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TESTO Ouverture

don Alberto Brignoli  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/01/2023)

Vangelo: Mt 4,12-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,12-23

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

 

Forma breve (Mt 4,12-17)

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Gli amanti della musica classica conoscono bene il significato del termine “ouverture”: si tratta di un insieme più o meno esteso di battute musicali che danno vita a un brano collocato all'inizio di un'opera, di una sinfonia o di una qualsiasi composizione di una certa corposità, all'interno della quale l'autore ci offre come un “assaggio” di quelli che saranno i temi che poi svilupperà nel corso dell'opera. Vi si ritrovano i principali motivi, le principali arie, anche gli strumenti musicali con maggior importanza nell'arco della composizione. Ascoltando l'ouverture, quindi, si ha una prefazione panoramica di quanto si ascolterà in seguito: ed è molto interessante, quando si ascolta discograficamente l'opera, andare a riascoltarsi l'ouverture al termine dell'opera stessa, perché questo ci permette di gustarla ulteriormente, “a ragion veduta”, potremmo dire.

Trasportando questo esempio musicale in ambito letterario, e più specificatamente nell'ambito della letteratura biblica, possiamo dire che anche i Quattro Vangeli hanno le loro ouverture, nelle quali gli evangelisti ci lasciano assaporare ciò che costituirà lo specifico delle loro opere che, come sappiamo, pur trattando di un unico argomento, ovvero l'annuncio della Salvezza nella vicenda storica di Gesù di Nazareth, lo fanno ognuno nella specificità della loro esperienza di fede, dell'incontro - in alcuni casi anche personale - che hanno avuto con il Messia e con la sua Parola.

Durante il periodo natalizio, ad esempio, abbiamo avuto modo di ascoltare in più occasioni il Prologo del Vangelo di Giovanni, molto profondo e complesso anche dal punto di vista teologico: parole come “luce”, “vita”, “parola”, “verità” costituiscono l'ouverture di quanto poi l'evangelista svilupperà nel suo Vangelo soprattutto attraverso i sette grandi “segni” (i miracoli) compiuti da Gesù e i discorsi che da essi (e non solo) ne conseguono; Marco fa un'ouverture molto stringata, di pochi versetti, nei quali parla dell' “Inizio del Vangelo di Gesù, figlio di Dio”, al quale segue un percorso alla scoperta di questa figliolanza divina che terminerà sotto la croce, con la professione di fede del centurione romano (cosa non casuale, visto che il suo Vangelo si rivolgeva principalmente ai pagani). Luca scrive addirittura un'ouverture sola per ben due opere - il Vangelo e gli Atti, la seconda delle quali vissuta anche in prima persona - mantenendo come filo conduttore la veridicità storica della sua testimonianza perché il suo interlocutore (il “famosissimo” e illustre Teofilo) potesse rendersi conto della solidità degli insegnamenti ricevuti dagli Apostoli.

E Matteo, il “nostro” Matteo, colui che ci accompagnerà lungo questo anno liturgico e del quale oggi iniziamo la lettura continuata? Facciamo un piccolo esercizio di analisi della sua “ouverture”, approfittando anche del fatto che oggi la Chiesa ci invita a celebrare la Domenica della Parola di Dio istituita nel 2019 da Papa Francesco proprio per ribadire la centralità di quella che a tutti gli effetti la Chiesa ritiene “presenza reale di Cristo”, tanto quanto l'Eucaristia. E non dimentichiamoci che lo studio che facciamo della Parola di Dio non sarà mai sufficiente a esaurirne la ricchezza e l'importanza per la nostra vita di fede, personale e comunitaria. Matteo, in realtà, ha addirittura due ouverture. La prima è quella famosa genealogia nella quale cita una cinquantina di nomi biblici dell'Antico Testamento, la maggior parte dei quali sconosciuta ai più, con lo scopo di mostrare al suo uditorio, fatto prevalentemente di ebrei che hanno abbracciato la fede cristiana, che Gesù è veramente il Messia atteso e annunciato dalla Storia di Israele: e questo tema ritornerà continuamente nel suo Vangelo, già dalla struttura stessa, costruita su cinque grandi discorsi di Gesù che richiamano i cinque libri della Legge di Mosè, a sottolineare che il Vangelo è la legge della Nuova Alleanza. E la seconda ouverture è proprio il brano di Vangelo che abbiamo proclamato oggi, il quale in dodici versetti (un bel numero, tra l'altro, per un ebreo...) presenta le caratteristiche della missione di Gesù.

