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TESTO Una precedenza che si sta scolorendo

don Angelo Casati  

III domenica T. Avvento (Anno A) (27/11/2022)

Vangelo: Mt 11,2-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via.

11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. 15Chi ha orecchi, ascolti!

Oggi ancora a parlare di sogni e non solo di sogni. Ed è come se il sogno, cui alludevamo la scorsa domenica, si dilatasse, prendesse anche concretezza. Di visi, di terra. Ascoltate: "Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d'acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie".

Vi dicevo, è come se il sogno in un certo senso si dilatasse e insieme si abbassasse. In che senso? Innanzitutto nel senso che a sognare giustamente ci sono tutti. Non è un sogno che a permetterselo sono solo pochi. Entrano anche gli esclusi, zoppi, muti ciechi. Hanno diritto sia a sognare sia credere che qualcosa del sogno si avveri. A nessuno dite:" Tanto tu...". Di più - e pensate all'attualità di questo messaggio - a sussultare per il sogno non è solo l'umanità, non sono solo donne e uomini, è anche la terra: "Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d'acqua".

Il sogno si dilata, al punto che domanda ineludibile sarebbe, quando si fanno progetti, chiederci se ci sono tutti nel nostro progettare, e in primis i ciechi, gli zoppi, i muti, e poi la terra, questa nostra terra, che brucia. Vi dicevo che nel sogno entrano gli esclusi, non solo entrano, ma occupano - se vogliamo stare con le parole di Gesù - i primi posti. Mettili in prima fila. E questo è il segno per dire che è in atto la visita di Dio sulla terra, nel Messia. "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!".

Quasi dicesse: "Non scandalizzatevi, questa è la mia carta di identità, questo lo spirito che mi urge dentro, questa la passione che mi accende: che ritornino a sognare, a credere che qualcosa possa accadere a loro, per primi, proprio loro, i più sventurati. "Sventurati", quelli per cui la vita non è una ventura, un futuro da sognare, ma un male da vivere, senza futuro. La mia visita comincia da loro". C'è - voi mi capite - una precedenza. Una precedenza che andava onorata nei giorni a seguire, perché si potesse dire che la visita di Dio in Gesù continua ininterrotta nel tempo: dare precedenza a zoppi, cechi, muti, ai poveri. La precedenza è andata scolorendo nel tempo.

E oggi che un Papa la va ricordando con insistenza, a qualcuno la sua voce accorata dà fastidio, qualcun altro grida allo scandalo, altri giungono a dire che le chiese non parlano più di Dio. Ma se si scolorisce la precedenza, non è che si scolorisca anche Dio? Non sono uno storico né un teologo per dirvi se nei primi secoli la precedenza dei poveri fosse più onorata, meno scolorita di oggi. So che mi ritorna alla mente un passo della "Didascalia degli Apostoli", terzo secolo, che, prescriveva che ad accogliere nell'assemblea i poveri, uomini o donne che fossero, doveva essere il vescovo stesso e non i diaconi e che doveva essere ancora il vescovo a procurare loro un posto e che, se questo non si fosse trovato, doveva cedere il suo e sedere a terra ai loro piedi.

Procurare un posto agli ultimi, ecco la concretezza: procurare loro un posto nei nostri pensieri, nei nostri programmi, nella chiesa, nella società. In questo senso vi dicevo che i sogni vanno abbassati, nella concretezza, perché non suonino a vuoto e non siano solo un pretesto. Vorrei anche confidarvi che, quando nei Profeti leggo parole di grande respiro come quelle che oggi abbiamo ascoltato, mi esalto, sogno, come voi, penso. Ma poi, come a voi, mente e cuore mi battono dentro, corrono alle situazioni drammatiche che stiamo vivendo, alla sofferenza di tanti, di troppi, alla loro fatica di vivere. Metto a confronto immagini dei profeti e immagini della terra e mi rimangono ombre nel cielo dell'anima, un sentimento triste di distanza tra limpidezza di sogni e crudezza della realtà.

Che cosa fare? Cancelliamo i sogni, per stare con i piedi sulla terra? Cancelliamo dagli occhi la terra per evadere con sogni nel cielo? Ebbene penso - come voi credo - che la vera genialità sia abitare la distanza, abitare la distanza tra sogno e realtà. Abitarla come una terra di mezzo, e cercare di far accadere, sulla terra di mezzo, non spezzoni di guerra, ma spezzoni di sogni, dei sogni che ci abitano. Faccio ritorno alle parole del profeta Isaia per ricordare a me stesso, ma anche a voi, come siano mille e più i gesti - e altri ancora da inventare - con cui oggi "aprire gli occhi ai ciechi, schiudere gli orecchi dei sordi, far saltare come un cervo gli zoppi, far gridare di gioia i muti". Non siamo, né ci importa di essere, donne e uomini dei miracoli.

Riconosciamo, senza mascherarla, la nostra misura. La pienezza del sogno non sta nelle nostre mani, ma ritagli del sogno si, nelle nostre nude mani. Non vorrei sembrare irriverente - la distanza è immensa - eppure a volte penso alla tristezza di Gesù: nemmeno a lui riusciva di arrivare a tutti, prolungava la giornata sino a sera tardi pur di guarire i malati - così racconta Marco - poi accadeva la notte. A noi accade molto prima, a noi non è dato far accadere in pienezza i sogni. Ma possiamo osare ritagli di sogni, possiamo condividerli, possiamo farne progetti. La parola "progetto" nella sua etimologia allude a un "gettare in avanti": spingere verso un mondo che sia più umano e quindi anche più divino, più vicino ai sogni di Dio.

Un Dio che, ancora oggi, spinge in avanti e con il profeta dice - voi lo udite -: "Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio, non temete".

 

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