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TESTO Scegliere il bene... sì, ma come?

don Alberto Brignoli  

I Domenica di Quaresima (Anno A) (26/02/2023)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

“Nessuno sceglie un male capendo che è male, ma ne resta intrappolato se, per errore, lo considera un bene”. Questa frase, attribuita al filosofo Epicuro (siamo nel IV secolo avanti Cristo), dice bene la difficoltà che noi umani abbiamo, pur con le incalcolabili capacità di cui la nostra intelligenza e la nostra coscienza sono capaci, nel saper distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Una cosa che io reputo buona, infatti, può essere cattiva e deleteria per un'altra persona, e viceversa: “Mors tua, vita mea”, dicevano con non poco cinismo i medievali. Ed effettivamente, è così: fino a che punto la nostra coscienza morale, l'etica umana, è capace di distinguere in maniera chiara e netta il bene dal male? Chiaramente, a un certo punto dell'umanità, quando i gruppi sociali e le tribù cominciarono a diventare numerose, sorse la necessità di regolare i rapporti tra le persone attraverso degli strumenti atti a mantenere l'ordine e la pacifica convivenza tra gli uomini: nascono così le leggi e il diritto, che servono quantomeno a tamponare, se non proprio a evitare, i conflitti che sorgono da una diversa interpretazione di ciò che è bene e ciò che è male per ogni singolo soggetto.

Poi, però, sappiamo bene dalla storia che neppure le leggi e il diritto sono la soluzione dei problemi, perché ognuno le interpreta a modo proprio secondo quelli che per lui sono i criteri di bontà e di giustizia, per sé e per le persone sopra le quali esercita un potere: e le guerre ne sono la prova inconfutabile. Ancor peggio, quando le stesse leggi si rivelano moralmente inique, e quindi non solo incapaci di dirci cosa è bene e cosa è male per il mantenimento della pacifica convivenza, ma addirittura pensate perché qualcuno prevalga sopra gli altri e se ne impossessi. Tutto questo per dire che neppure la migliore delle leggi, e neppure la coscienza più formata e più onesta, hanno la capacità di stabilire, con assoluta certezza, che cosa è bene e che cosa è male. E questo, da sempre, “da che mondo è mondo”, come diciamo.

Appunto: da quando il mondo è mondo, da quando il mondo esiste, da quando - secondo noi credenti - Dio lo ha creato. E, creandolo, lo ha affidato all'uomo dandogli la possibilità di dominare su tutto ciò che esiste, di usare per il proprio bene tutto ciò che lo circonda, di sentirsi padrone e signore di ogni cosa, di tutto ciò che è stato fatto. Anzi, no. Di “quasi” tutto. Perché Dio si riserva per se stesso qualcosa. Che cosa? L'utilizzo di un albero. Ma non di un albero qualsiasi, bensì - guarda un po' - l'albero della conoscenza del bene e del male. Che a un certo punto diviene quasi un'unica cosa con un altro albero, l'albero della Vita. Come a dire: la vita, la vita dell'uomo, la nostra vita, coincide con la conoscenza del bene e del male. Una conoscenza per noi precaria, imprecisa, limitata, imperfetta: proprio come la vita, imperfetta, limitata, imprecisa, precaria. E nonostante questo, per noi appetibile come se fosse eterna. Appetibile e desiderabile come se non dovesse finire mai. Appetibile e desiderabile come la possibilità di conoscere perfettamente ciò che è bene e ciò che è male, e soprattutto fare in modo che il “nostro” bene, il “mio” bene, diventi “il Bene”, il bene di tutti, accomodando gli altri alla mia idea di bene, facendo in modo che gli altri si sottomettano alla mia idea di bene, alla mia idea di vita, alla mia vita, alla vita, come se la vita fosse nelle mie mani... come se io fossi padrone della vita!

Eppure, Dio è stato molto chiaro fin da principio: hai nelle tue mani tutto ciò che è creato, ma ciò che sta al centro del giardino della vita, ciò che è la vita, ciò che riguarda la conoscenza del bene e del male non è nelle tue disponibilità. Appartiene solo a Dio. E allora, perché certe idee per la testa? Perché desiderare ciò che non si può avere? Perché voler essere “come Dio”? Perché qualcuno - lo dice bene il libro della Genesi - ce lo ha messo in testa sin dall'inizio. Perché qualcuno, tra le creature del Signore, è astuto più di noi e ci “insinua” (verbo azzeccatissimo, per tutto ciò che striscia curvando...) che possiamo diventare come Dio. Mentre non è così: perché se fosse vero, saremmo immortali, ma non lo siamo. Se fosse vero, sapremmo perfettamente distinguere ciò che è bene da ciò che è male, e non solo relativamente a noi stessi, ma in maniera assoluta, per noi e per il mondo intero. Ma non è così... e i piccoli e grandi fallimenti della vita di ogni giorno sono lì a ricordarcelo, sono lì ad aprirci gli occhi sulla nostra realtà, sono lì a mostrarci la nostra “nudità”, cioè il nostro nulla di fronte ai misteri della vita, e allora corriamo ai ripari cercando delle foglie per ricoprirci e nasconderci da chi sa perfettamente cos'è bene per noi e cos'è la vita per noi. E questo nasconderci da Dio ha un nome: peccato (ovvero, l'albero della conoscenza del bene e del male che inaridisce). E ha un cognome: morte (ovvero, la scomparsa del frutto dell'albero della vita).

Come ne usciamo? Come vincere contro chi ci “insinua” cose non vere? Come sconfiggere l'avversario di Dio che è in noi?

È la sfida del tempo di Quaresima, che oggi si apre davanti a noi raccontandoci della sfida che anche Gesù ha dovuto affrontare, vincendola. Gli è stato insinuato che poteva fare a meno di Dio, suo Padre: ma lui sapeva che non era così. E vince la sfida con l'unico atteggiamento possibile: la fiducia. Vince la sfida perché si fida. Si fida di Dio (che lo ama perché è suo Padre) e vince chi lo sfida (che non lo ama, perché ama se stesso). Il segreto della vittoria, in questa sfida che ci viene lanciata per divenire “signori del bene e del male”, è la fiducia. E alla base della fiducia, c'è l'amore.

Quando siamo indecisi su che strada prendere, quando non sappiamo cosa scegliere, quando non capiamo cosa sia bene e cosa sia male, chiediamo consiglio. E forse, non sempre riceviamo risposte adeguate. Ma una cosa è certa: chi ci ama, ci orienta sempre e in maniera diretta, senza insinuazioni, verso il bene.

Perché dalla radice dell'amore non può che fiorire il bene.

 

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