Una missione che inizia in un contesto storico ben preciso, cioè quando finisce quella di Giovanni il Battista, e che pertanto mostra il rispetto di Gesù per il cammino del popolo di Dio che lo ha preceduto e nel quale egli stesso è inserito; una missione che prende il via non da Gerusalemme, dal centro della fede, dove certamente sarebbe stato più facile sbarcare il lunario vivendo da predicatore, bensì dalla Galilea, e dalla parte più estrema della Galilea, in una zona di confine definita dallo stesso profeta Isaia “Galilea delle Genti” (oggi diremmo “guazzabuglio umano”), mescolanza di genti e di idee in mezzo alle quali riuscire a dire qualcosa comprensibile a tutti era un'impresa, proprio come accendere una luce di vita in mezzo a un regno di morti (sono ancora parole del profeta); una missione basata su un annuncio fondamentale, quello della “conversione” perché “il regno dei cieli è vicino”, dove “vicino” significa prossimo, accanto a ogni uomo, dove “regno dei cieli” significa qualcosa che va oltre le attese dei regni umani, e soprattutto dove “conversione” non significa comportarsi bene per meritarsi la salvezza (ne sa qualcosa lo stesso Matteo, chiamato a essere apostolo ed evangelista nel momento meno nobile della sua vita di pubblicano...), ma significa “cambiare mentalità” riguardo a Dio. E che questa missione è guidata da un Dio che ragiona in maniera diametralmente opposta rispetto agli uomini lo si vede nella scelta dei suoi collaboratori, coloro che lo aiuteranno nella missione: non chiama farisei, né scribi, né eremiti, né santoni, né profeti come il Battista, bensì pescatori, gente di umile estrazione sociale che faceva un mestiere considerato “immondo” dalla tradizione ebraica in quanto immerso nel mare, che era simbolo del “male”. Ma da questo “male” che è il mare dell'umanità, essi saranno chiamati a “pescare fuori”, a salvare l'umanità stessa... E allora, la missione prende il via con l'annuncio del Vangelo del Regno, che però non rimane solo un insieme di parole vuote, ma si fa carità concreta “guarendo ogni sorta di malattia e di infermità del popolo”.

Ricapitolando: Gesù non è uno spirito campato in aria, ma è figlio di una storia che si cala nella nostra storia; una storia fatta di donne e uomini umili, semplici, peccatori come tutti, anzi, forse anche peggio di altri, abitanti di periferie non solo geografiche ma soprattutto esistenziali, marginali, dove c'è bisogno di una luce che rischiari le molte tenebre della vita e che sia capace di sanare le nostre infermità, fisiche e morali; dove c'è bisogno di una parola di speranza che ci annuncia la prossimità di Dio e del suo Regno. E sarà meraviglioso, domenica prossima, ascoltare che questo Regno di Dio ci vuole tutti “beati”, cioè “felici”.

Dobbiamo fare qualcosa, quindi, per accogliere questo dono, per apprezzare fino in fondo la bellezza di questa sinfonia del Vangelo di Matteo di cui oggi abbiamo ascoltato l'ouverture? Sì, una sola cosa: convertirci, ovvero cambiare mentalità, essere disposti a cambiare il nostro modo di vedere Dio.
Semplice, vero? Dai, siamo solo all'inizio!

 

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