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TESTO Commento su Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (29/01/2023)

Vangelo: Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,1-12

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Se dovessimo definire con un'espressione riassuntiva l'Evangelo di oggi, diremmo: l'Evangelo delle due montagne. Una definizione, questa, che ci aiuterebbe a cogliere in pienezza la buona notizia che è per noi, oggi, e che in qualche modo configura l'itinerario stesso del Maestro.
Questo itinerario, al quale ci è chiesto di conformarci, emerge già fin dall'inizio della Liturgia di questa quarta domenica per annum.
Nella “Colletta” viene evidenziata la disposizione con cui partecipare a questa Eucaristia: «O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa' che la Chiesa non si lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito». La seduzione del potere e della ricchezza è troppo forte per non implorare un aiuto, come singoli e come comunità, per avere la forza di distaccarcene.
Una comunità (un popolo) che deve diventare umile e povero. «Cercate il Signore

voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l'umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore. “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero”». Così Sofonia, figlio dell'Etiope, che si trovava a profetare, nel settimo secolo prima di Cristo, a un popolo che aveva abbandonato la legge di Mosé e si era rivolto orgogliosamente a idoli perversi. Bello, e quanto mai attuale a 2700 anni di distanza, il messaggio secondo il quale l'umiltà non esclude affatto la ricerca incessante della giustizia.
E poi questo messaggio di speranza, offerto dal Salmo: «Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri. Egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi». Dio non si vendica, sconvolgendo le vie dei malvagi, Dio non è capace di vendetta, ma esprime la sua preferenza per i poveri, i derelitti, i senza speranza. Ed è bello pensare che i poveri abbiano un parente prossimo, un go'el che li difende, li riscatta, che sta dalla loro parte. Già Giobbe esprimeva a questo go'el il suo grido di speranza: «Io so che il mio goel è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro...(Gb 19,25-27). È questa la preghiere di tutti i Giobbe, sempre più numerosi, della Terra.
E Paolo, scrivendo ai Cristiani di Corinto, rincara la dose, se così si può dire: «Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio». Gli stolti, gli umili, i poveri, i deboli riusciranno a confondere i sapienti, gli orgogliosi, i potenti, gli oppressori. Non è solo una speranza escatologica: tutto questo si avvererà nella storia umana.
Ma il discorso veramente rivoluzionario è quello dell'Evangelo, in quanto capovolge letteralmente i valori tradizionali, denunciando l'ambiguità della rappresentazione terrena e storica della beatitudine: non sono «beati» quelli che stanno bene, le cui ricchezze prosperano, che hanno case al mare, in montagna e in campagna, che comprano con il denaro la fedeltà del prossimo, ma coloro che hanno fame e piangono, coloro che sono perseguitati, coloro ai quali i governi fascisti vogliono impedire di sbarcare, stremati dal freddo e dalla febbre, sulle nostre coste. «Prima gli italiani...». Dove esiste questo criterio di esclusione, non c'è beatitudine, ma maledizione, anche se chi lo afferma indossa e sventola simboli e idoli religiosi, dimenticando che là dove c'è un idolo c'è sempre una vittima, ed è a queste vittime che è destinato il Regno dei cieli.

L'evangelo delle due montagne... Sarà forse un'immagine poetica o simbolica. Ma è bella l'idea con la quale Matteo, che si rivela un buon cronista, introduce il Vangelo delle Beatitudini: «Gesù salì verso il monte, si sedette...». Poco prima, dopo un lungo periodo di deserto e di digiuno, il Maestro era stato condotto dal Tentatore su un altro monte. Dalla cima di esso, vertiginosamente, erano passati sotto i suoi occhi tutti i regni di questo mondo; era stata fatta balenare la possibilità concreta di possederli. Una tentazione terribile. Ci stava. Certo, non per il proprio tornaconto, il peccato ha sempre una parvenza di bene, un'anima di verità, ma per il riscatto di un popolo oppresso. Quale cosa poteva apparire più importante a Gesù? Con il potere che avrebbe acquisito avrebbe potuto gestire la rivoluzione dei senza potere, avrebbe «liberato» una massa di gente schiavizzata, sfruttata da una dominazione che - lo dicono i libri di storia, se ancora la si studiasse - non era certo tra le più tenere. Ma Gesù non ci sta. Scende risolutamente dal monte dell'orgoglio intellettuale e sia avvia a salire su quella montagnola dalla quale inizia a seminare speranza. Tra le due montagne una valle fredda, profonda. E quante ombre, quanti echi! Eppure era necessario attraversarla. Il Vangelo non dice tutta la fatica che occorre per compiere questo tragitto. Ma lo dice la nostra esperienza d'ogni giorno.
I suoi discepoli si accostarono a lui, ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. Beati puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli».

