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TESTO Tiriamo avanti le lancette della Chiesa!

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

Battesimo del Signore (Anno A) (08/01/2023)

Vangelo: Mt 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 3,13-17

In quel tempo, 13Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

“Secondo noi, questa cosa andrebbe fatta così: però è lei il parroco, lei è sacerdote, decida lei!”. Sfido qualsiasi mio confratello sacerdote a dirmi di non essersi mai sentito rivolgere da qualche parrocchiano una frase simile a questa, riguardo a qualsiasi cosa: dalle più banali (come quelle relative alla posizione di una statua in chiesa) a quelle più profonde, come possono essere alcune scelte all'interno di un Consiglio Pastorale, ad esempio. E parlo di parrocchiani molto impegnati nella vita cristiana delle comunità, che operano con straordinaria generosità e hanno anche una lunga esperienza e una solida formazione alle spalle, e tuttavia nel momento in cui viene chiesto loro di fare una scelta “da sempre” riservata al sacerdote, manifestano un senso di inadeguatezza, quando non addirittura di inferiorità, rispetto a chi da essi è ritenuto loro “superiore”, e di fronte al quale non se la sentono di fare scelte di responsabilità.

Come lungo le rive del Giordano, quel giorno, quando il Battista rivela la sua indole tradizionalista, e nonostante la sua predicazione si fosse scagliata in maniera inequivocabile contro le alte cariche religiose del suo tempo, di fronte al Messia assume un atteggiamento di totale abnegazione, e gli mostra il suo disappunto per un rito - quello del battesimo di penitenza - che mai si sarebbe sentito di celebrare per lui e su di lui. Come tanti nostri bravi laici, appunto, che si sentono quasi “impauriti” a vivere responsabilmente gesti liturgici o scelte pastorali che è concesso loro di celebrare non solo perché ne hanno facoltà, ma per la loro stessa natura di battezzati.

Non sto affatto parlando di eliminare il sacerdozio ministeriale per equiparare le funzioni dei laici a quelle dei ministri consacrati: finché la Chiesa riterrà di conservare il ministero consacrato, non vedo perché si debbano fare inutili battaglie per stravolgere la “traditio” della fede cercando di eliminare le specificità del sacerdozio ministeriale. Le lotte e le battaglie piuttosto le farei perché ogni battezzato assuma responsabilmente i doveri e i diritti che gli provengono dal sacerdozio battesimale, che, come sappiamo, ha dei profondi fondamenti teologici.

Il Concilio Vaticano II stesso lo afferma molto bene nella “Lumen Gentium”: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo...” (LG 10).

Ma al di là delle sottolineature teologiche, io vedo nello scambio verbale tra Gesù e il Battista (tra l'altro, sono le uniche parole che i due si dicono durante la loro vita terrena) la miglior spiegazione del nostro essere sacerdoti, guide e maestri in virtù del Battesimo stesso: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”; “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Gesù definisce il ministero del Battista un ministero compiuto “per adempiere ogni giustizia”.

Se quindi è “giusto” assumere a partire dal nostro battesimo la ministerialità diretta che ne deriva, cosa ci frena nell'essere cristiani in prima persona responsabili delle nostre comunità? Cos'è che impedisce ancora ai laici, in virtù del Battesimo, di essere i protagonisti ufficiali (e non solo di fatto, perché quello lo sono già) della vita di fede delle comunità cristiane? Cosa impedisce a un laico padre di famiglia di essere responsabile dell'organizzazione e della gestione di un Consiglio Pastorale? Cosa impedisce a una madre di famiglia di essere l'organizzatrice della vita liturgica di una parrocchia? Cosa impedisce a qualche giovane volenteroso o a una coppia di giovani sposi, ben preparati, e magari bisognosi anche di un sostegno economico, di essere assunti da una parrocchia a tempo pieno per la gestione di un oratorio, di un ufficio o un archivio parrocchiale, della pastorale sociale di una o più parrocchie?

Io credo di sapere che cosa lo impedisca: è ancora colpa di noi preti e del nostro clericalismo, per il quale -pur essendo numericamente sempre meno - non smettiamo di avere in mano il “pallino” del gioco perché ci avochiamo una serie di diritti, la maggior parte dei quali hanno molto poco fondamento a livello teologico e pastorale. È terminato da parecchio tempo il concetto del laicato come “ausiliare del clero”: non possiamo continuare a “gestire” i laici in parrocchia come il “braccio destro” delle nostre attività, anche se sono loro stessi, a volte, a chiedercelo. E la loro richiesta di sostegno avviene ancora una volta per colpa del nostro atteggiamento di superiorità: quello per cui passiamo da un estremo all'altro, dal voler comandare e controllare tutto, al lasciar fare tutto quanto (pur di non prenderci le nostre responsabilità) dicendo “Spazio ai laici!”, senza affatto crederci, perché altrimenti li affiancheremmo, in questo loro spazio! La storia ci precederà: le vocazioni sacerdotali ormai sono quelle che sono, e se non ci preoccupiamo seriamente di preparare le nostre comunità a un'assunzione seria di responsabilità anche ministeriali, quel poco che finora si è conservato cadrà in maniera irrecuperabile.

Non smetterò mai abbastanza di ringraziare Dio che mi ha permesso, nei territori di missione ma anche in molte Diocesi d'Italia povere di clero, di respirare l'aria di una Chiesa dallo spirito fortemente ministeriale e battesimale. Vedere lo spazio che in certe comunità cristiane viene dato a ogni cristiano (laico, sacerdote, religioso/a, consacrato, appartenente o no a movimenti) appunto in virtù del Battesimo, e vedere con quale spirito da decenni ormai si assiste in queste Chiese a una sorta di assunzioni di responsabilità condivise che definire eroiche è limitante, è una cosa che dilata il cuore e fa continuare a sperare in una Chiesa che non ha assolutamente alcuna intenzione di morire. Una Chiesa retta da catechisti, da animatori liturgici, da diaconi permanenti, da ministri dell'Eucaristia, da segretarie parrocchiali, da consigli pastorali deliberativi e non solo consultivi, e tutto in profonda comunione e collaborazione con sacerdoti che ne sanno cogliere la ricchezza... è proprio così un miraggio, per le nostre Chiese di antica tradizione?

Non sarà invece il caso di fare una minuziosa e coraggiosa opera di “orologeria clericale”, tirando avanti le lancette della storia? Eh sì, perché i secoli del Medioevo e dell'oscurantismo della fede sono terminati da tempo: la Luce del Natale, dell'Epifania e delle rive del Giordano ha finalmente bisogno di risplendere con forza e dignità, per tutti e attraverso tutti!

 

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