PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Commento su Is 49,3.5-6; Salmo 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/01/2023)

Vangelo: Is 49,3.5-6; Salmo 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Tutte le letture di questa seconda domenica del Tempo ordinario, anno “A”, posseggono un forte impatto teologico con il quale dobbiamo confrontarci. Già nell'antifona d'ingresso, viene formulato l'auspicio che tutta la terra adori Dio; non solo alcune persone privilegiate, credenti, che si ritrovano la domenica per glorificare il Signore, ma la terra tutta: tutte le donne, tutti gli uomini, tutte le creature, animali e vegetali che la popolano. Omnis terra, quella che Lui ha forgiato con sapienza e amore, restituisce, con la lode, questo amore divino. Nessuno è indegno di farlo. E lo fa non una volta ogni tanto, ma sempre, con tutta la vita: tutti siamo santificati in Cristo Gesù; tutti siamo santi per chiamata; è veramente rivoluzionaria, e basterebbe per il nostro conforto, questa pagina di 1 Cor 1,1-3. Ma non solo: «O Padre - si prega nella Colletta che raccoglie simbolicamente tutte le preghiere del popolo di Dio - che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del Battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo». E qual è questo lieto annuncio? Qui entriamo veramente nel cuore di questa liturgia domenicale.
Con il Vangelo di questa Domenica ci troviamo di fronte ad una delle più potenti costruzioni Cristologiche di Giovanni, tutta incentrata sulla figura dell'agnello (cioè della vittima dell'espiazione). Era il pomeriggio della vigilia della Festa degli Azzimi (cioè della Pasqua) quando Gesù fu inchiodato sulla croce, là su quella collinetta chiamata Gòlgota. A quell'ora, secondo le prescrizioni ebraiche, venivano immolati nel tempio gli agnelli. Ed è il Cristo, qui, che si immola, che si fa carico (cfr. Is 53,4 e 53,12) del peccato del mondo, di quel male che inside alla radice la stessa struttura del mondo e che l'uomo, da solo, neanche con l'intera sua buona volontà, è in grado di redimere, perché il peccatum mundi (che tristezza vedere tradotta questa espressione al plurale, “i peccati”) è irredimibile da parte dell'essere umano. Come scrive Hermann Strathmann, “è sorprendente la caratterizzazione di Gesù come l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Lutero ha tradotto: ‘che porta su di sè il peccato del mondo'; la parola greca significa ‘allontanare, levar via', e per fare ciò, naturalmente, quanto dev'essere portato via dev'essere caricato sulle spalle. Per togliere il peccato del mondo l'Agnello prende su di sé in espiazione surrogatoria le conseguenze del peccato, e così toglie ogni effetto al peccato, o meglio alla colpa del peccato, lo mette da parte; perciò l'espressione riunisce in sè le due cose, l'assunzione del peso e la sua eliminazione” (Il Vangelo secondo Giovanni, commento di H.Strathmann, Brescia 1973, p.85). Questa esegesi illustra molto bene l'ambivalenza dell'espressione greca ho airon ten hamartian tou kosmou (lat. qui tollit peccatum mundi), il cui verbo airo, al pari del latino tollere significa sia portar via, sia prendere su di sé, caricarsi sulle spalle (mentre purtroppo questa ambivalenza di significato non si riscontra nella traduzione italiana togliere, che viene lette nel senso di eliminare). Gesù non “toglie” i peccati del mondo, deve essere ribadito: prende su di sé il peccato del mondo, quello irredimibile con le sole forze umane. Non è erudizione filologica fine a se stessa. Con questa espressione, infatti, i due Giovanni intendono riferirsi sia al quarto carme del Servo del Signore (Is 53,1-12), sia all'agnello espiatorio di Lev 14, 12-13, sia infine all'agnello pasquale (Es 12, 1-14; Gv 19,36) che diventa il simbolo della redenzione di Israele.
