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TESTO Nessuno sia privato di un giorno felice

don Angelo Casati  

II domenica dopo Epifania (anno A) (15/01/2023)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Mancava l'acqua a Kades, nel deserto di Sin, mancava il vino a una festa di nozze a Cana di Galilea. Leggo di acqua e di vino e non so dove indugiare: non è nuda cronaca, sono racconti, sottendono significati, alludono alla vita. E dunque sono di tutti i tempi. Andrò per suggestioni. Di certo, nel deserto di Sin, l'aria non era quella di una festa di nozze: era aria di contestazione, di ribellione, di litigio. E' scritto: "dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro". Litigarono con Mosè e Aronne, e litigarono anche con Dio. Forse, in qualche misura vanno anche capiti, la mancanza dì acqua nel deserto non è uno scherzo. L'accusa per i capi era di averli condotti fuori dall'Egitto per farli morire di sete nel deserto.

Ma se poi ci si avvita nei litigi, non ne esci fuori, il problema rimane. In questo senso mi ha colpito un particolare, del racconto; ma forse è una delle mie strane interpretazioni. Nel mezzo della contestazione Mosè e Aronne si allontanano, quasi avvertissero che così, in quel clima, non si sarebbe arrivati a nulla di positivo. Esci. Quasi un bisogno di cambiare orizzonte. E quante cose cambierebbero se mutassimo l'orizzonte. Allontanarsi: "Allora Mosè e Aronne si allontanarono dall'assemblea per recarsi all'ingresso della tenda del convegno; si prostrarono con la faccia a terra e la gloria del Signore apparve loro. Il Signore parlò a Mosè dicendo: "Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l'acqua dalla roccia"". Si era arrivati al punto che era un parlarsi tra sordi.

Ed ecco - forse sto fantasticando - ecco l'invito a un altro parlare. Mi colpisce nel racconto il comando di Dio :"Parlate alla roccia". Mettiamo fine a logoranti e vane discussioni e andiamo a parlare alla roccia. E nella Bibbia la roccia è figura di Dio "Scudo e roccia tu, Dio, in cui confido". Roccia nel senso di una fedeltà che non viene meno, non nel senso di una durezza cupa e gelida. Che Dio sarebbe? Ancora oggi mi rivedo nel deserto di Giuda: ad accompagnarci un grande biblista, Padre Francesco Rossi De Gasperis. Quel giorno ci mostrava le rocce del deserto e ce ne faceva osservare le stupefacenti striature, la bellezza della roccia. Ci diceva Dio è roccia nel senso della bellezza. Rocce istoriate mirabilmente dalle sabbie di vento del deserto. Fortezza e bellezza insieme, nome per Dio. Sostavamo alla fessura dell'acqua, un Dio che disseta. "Parlate alla roccia": l'invito ritorna a tutti noi.

Se parlassimo alla roccia, se dessimo un altro orizzonte ai nostri pensieri, ciò che dichiariamo impossibile, a volte diverrebbe possibile. L'invito a non indurire il cuore era oggi nel salmo: "Se ascoltaste oggi la sua voce! Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere". Ma ora dalla mancanza dell'acqua nel deserto vorrei passare alla mancanza del vino a una festa di nozze in Cana di Galilea. Solo Giovanni ricorda il segno del vino, un segno imbarazzante per quelli hanno scolorito il vangelo dividendo anima e corpo, un segno che racconta di Gesù, un tratto imperdibile di Gesù. Giovanni lo racconta come il suo primo segno. Scrive: "Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui".

Imbarazzante per alcuni che il vino stesse all'in principio dei segni di Gesù, che la sua gloria accadesse all'insaputa di sposi e invitati, in un grande corale fraintendimento: la notizia del "vino buono" passò nell'aria come segno di una attenzione particolare degli sposi, quando in verità l'attenzione, la cura, la premura venivano dagli occhi di una donna. Lei ad accorgersene. Per lei il vino non era un dettaglio: intorno a un matrimonio si fa festa. Sia salva la festa: un matrimonio se la merita. E' come cantare alla bellezza dell'amore umano: "Siete belli, siete fonte di gioia voi che vi amate e vi scegliete; ve lo canta l'allegria di questa sala". E proprio nella festa dell'amore umano c'è una presenza preziosa, a volte inavvertita come a Cana, ma reale. Di Dio, di cui Gesù è segno. Non sta forse scritto che "dove c'è amore, lì c'è Dio"? Non è questione di edifici. La fede ti fa dire, davanti ad ogni amore, che lì c'è Dio. Vorresti che tutti se ne accorgessero. Vorresti dire a tutti da dove viene il vino. C'è una sorgente del torrente che rende verdi le valli assetate. La si pensi o no. Bellissimo pensare la sorgente. Questo segno di Gesù a Cana è un rincorrersi a perdifiato di simboli e anche di domande.

Ma io - come penso di aver fatto altre volte - vorrei sostare brevemente sul clima di festa in cui avvenne il primo segno di Gesù e sul desiderio di Maria e di Gesù di salvaguardare la festa. Vorrei dirvi quanto sia importante oggi, nel nostro vivere quotidiano e nella chiesa, respirare un clima di festa, di sorpresa per le cose buone, di gioia. Un mondo di immusoniti fa tristezza e crea tristezza. Vangelo significa notizia buona, bella. Forse potremmo chiederci se oggi la parola "chiesa" nell'immaginario comune evoca immagini di festa. Di gioia o di pesantezza? Di un apparato da congelare o di libertà dello spirito? Di monotonia logorante o di lieta creatività? Volti accesi al mistero o volti annoiati ai riti? "Ci sono cristiani - ha scritto papa Francesco nella sua esortazione apostolica "Evangelii gaudium" - che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua". A ben altro - aggiunge papa Francesco - invita Dio: invita alla gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana. E, in questo orizzonte, ricorda parole intrise di tenerezza, custodite nel libro del Siracide: "Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene... Non privarti di un giorno felice" (Sir 14,11.14).

Evocando il segno di Cana, il segno del vino, potremmo forse aggiungere: "Per quanto ti è possibile prenditi cura che nessuno sia privato di un giorno felice".

 

 

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