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TESTO E cominciarono a far festa

don Michele Cerutti

Ultima domenica dopo Epifania (anno A) (19/02/2023)

Vangelo: Lc 15,11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,11-32

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Quando la fede si limita alle prescrizioni, quando la si confina dentro il rispetto formale di leggi o quando l'orizzonte del rapporto con Dio diventa il proprio io allora come i farisei siamo pronti a giudicare e a ergerci maestri degli altri non solo riusciamo anche a rimproverare Dio stesso perché gelosi del suo amore per tutti.
Il capitolo 15 di Luca, che costituisce il perno di questo Vangelo, si apre con una icona, come cappello introduttivo, che sembra ripetersi. Abbiamo questi difensori della legge antica che, vedendo Gesù mangiare con i peccatori, si scandalizzano.
Scene che possiamo vedere anche nelle nostre comunità dove se un prete parla con una persona lontana subito viene criticato e se questa vuole far parte di un cammino di fede deve subire a volte il giudizio.
Tutto per un'idea sbagliata di Dio, che per molti credenti è totalmente Altro non il Padre misericordioso.
Queste critiche sono occasioni per Gesù di mostrare ai farisei un volto di Dio che è lontano dai loro orizzonti limitati.
La parabola che abbiamo proclamato e che conosciamo bene si inscrive in questa pedagogia del Maestro.
Due fratelli opposti per temperamenti e un Padre che ama tutte e due.
Questo brano è lo specchio della realtà che viviamo anche oggi. Noi figli di un Padre che non fa distinzioni.
Dio ama anche i farisei non li giudica, ma li esorta a cambiare prospettiva.
Il più giovane dei due fratelli si fa avanti e chiede l'anticipo della sua eredità per andare lontano.
Questi rappresenta tutti coloro che vivono i sacramenti dell'iniziazione cristiana affermano di sapere tutto e una volta ricevuti pensano ora posso fare da solo e permettermi le mie scelte perché non ho bisogno di nessuno e neanche di un controllo.
Il più grande invece vive il rapporto con il Padre come uno schiavo.
Egli rispetta tutto quello che viene detto di fare, ma senza dare a questa un'anima.
Questi rappresenta i farisei, ma anche tutti coloro che vivono la fede senza una giusta interpretazione di quello che sono chiamati a compiere, senza amore.
In mezzo abbiamo questo Padre che davanti a questi due figli mostra un amore incondizionato.
Il minore se ne ritorna dopo esperienze che lo hanno portato a depredare tutto.
Molto probabilmente alla base della sua scelta c'è dell'opportunismo, ma amo credere che in fondo a questa decisione c'è quello che possiamo definire, come afferma Saint Exupery, nella sua opera il Piccolo Principe, la nostalgia del mare infinito.
Al Padre non interessa la motivazione che spinge questo figlio a ritornare e apre le braccia ancor prima che il rincasato chieda perdono.
Il cuore e il perno del racconto si trova in questa espressione: e cominciarono a far festa.
Questo sconvolge i perbenisti della fede che non si capacitano di un Dio di cui il padre della parabola è il riflesso.
Il figlio maggiore entra in questa scena con lo sguardo rabbioso di chi si crede superiore e non accetta tutto quello che sta vedendo.
Proprio questo è il vero scandalo: l'incapacità di vivere la fede come festa.
Molte volte tutti viviamo il nostro rapporto con Dio in una serie di cose da fare e non viviamo invece nella prospettiva dell'essere discepoli chiamati a spandere la gioia.
I farisei che giudicano Gesù non hanno capito proprio che il Messia che attendono e che non riescono a riconoscere è venuto per riempire tutto di gioia, come dice Sant'Andrea di Creta.
Non lo comprendiamo spesso anche noi che la fede o passa dalla gioia o diventa una schiavitù opprimente e una sorta di oppiaceo, come dice Marx, della religione.
Facciamo delle cose che ci servono a tenere buona la divinità, ma una volta eseguite il nostro rapporto non è più alimentato.
Il Padre non cambia rimane immutabile nel suo amore e a noi basterebbe volgere di più al suo sguardo per convertirci e indirizzarci a Lui.
Aiutaci Signore nel nostro cammino di conversione per portarci ai fratelli e cominciare con loro a fare festa.

 

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