo differente da quello per cui nell'incarnazione era diventato figlio di Dio: con i suoi allettamenti l'avversario vuole portarlo a soddisfare le sue necessità fisiologiche, a procacciare i suoi interessi materiali, a raggiungere i suoi obiettivi immediati di vantaggio facendosi forte della sua autorità di Dio e di Messia. Se Gesù avesse ceduto alle raffinate indicazioni del maligno, avrebbe disatteso il disegno del Padre di “adempiere ogni giustizia” (Mt 3,15) e non avrebbe potuto lasciarci un esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2, 21) e probabilmente non avrebbe patito sulla croce per riscattarci dai peccati e guadagnarci alla vita. Avrebbe fatto appunto il gioco del diavolo, quello di affermare se stesso attraverso procedure più dirompenti e mantenendo una posizione di comodo e di predominio su tutti.

Invece Gesù tiene testa al fautore di ogni divisione e di ogni discordia che è all'origine di tutti i mali. Nelle risposte alle sue allettanti lusinghe svela l'inefficacia delle sue proposte e mette a nudo anche la sua fondamentale vigliaccheria e millanteria, uniche risorse con le quali sa trarre in inganno ogni malcapitato da tentare. Gesù è Dio fatto uomo, eppure rinuncia a volere essere pari a Dio a differenza di Adamo e di Eva e di tutti noi. Anche nella tentazione riafferma la sua volontà di spoliazione a nostro vantaggio (Fil 2, 1 - 6).

Papa Francesco ricordava che “se si dialoga con Satana si finisce nel peccato e nella corruzione.” Piuttosto, alla tentazione occorre sempre controbattere con la preghiera e con la fortezza e con l'ausilio della mortificazione corporale. L'esperienza di Gesù, reiterata peraltro nella persona di tantissimi Santi anacoreti, contemplativi ma anche missionari o persone dedite al sociale, ci ragguaglia della certezza che alla tentazione è possibile far fronte per averne ragione, quando a fare da base è l'umiltà. Con questa virtù essenziale si hanno tutte le prerogative per l'esercizio dell'orazione e delle risorse spirituali che ci sostengono nella lotta contro il male. L'umiltà è il riconoscimento che ogni forza ci proviene da Dio, il che incoraggia la preghiera, la meditazione e dischiude alla carità con cui è possibile mettere in fuga l'avversario.

Nel mondo odierno sembra prendere forma una certa cultura edonistica che confonde il bene con il piacere, per la quale “a tutto posse resistere, meno che alle tentazioni”; oppure “l'unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi”(Oscar Wilde); addirittura si tende a fomentare la cultura del peccato anche parafrasando il Vangelo (“Chi è senza peccato, rimedi”). Da parte nostra non possiamo che considerare che l'unico modo di vincere la tentazione è fare immediatamente tutto l'opposto di ciò che essa propone, come insegnava qualche Santo di antichi tempi.

 

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