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TESTO Vivere il presente anticipando l'avvenire

padre Gian Franco Scarpitta  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/11/2022)

Vangelo: Lc 21,5-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Scrive Von Rad: "Il tempio era il luogo in cui Yahvè parlava a Israele, dove perdonava i suoi peccati e si faceva presente. L'atteggiamento che si adottava di fronte al tempio rifletteva l'atteggiamento che si prendeva in favore o contro Yahvè."  Al tempio di Gerusalemme erano affezionati tutti gli abitanti della Giudea e della Galilea, che lo riconoscevano come luogo dell'incontro con l'unico Dio di Israele e non di rado lo identificavano con Dio stesso. Vi si svolgevano le principali feste ebraiche ed era continuamente meta di pellegrinaggi e di visite individuali per la preghiera e per i sacrifici di propiziazione. Anche Gesù vi era affezionato, essendovi andato già sin dall'infanzia con i genitori per intrattenersi con i Dottori della Legge e di fatto vi entrava spesso con i suoi discepoli e adesso, in questa sezione del vangelo di Luca, aveva appena elogiato la povera vedova che aveva collocato tutte le sue risorse (pochissime) nel tesoro destinato alle opere cultuali.

Per questo motivo non poteva che suscitare apprensione e sgomento la sua profezia sulla fine del grande luogo di culto dalle sontuosità architettoniche, che i suoi discepoli stavano ammirando.

Chiaramente e senza mezzi termini stava annunciando che del tempio non sarebbe rimasta pietra su pietra, che sarebbe stato distrutto inesorabilmente e tale profezia si avvererà di fatto nel 70 d. C, quando le truppe di Vespasiano saccheggeranno Gerusalemme causando morte e distruzione.

Una profezia che ha compimento storico, in un preciso momento determinato, che adesso sconvolge gli astanti interlocutori di Gesù, i quali domandano su quali possano essere i segni che accompagneranno tale evento.

E qui Gesù usa molta discrezione nel rispondere. Non soddisfa infatti la curiosità dei suoi discepoli, ma li mette in guardia dicendo loro quali NON saranno i segni della fine catastrofica di cui ha parlato. Annuncia loro che vi saranno guerre, terremoti, calamità naturali anche provenienti dal cielo, impostori e falsi profeti di sventura, annunciatori di falsi vaticini sulla fine che saranno ascoltati e avranno grande seguito. Parla anche di persecuzioni, tradimenti che avranno origine perfino dalle famiglie o dalle amicizie più intime. Falsi apostoli che scaturiranno perfino dagli stessi discepoli ferventi dello stesso Gesù. Tuttavia questa NON sarà la fine. Anche Paolo su questo sarà molto esplicito: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima dovrà infatti avvenire l'apostasia e dovrà essere rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione.”(2Ts 2, 1 - 3). Chi si spaccia arbitrariamente per profeta, latore di presunti messaggi sulla fine, esibizionista nei discorsi concitati sulla Bibbia atti a fare proseliti e a coinvolgere turbe di gente, si troverà in ogni momento e chi proclama la prossimità della fine del mondo ci sarà sempre, anche ora come allora.

E' vero che la profezia riguarda un evento realizzatosi poi in epoca romana, tuttavia il brano di vangelo può anche essere applicato a una dimensione temporale più vasta e ciò che Gesù dice in ordine alla distruzione del tempio può avere rilevanza anche per la nostra attesa della fine dei tempi, quando il Signore dovrà tornare nella gloria.

Qui vale la stessa raccomandazione di Gesù a non lasciarsi ingannare da eventi sismici o pandemie (come avvenuto ai nostri tempi) o da falsi annunciatori di paradisi effimeri ed illusori che sono sempre in agguato ai nostri giorni. Se avessimo la certezza della data esatta della fine dei giorni terreni, non saremmo spronati a vivere ogni giorno spronati dallo spirito delle beatitudini che ci guadagnano l'incontro con Dio già in questa vita presente, a prescindere dal momento della fine. Non saremmo condotti ad esercitare la speranza e la pazienza, certamente vedendo al presente la verità “come un uno specchio, in maniera confusa”(1Cor 13, 12), aiutati dalla fede che tuttavia ci sostiene nella radicalità e nella costanza in attesa di vedere “faccia a faccia conoscendo perfettamente come siamo conosciuti da Dio”(1Cor 13, 14). Non potremmo cioè meritare la gioia della vita futura, perché rifiuteremmo di anticiparne gli effetti benefici nell'oggi. Se conoscessimo adesso il momento della fine, miglioreremmo certamente la nostra vita, ma non è garantito che rimedieremmo convenientemente a tutti mali con i quali abbiamo avvelenato la terra, perché le nostre azioni sarebbero ispirate da scrupolo e sgomento più che dalla virtù e dalla gioia di trovare il compenso nella pratica stessa della legge di Dio. Anche a prescindere dalla fine, siamo chiamati alla radicalità evangelica perché la nostra stessa vita presente si possa conformare al volere divino, onde guadagnare i benefici del vangelo già nell'edificazione di questo mondo.

Meglio non interrogarci su quale potrà essere l'epilogo finale della nostra storia e attenderlo con fiducia e speranza e come suggerisce Gesù sempre nel brano odierno esercitando la perseveranza nella lotta contro il male e nella sopportazione delle disgrazie, siano esse procurate dall'uomo siano facenti parte del percorso ordinario della natura.

Ingiustizie, sopraffazioni, belligeranze, eventi calamitosi e distruttivi sono eventi che in ogni caso fanno parte del computo della nostra storia, il cui manifestarsi siamo tenuti a sopportare, non esimendoci dalle immancabili vicissitudini che essi comportano. Lo scenario della convivenza umana ne sarà sempre caratterizzato, la vita stessa dell'uomo è costituita dal continuo adeguarsi della virtù alla mutevolezza degli eventi e qualsiasi via di fuga o di alienazione di cui si reputano capaci indovini e presunti profeti è semplicemente illusorio, deviante e controproducente.

Occorre perseverare fino alla fine per ottenere la salvezza, non lasciarci distogliere da false scorciatoie di realizzazione, ma esercitare la costanza, la determinazione e la continua battaglia con cui si conserva la fede per guadagnare la corona di gloria (2Tm 4, 7 - 9).

E vivere sempre il presente, impegnandoci a costruire ogni momento incentivati dal Bene Ultimo che è lo stesso Cristo come nostro Avvenire. Ciò che ci rende umani è la consapevolezza del limite della morte, che è invito a rendere il mondo illimitato quanto alla nostra consistenza nel presente.

Quando Don Bosco chiese al giovane Domenico Savio, mentre stava giocando, cosa avrebbe fatto se avesse saputo che all'istante ci fosse stata la fine del mondo, questi gli rispose: “Continuerei a giocare”, pronto in qualsiasi momento a realizzare la volontà di Dio secondo la sua vocazione particolare. Senza nulla da perdere e nulla da temere.

 

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