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TESTO Commento su Giovanni 1,29-34

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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/01/2023)

Vangelo: Gv 1,29-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Massimo Cautero

IL BATTESIMO DEGLI AGNELLI

La strada che sale dal mar Morto a Gerusalemme si snoda in mezzo ad un paesaggio aspro fatto di terreni bruciati dal sole e di rocce rossastre, sono i monti Adummim («del sangue»), al tempo di Gesù insanguinati anche a causa degli assalti delle bande dei razziatori - come è ricordato dalla celebre parabola del buon Samaritano, ambientata proprio su questa strada -, una strada che in pochi chilometri supera un dislivello di 1200 metri (dai 400 metri sotto il livello del mare nella valle del Giordano agli 800 metri di altezza di Gerusalemme).

Ancor oggi, per i turisti ed i pellegrini, è possibile rintracciare i segni di un passato quasi immobile, quello dei beduini coi loro accampamenti e i loro greggi. Un incontro con la vita nomadica ed anche con un animale che nella Bibbia ha una posizione di prestigio, l'agnello.

Oggi, però, l'agnello ci viene incontro come un grande simbolo, anzi come la definizione stessa del Cristo. E per questo che noi ora cercheremo di evocare tutti i significati spirituali che la Bibbia ha concentrato su questo animale.

Il pensiero corre subito all'agnello dalle ossa non spezzate della Pasqua: gli antichi pastori, offrendolo alla divinità nel plenilunio di primavera, prima della transumanza, immaginavano che quell'agnello dalle ossa intatte sarebbe stato ridonato da Dio moltiplicato nei parti del gregge durante il nuovo anno.

L'agnello era una delle vittime sacrificali più comuni nell'Antico Oriente: quante volte nella Bibbia appare il sacrificio dell'agnello o del capro! Il pastore vedeva in questo animale il suo bene più prezioso e più familiare: lo stesso sole batteva implacabile su entrambi in marcia nel deserto, la stessa sete era sedata alla sorgente raggiunta insieme.

In questa luce si può capire la deliziosa parabola che il profeta Natan narra a Davide peccatore, per risvegliargli la coscienza intorpidita: “Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l'altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, ma il povero aveva solo una pecorella piccina che aveva comprata ed allevata. Essa gli era cresciuta in casa insieme coi figli, mangiando il pane di lui, bevendo dalla sua coppa e dormendo sul suo seno, era per lui come una figlia...” (2 Sam 12, 1-3).

L'agnello era anche il piatto centrale dei pranzi festivi. Ecco, ad esempio, il menu solenne elencato in una strofa del celebre canto di Mosè conservato nel c. 32 del libro del Deuteronomio: “crema di mucca e latte di pecora, grasso di agnelli, arieti della regione di Basan e capri, fior di farina di frumento e sangue dell'uva che berrai spumeggiante” (v. 14). Anzi, la stessa nascita di un agnello era ed è ancor oggi per i beduini un avvenimento importante e gioioso.

Ma l'agnello, proprio per la sua simbologia pasquale, nella Bibbia sale dalla vita quotidiana a quella dello spirito ove diventa un segno religioso.

Una pecora che si è smarrita fuori dal gregge e dalla pista è destinata alla morte se il pastore non la cerca e non la raggiunge, come ha insegnato Gesù in una sua delicata parabola.

Il poeta del lunghissimo Salmo 119 si confessa così davanti al Signore: «Come pecora smarrita vado errando, cerca, Signore, il tuo servo!» (v. 176).

L'agnello diventa anche il simbolo costante della vittima e dell'innocenza calpestata, come dichiara autobiograficamente Geremia: “Io ero come un agnello mansueto che viene portato al macello; non sapevo che essi tramavano contro di me...” (11, 19). Il celebre quarto carme del Servo del Signore, raccolto nel libro del profeta Isaia, dipinge nella stessa maniera questa figura messianica misteriosa: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la bocca” (Is 53, 7).

È così che nel vangelo odierno l'agnello diventa quasi il titolo simbolico fondamentale del Cristo: “Ecco l'agnello di Dio!”. Anzi, in aramaico (secondo un'interpretazione di alcuni studiosi) c'è un vocabolo “talya” che raccoglie in sé due significati, «agnello» e «servo». Il Battista, allora, alluderebbe con un'unica espressione sia all'agnello pasquale sia al Servo messianico: “Ecco l'agnello sacrificale della nuova Pasqua, ecco il Servo messianico che si immola per il peccato del mondo!”. E un po' in questa linea che il Cristo glorioso dell'Apocalisse è chiamato per ben 28 volte l'«Agnello» per eccellenza.

Questo animale semplice e mansueto diventa, quindi, nel Nuovo Testamento il simbolo più luminoso per descrivere il sacrificio di Cristo e la sua Pasqua perfetta e liberatrice.

Prima di lasciare la Galilea, sostiamo idealmente sulle rive del lago di Tiberiade, come fanno tanti pellegrini ancor oggi. Accanto ad una chiesetta francescana detta «del Primato di Pietro» ed eretta in basalto nero, riascoltiamo anche noi le ultime parole terrene (secondo il Vangelo di Giovanni) del grande pastore delle nostre anime, il Cristo risorto. Sulle sponde di quel lago egli ci chiama «suoi agnelli» e ci affida alla guida visibile di Pietro. “Gesù disse a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene! Gli disse Gesù: Pasci i miei agnelli!” (Gv 21, 15).

L'agnello di Dio, quindi, ci rende agnelli a nostra volta: una bella riflessione su chi è il Cristo indicato da Giovanni e su chi siamo noi che siamo invitati a seguire quell'agnello. Nel battesimo siamo uniti a Lui che è l'agnello che ci salva e il Cristo che ci serve, da questo fatto possiamo così riflettere: è possibile ancora credere di essere così estranei al Cristo ed evitare di diventare, a nostra volta, agnelli che si sacrificano per servire la salvezza donataci dal Cristo stesso? Può un battezzato, un rinato dalle stesse acque santificate dal Cristo con la forza dello Spirito Santo, non partecipare alla logica del sacrificio per la salvezza di tutti?

Forse oggi ci siamo dimenticati i significati ed i simboli dell'agnello, comuni alla mentalità biblico-evangelica, e forse oggi abbiamo altri vocaboli e simbolismi per indicare il sacrificio ed il servizio, e andrebbe comunque bene, quello che non andrebbe per niente bene è l'aver dimenticato che l'essere uniti a Cristo, l'essere battezzati, è una responsabilità da assumere per una vita al servizio e di donazione (sacrificio) per amore dei fratelli, una necessità perché coscienti di essere amati e serviti da quell'agnello che la Chiesa non smette di indicare dal giorno che fu indicato dal Battista sulle rive del Giordano. Questo povero mondo, la nostra povera umanità, ha ancora oggi un disperato bisogno di salvezza e di speranza: nella Chiesa si parla di annuncio, missionarietà, evangelizzazione e carità, e va bene, ma nulla servirebbe la speranza e la salvezza se ci dimentichiamo lo stile con cui si serve, e lo stile con cui Cristo ci ha servito è essere l'agnello, colui che “toglie il peccato del mondo”, ed anche se noi non siamo il “Cristo” non dobbiamo mai dimenticare che partecipiamo con Lui e di Lui, e possiamo farlo senza divisioni o errori solo se, come Lui, ci facciamo agnelli!

 

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