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TESTO A Dio non interessano i nostri peccati

don Maurizio Prandi

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/10/2022)

Vangelo: Lc 19,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Abbiamo lasciato, domenica scorsa, un pubblicano che dopo aver detto la verità di sé e dopo aver chiesto a Dio il suo amore torna a casa sua giustificato, (stando meglio abbiamo tradotto), e oggi troviamo Zaccheo, il capo dei pubblicani che desidera vedere Gesù che sta attraversando la città dove abita.
Una prima suggestione: cosa vuol dire attraversare la città? Credo che il momento che stiamo vivendo come chiesa (il sinodo), sia un tentativo di attraversamento, un provare a capire, conoscere. Già il card Martini, invitava i giovani della sua Diocesi a questo incrociare le vie degli uomini: "Attraversate la città contemporanea con il desiderio di ascoltarla, di comprenderla, senza schemi riduttivi e senza paure ingiustificate, sapendo che insieme è possibile conoscerla nella sua varietà diversificata, nelle rete di amicizie e di incontri, nella collaborazione tra i gruppi e le istituzioni. Favorite i rapporti tra persone che sono diverse per storia, per provenienza, per formazione culturale e religiosa. Possiate essere il fermento e i promotori di nuove "agorà" dove si possa dialogare anche tra coloro che la pensano diversamente in una ricerca appassionata e comune"; parole che suonano come un invito per me che così di frequente cammino distrattamente, incrocio senza lasciarmi attraversare dalle vite delle persone a cui sono affidato e che mi sono affidate.

La seconda suggestione: lasciarsi guardare Zaccheo si lascia guardare da Gesù, ma forse ancora prima Gesù sente su di sé lo sguardo di Zaccheo, ed è incrocio di sguardi che nasce da un incrocio di desideri!: "Cercava di vedere chi fosse Gesù". Che bello l'intuizione di don Angelo Casati, che afferma che è il desiderio che ti mette in ricerca, è il desiderio che ti fa andare anche un po', o tanto, "fuori posto", è il desiderio che ti fa inventare nuove forme di appostamento. Quando impallidisce, o si scolorisce del tutto, il desiderio, tutto diventa incolore, tutto diventa formalità, tutto "dovere senz'anima". Dobbiamo custodire, come si custodisce il fuoco (immagine che ci ha lasciato, un giorno, don Michele Do), il desiderio. Che riguarda Dio, che riguarda l'altra o l'altro, che riguarda una infinità di cose, anche una celebrazione, un evento. Se no, tutto è routine. E' il desiderio che fa correre avanti: "corse avanti" è scritto di Zaccheo nel nostro racconto. A volte ci rimproverano, come chiesa, una certa immobilità; se siamo fermi, mi domando, non sarà perché non abbiamo coltivato o abbiamo perso per strada il desiderio?
Però anche l'altro, Gesù, era abitato dal desiderio. Don Angelo scrive che uno sulla terra, abitato così dal desiderio, non ci sarebbe più stato: lui, Gesù, il rabbi di Nazaret. Ed ecco si svela il desiderio di Gesù, ed è un desiderio che corre. I desideri per lo più hanno fretta. Disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta. Non gli aveva detto: "Bella razza che sei! Bel mestiere che fai! Ne hai rubati di soldi!". Nelle parole di Gesù non una virgola di accusa, d'altronde non ha mai chiesto a nessuno Gesù: dimmi i tuoi peccati, no! Ma non perché era figlio di Dio e li conosceva già, no! A Gesù, a Dio, non interessano i nostri peccati (G. Bonati), a Gesù interessa il nostro amore, la sua bilancia non sa che pesare l'amore.

L'ultima suggestione: la casa! Anche Gesù (sono sempre debitore di don Angelo Casati per queste intuizioni ma mi paiono così belle) "fuori posto" secondo i cosiddetti "puri", nel farsi invitare nella casa di un impuro, in casa di un pubblicano no, proprio no! Chi ci va diventa lui stesso impuro, "fuori posto"! E tutti a pensarlo: un Rabbi fuori posto! "Tutti": è scritto nel vangelo. Tutti a pensarlo "fuori posto", nella casa di un peccatore. E la casa? La casa nominata per ben tre volte nel breve racconto. La casa diventa il luogo del passaggio della salvezza: "Oggi voglio fermarmi a casa tua, oggi per questa casa è venuta la salvezza": la tavolata di una casa il luogo della salvezza. La casa del peccatore, dove Gesù sta a tavola liberamente, allegramente. Dove si trova bene, bene con la sua missione che era di cercare chi era perduto.

Questo tempo del sinodo lo sento importante perché è un invito ad andare; per lo più, siamo rimasti, fisicamente e anche mentalmente, nel tempio. Ad attendere. I luoghi sacri - e non la casa -- rimangono nei nostri pensieri il posto dove essere raggiunti dalla salvezza. Per Gesù diventa luogo di salvezza una casa, il luogo di un convivere comune. Penso a una tavolata, penso all'allegria nella casa di Zaccheo, penso ad una festa. A me sembra che sia venuta, anche come chiesa, l'ora di dire "Devo fermarmi a casa tua". E uscire: "Devo": è una spinta del cuore.
Ancora un giovane 25 anni, della Basilicata, a stimolarci: "Le vere chiese sono negli angoli dove crescono i sogni, nelle piccole realtà in cui le persone si incontrano quotidianamente per costruire progetti di sviluppo locale; che bella una Bibbia raccontata nelle piazze, nei bar, tra i banchi di scuola, tra le tavole imbandite. Bisognerebbe discutere di Esaù e Giacobbe e poi di Paolo e Francesca e poi ancora, che la Chiesa smetta (e forse qui stiamo imboccando una strada buona) di avere paura del confronto. Perché la si possa ascoltare deve venire dove siamo noi. Siamo uomini e niente più. Sappiamo elevarci se costruiamo significati tra le parole e impariamo a capire le differenze e i bisogni degli altri, a porvi rimedio.

A volere la casa è Gesù: devo fermarmi! La forza di questo "devo" da un lato, e la sorpresa del "fermarmi", perché secondo gli esegeti il verbo non significa semplicemente "stare", ma "pernottare", rimanere per la notte. Che bello: la salvezza passa per Gesù, passa per Zaccheo, e raggiunge la casa. La "salvezza dell'anima" (sempre don Angelo Casati al quale, avete capito, ho largamente attinto per l'omelia di oggi), se è vera, raggiunge la casa. E la parola "casa" dovrebbe accendermi, perché casa è anche la mia, la nostra, le case tra cui viviamo, che facciamo vivere ogni giorno, la casa dei giorni, ma anche la casa comune, quella che si incendia di distruzioni a non finire, in questi giorni di follia della guerra.

Concludo tornando al pubblicano che tornato a casa dal Tempio, la trova abitata da Gesù che si è invitato e, grazie a quell'incontro, ha capito che salvezza e giustizia sono intimamente legate; non si è fermato alla preghiera, ma è tornato all'amore per i fratelli che ha frodato per anni e ai quali ha deciso di restituire con gli interessi dovuti loro!

 

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