«Beati...». Essere beati significa essere nel Regno, non necessariamente nel martirologio. I poveri, gli afflitti, i costruttori pace, i perseguitati, i bambini, le donne e gli uomini di cui non sapremo mai il nome, che sono stati inghiottiti dal mare mentre cercavano un porto ospitale, quelli che sono rimandati nelle prigioni libiche, sono nel Regno o nel cammino di liberazione verso il Regno. Un cammino, perché il Cristo non ci vuole mai in una condizione statica, ma ci offre sempre una condizione dinamica, un orizzonte. Ci vuole pellegrini di speranza. «Alzati e cammina...». È la storia della liberazione. Per gli stessi Ebrei, Dio, prima di essere il Creatore, è il Liberatore, il Salvatore. Il primo attributo indica uno status, il secondo un dinamismo: azione, movimento, lotta, esodo, passaggio da una condizione a un'altra. Ieri, installarsi equivaleva, da parte di Mosè, venire a patti con il Faraone; oggi, installarsi significa venire a patti con il potere, con i regimi che mortificano la persona - e quanti cattolici lo stanno facendo, oggi, anche con i regimi più retrivi della storia - e che chiudono entrambi gli occhi sulla fame che uccide milioni di essere umani; che chiudono le orecchie al grido dei poveri; che tappano la bocca a quei profeti che incessantemente gridano giustizia e pace e che denunciano l'obbrobrio - il peccato - della produzione, della vendita, addirittura dei regali di armi. È storia di oggi.

Dicendo «Beati i poveri», che in fondo è la sintesi delle otto beatitudini, Gesù non giustifica la miseria di milioni di oppressi, la schiavitù dei senza-voce, lo stupro, il più delle volte sconosciuto, delle donne. I poveri sono beati perché in questa povertà infinita Gesù si è radicato, si è incarnato. E lì, presente, con loro, dalla loro parte. Non per dire ai poveri di «stare buoni», di «avere pazienza», perché per loro ci sarà un premio se sanno attendere la giustizia futura. Lui semina speranza, ma speranza attiva, decisione di cambiamento. La rassegnazione non è virtù cristiana, ma solo atteggiamento funzionale all'ideologia della conservazione, del lasciare le cose come stanno; l'ideologia di chi si rifiuta di vedere l'emarginazione dei più, di analizzare le cause che la determinano, di fingere di non vedere il sangue che gronda da certe scelte politiche.

I poveri sono beati quando ognuno di noi - che pure poveri non siamo - incomincia a lavorare, a fare scelte, per essere tali. La liberazione è un processo, non si trova già fatta. Si fa nella storia, nella prassi, la si realizza con i piccoli, con gli ultimi, nella condivisione.
Tutta la Chiesa deve farsi povera. Ed è compito nostro. Su questo punto il giudizio del Signore è severo: «Per tre misfatti d'Israele e per quattro non revocherò il mio decreto, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri...» (Amos, 2,6-7).

Traccia per la revisione di vita
- La nostra vita di fidanzati e di sposi è basata sulla ricerca del benessere oppure ci sforziamo di vivere la beatitudine della povertà e della condivisione?
- Siamo indifferenti al grido dei poveri che si alza da ogni parte del mondo? Ci disturba? Ci interpella? Come?
- Nella nostra comunità cristiana che cosa facciamo per trasmettere e vivere il senso autentico delle Beatitudini?

Luigi Ghia - Direttore di «Famiglia domani».

 

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