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TESTO L'arte di far cantare

don Angelo Casati  

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VI domenica T. Avvento (Anno A) (18/12/2022)

Vangelo: Lc 1,26-38a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38a

26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Oggi ci vorrebbe una donna a tenere l'omelia. E non solo oggi. A raccontare. Perché omelia ha nome di "racconto". Donne, a raccontare che cosa è attesa e che cosa è venuta. Una venuta attesa. Nel giorni dell'Avvento, dopo la testimonianza del Battista, oggi quella di Maria, la ragazza di Nazaret, una donna. Loro, le donne, l'arte del raccontare - di raccontare anche ciò che ancora è nascosto agli occhi - ce l'hanno come connaturata nell'anima. Il racconto di Luca è un dono prezioso per noi, se ancora ci abita una attesa, l'attesa di una venuta oggi. Una venuta del Signore in noi e fra noi. Ebbene oggi noi entriamo, ancora una volta, in una casa di Nazaret, la casa di Maria, al battere leggero delle parole del vangelo, quasi trattenendo il respiro, così come sono entrati, trattenendo il respiro, lungo i secoli centinaia e centinaia di artisti, di poeti, di musicisti con il loro "incarnatus est". A volte mi sorprendo a chiedermi a chi Maria, nei giorni dopo l'annuncio, avrà raccontato la visita inattesa dell'angelo - solo lei lo poteva fare - e le parole come fiato, lo stupore delle pietre in ascolto, quel parlarsi tenero ma anche franco, e poi, da subito, quel sentirsi visitata nel corpo, perché di questo si tratta, incarnazione: prendeva carne il divino.

Vado fantasticando: per tutti noi è facile immaginare che il primo in assoluto a ricevere la confidenza - anche se non è scritto - sia stato Giuseppe, lei era innamorata di Giuseppe, gli voleva un bene dell'anima. ll disegno per voce di angelo, cui lei, ragazza con sogni, aveva acconsentito, non era solo brezza leggera che ti sfiora il viso, scompigliava la vita, i sogni, i giorni a venire, i giorni di entrambi. Chiamata lei, ma anche lui, a far posto a Dio e a inventare una vita: già accade per ogni nascita, ma quella annunciata nella casa di Nazaret bussava come una rivoluzione. Le visite degli angeli, le visite di Dio, non sono solo un regalo. A volte chiedono dirottamenti, suscitano domande. Tu sai che Dio è con te, ma come poi saranno i giorni, nel loro srotolarsi, proprio non lo sai. Forse esagero, dell'annunciazione abbiamo fatto una pagina di stupori infiniti e lo è, e li custodiamo, ma, a volte, come fosse staccata dalla vita, quasi un'isola senza ombra di turbamenti, di inquietudini, senza esitazioni. Sentimenti puntualmente invece evocati nel testo. Noi sorpassiamo, quasi ci prendesse impazienza di correre all'ultima parola: "Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola"". Ma il testo racconta anche altro, racconta il subbuglio nel cuore della ragazza di Nazaret. E se noi non percorriamo nella sua interezza il testo, corriamo il rischio di scolorire Maria, di scolorirla della sua umanità viva, pulsante, di adolescente, una umanità che conosce, come la nostra, l'accadere di turbamenti, di esitazioni, di inquietudini, di domande. Leggo frammenti del racconto: "A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo". E pone domande, domande sul come: "Allora Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?". Lei se lo immaginava lo sconcerto sul viso e negli occhi di Giuseppe. Lui, certo, per troppo amore le avrebbe creduto. Ma poi gli altri? Il paese, le malignità, gli ammiccamenti, la durezza delle autorità che si ergono a difensori dei principi, l'implacabilità della legge?

Un rincorrersi di pensieri nello spazio di pochi minuti, nella terra di mezzo del suo cuore. Ma proprio dentro, nell'intimo più intimo del suo cuore, le si affacciò la piccola luce che l'abitava, che abita ogni donna e ogni uomo che vengono nel mondo. Si affidò. Credette. Cominciò l'attesa. Prima le veniva spontaneo parlare a Dio alzando lo sguardo verso l'alto, al cielo; da lì in poi si sarebbe sorpresa a guardare dentro, a parlargli da dentro. E oggi lo insegna a noi che non lo vediamo, ma siamo abitati dentro. Sempre in attesa, Maria. In attesa anche dopo che nacque. Succede ai genitori per i figli, per ogni figlio: rimangono in attesa per tutta la vita. E poi lui - pensava - era stato chiamato "figlio dell'Altissimo" e dunque sempre in attesa di scoprire dove l'avrebbe portato quella passione per Dio e per la terra, che da sempre lo abitava. Come è vero che tutta la vita è attendere, attendere uno svelarsi. E "credere" è il verbo che sostiene le attese. Maria credette, ebbe fiducia.

Ebbene vorrei aggiungere un'ultima suggestione. A Maria la cosa accadde pochi giorni dopo, una cosa bellissima, da farla sussultare tutta: una voce, a lei cara, riconosceva la bellezza del suo credere, del suo affidarsi osando. Quando? Dove? Pochi giorni dopo il nostro racconto, quando la ragazza si avventurò per le regioni montuose di Giuda sino ad arrivare alla casa di Elisabetta, la cugina, avanti negli anni e incinta di sei mesi. Storia di sussulti nei grembi. Infine la cugina, dopo tanta meraviglia, a dirle una beatitudine, a chiamarla "beata", beata per aver creduto: "E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Ed ecco Maria esplose, esplose in un inno di benedizione, in predizioni dell'avverarsi di sogni in futuro. E fu il "magnificat". Sosto a questa arte di far cantare. Accade quando tu riconosci la bellezza del sogno che abita l'altro, lo fai cantare, lo aiuti a germogliare, lo fai fiorire. Forse sono sotto l'emozione per una lettera che in questi giorni una ragazza ha scritto a sua madre, ringraziandola perché sin da piccola ha amato le sue qualità, cercando di farle crescere, coltivandole e innaffiandole come un fiore prezioso. E finisce in un canto: "Sei una nuvola bianca, un filo rosso, sei rugiada, fiocco di neve e aria fresca". Faccio ritorno ad Elisabetta per dirmi come sarebbe bello se oggi gli anziani, ma non solo, avessero il suo sguardo, la sua voce, se io avessi l'arte di sorprendere germogli, inizi nei ragazzi e nelle ragazze d'oggi, l'arte di sorprendere e di incoraggiare. Non l'occupazione, ma la promozione. L'arte di far cantare.

Beata tu, Maria, perché hai creduto. Beata anche tu Elisabetta, che l'hai fatta cantare.

 

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