L'atto di eliminare il peccato del mondo non si comprende dunque se non viene inserito in un progetto di redenzione che può avvenire solo attraverso l'espiazione vicaria, fatta cioè per la salvezza di tutti, di una vittima. Il tutti di questa salvezza non ha limiti né geografici né cronologici: è per questo che (v.30) Giovanni può dire che dopo di lui “viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. L'atteggiamento del Battista è quello di colui che non conosce i disegni di Dio, ma è chiamato ad annunciarli, progredendo contemporaneamente in un cammino di fede. Questo è anche il compito della nostra evangelizzazione.
Ecce agnus Dei... L'immagine è plastica, ricca di suggestioni. La “durezza” del Battista sembra qui quasi stemperarsi in una tenerezza infantile, mentre addita il Cristo. Gli uomini rudi - chi non è stato toccato nella vita dalla presenza di uno di loro? - sono spesso i più teneri, anche se le loro emozioni possono essere “violente”. Giovanni riconosce subito nel Cristo quel “servo sofferente” profetato da Isaia. In aramaico, “agnello” e “servo” vengono tradotti con lo stesso sostantivo. Gesù dunque è “il servo”, “l'agnello”, che assume su di sé il peccato, tutta la violenza del mondo: per smascherarla, rivelarla, vincerla. Forse una lettura sacrificale del Cristo ci ha portato talora fuori strada. In realtà, il nostro Dio non ha bisogno di essere placato: quello è il Dio della mitologia, non il Dio di Gesù Cristo. Se davvero imparassimo a leggere il Primo Testamento alla luce del Nuovo, anche noi, come i profeti antichi, ci emozioneremmo alla rivelazione di un Dio che “prende su di sé” - e svela - il peccato e la violenza dell'umanità. Abbiamo trovato alcuni celebranti - pochi, ma qualcuno sì - che alzando il pane prima della Mensa dicono: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo”. È confortante, non trovate? È un modo sublime, tramite una derubricazione indispensabile, per additare, come Giovanni, il Cristo e la sua salvezza al popolo d'Israele.
È Lui, il Cristo, e non se stessa, che la Chiesa deve additare alle donne e agli uomini di ogni generazione. Non la propria cultura, non i segni esteriori ed effimeri della propria potenza, non la preoccupazione per la sua presenza nel mondo o per la difesa delle forme storicamente acquisite delle proprie istituzioni... ma il Cristo, che ha svelato l'amore tenero, infinito e misericordioso del Padre, che ci ha offerto una prospettiva di liberazione, Lui il “servo sofferente” e il Risorto senza il quale nessuno potrebbe costituirsi in Chiesa di salvezza.
La salvezza... Sollevare la questione significa però porre subito il problema della nostra responsabilità morale e storica nei suoi confronti. Significa superare il senso diffuso di impotenza storica ed etica nei riguardi del peccato che è nel mondo (e non solo di quei peccati che riempiono il segreto dei confessionali), e dunque accettare, e farsi carico, delle immani sfide planetarie proposte, anche oggi, dalla storia: il genocidio di interi popoli, lo stupro del Creato, la violenza come modello di relazioni, il potere come maquette politica, lo sterminio per fame e per ogni altra causa, la produzione e la vendita delle armi, il rifiuto all'accoglienza dei profughi, le guerre nei cieli e sulla terra.
Significa condensare in noi dei valori liberanti, o quanto meno una tensione seria verso essi. E non accettare più di essere, secondo il mistificante pragmatismo importato da oltre oceano, “gente dai cuori puri e dalle mani sporche”. Anche le mani vanno lavate e disinfettate.

Traccia per la revisione di vita
1) Di quanto, come famiglia, ci facciamo carico delle sofferenze e delle croci di tante famiglie con le quali entriamo in contatto?
2) Qual è il nostro modo per manifestare la nostra fedeltà a Dio, pur non conoscendo i suoi disegni nei nostri confronti?

Luigi Ghia - Asti Direttore di “Famiglia domani”

 

Ricerca avanzata  (54118 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: